Nel 1972 Carla Lonzi cominciava il suo diario con una riflessione, diventata ormai famosa tra le seguaci del suo femminismo, sull’incontro imprevisto, speculare e rivelatorio con un’altra donna clitoridea. Tale incontro segnava l’inizio di una nuova coscienza sessuale e di una nuova era sessuale. Una decina d’anni dopo, Luce Irigaray definiva la differenza sessuale “una delle problematiche filosofiche maggiori, un problema del nostro tempo, proponendo un ripensamento radicale del soggetto sessuale in relazione a tempo e spazio (Irigaray, 1993). La questione della differenza sessuale s’impone nel pensiero e nella pratica femminista italiana sin da prima della divulgazione della filosofia di Irigaray a metà degli anni 70. Nei primi anni 70, ad esempio, con la creazione di collettivi femministi e della pratica dell’autocoscienza, le femministe italiane hanno preso le distanze da modelli di genere tradizionali, per reinventare un nuovo linguaggio del corpo e della differenza sessuale.
Carla Lonzi, femminista radicale, è oggi considerata una delle figure più influenti di quel femminismo primi anni 70, e rappresenta per molte femministe italiane, le radici stesse del pensiero femminista. Le sue opere maggiori da Taci anzi parla. Diario di una Femminista (1978) a Sputiamo su Hegel (1970), da La Donna Clitoridea e la Donna Vaginale (1971), a È già politica (1977), mescolano riflessioni teoriche e memorie personali che si inseriscono nella critica femminista di carattere Marxista sviluppatasi nel post 68 all’interno di gruppi come DEMAU, Anabasi, e Rivolta Femminile. Lonzi è spesso citata per il suo ruolo carismatico in Rivolta, per la creazione dell’autocoscienza, e l’elaborazione di una teoria della “differenza sessuale.” I suoi contributi teorici sono stati tuttavia accantonati rapidamente quando la teoria Irigarayana della differenza sessuale è apparsa in Italia accanto agli scritti di altre femmiste francesi dell’ MLF (Mouvement de Libération des Femmes). L’entusiasmo per Irigaray nei circoli femministi italiani non ha smesso di crescere in particolare a seguito della traduzione all’italiano di Spéculum de l’autre femme nel 1975, una pietra migliare del pensiero femminista europeo. Il titolo, che richiama ironicamente il rispecchiamento lacaniano, allude sia allo strumento ginecologico per l’ispezione dei corpi femminili sia all’atto fallocentrico di sottoporre le donne a scrutinio. Speculum si propone prima di tutto come una polemica della tradizione filosofica e psicanalitica occidentale tesa a rappresentate il femminile come una copia del maschile, eliminando in questo modo la questione della specificità ontologica e sessuale delle donne. Nel suo libro Irigaray propone una serie di letture critiche delle teorie di Freud e Lacan, ponendo così le basi per una teoria della differenza sessuale che, da allora, non cessa di influenzare il pensiero femminista italiano.
Ispirato alle letture Irigarayane di Freud e Lacan, il presente articolo fa ritorno alla differenza sessuale così come viene concepita ed incarnata invece da Carla Lonzi. In Italia assistiamo ora ad un rinnovato interesse per l’opera di Lonzi sulla differenza sessuale, grazie a due eventi che ci hanno restituito l’importanza di Lonzi nella tradizione femminista italiana: la riedizione delle sue opere maggiori e un convegno alla Casa Internazionale delle Donne a Roma a Marzo nel 2010. Secondo Ida Dominijanni, la riscoperta di Lonzi diviene sempre più importante soprattutto se si considerano i recenti dibattiti su sessualità e politica in Italia, in risposta all’aumento della mercificazione mediatica dei corpi delle donna. A questo proposito, due numeri speciali di DWF del 2011, dal titolo “Questo sesso che non è un sesso,” rinfocolano una riflessione sulla sessualità che è stata scarsa o quasi inesistente fino a poco tempo fa in Italia. Le autrici dei saggi di DWF affrontano questioni legate alla sessualità attraverso discussioni e analisi di temi come fertilità, prostituzione e pornografia, invocando una ridefinizione dell’(etero)sessualità ed enfatizzando l’importanza della dimensione del piacere femminile in contrasto con le retoriche sessuali di tipo mediatico. Nel saggio di Alice Corte, l’enfasi sulla costruzione di un immaginario sessuale prettamente femminile e l’allusione alla necessità di esperienze del desiderio e di piacere “che evitano di castrare e castrarsi” (Corte, 2011) sono un chiaro richiamo a Lonzi. In particolare sembrano evocare la critica lonziana di una castrazione sociosessuale (clitoridectomia culturale) che le donne continuano a soffrire in una cultura in cui predominano modelli eterosessisti.
Prendendo come spunto la critica lonziana della castrazione socio-sessuale delle donne, il presente articolo si propone di dimostrare quanto ancora rimane attuale la critica lonziana della sessualità attraverso una rilettura della teoria del clitoride e dell’elaborazione diaristica della donna clitoridea. Argomentazione centrale del saggio è che Lonzi utilizza il clitoride sia come strumento di critica e polemica delle costruzioni eteronormative di genere e sessualità basate sulla psicanalisi, sia come strumento per teorizzare la sessualità al di là del fallocentrismo. Il saggio illumina altresì alcuni limitazioni discorsive del pensiero lonziano sostenendo che sebbene Lonzi scriva di “sputare” su costruzioni psicanalitiche di femminilità e di sessualità femminile, la femminista se ne riappropria al fine della teorizzazione sessuale. Prendendo il clitoride come luogo di critica del femminismo lonziano, l’articolo sostiene che Lonzi sfrutta il dato anatomico non solo come veicolo di scoperta del desiderio e del piacere femminile, ma anche come strumento velatamente fallico. Il clitoride diviene per così dire uno strumento di controllo all’interno del collettivo femminista.
Il saggio è diviso in due parti: la prima prende in esame l’emergenza della donna clitoridea attraverso l’autocoscienza mostrandola come prodotto sia di una castrazione simbolica sia di un desiderio di un’ autonomia sessuale, chiamata “autenticità”, mai pienamente raggiunta. La seconda parte ricostruisce un dialogo tra teoria e diari al fine di sottolineare i limiti discorsivi della teoria clitoridea. Questa evidenzia e analizza le complesse dinamiche di potere che la donna clitoridea (in quanto costruzione teorica e incarnazione femminista) produceva nell’atto della sua performance all’interno del gruppo di femministe radicali.