Recensione di Carla Fronteddu su RecensioniFilosofiche – 30/05/2012
Il sesso è un prodotto storico, “un’invenzione umana che traduce rapporti di dominio” (p. 5). Questa è la tesi che sorregge il libro di Caterina Rea, tesi “poco condivisa dal senso comune” (p. 5) e certamente di comprensione non immediata. Corpi senza frontiere ha il merito di aiutare il lettori e le lettrici ad affacciarsi a questa corrente di pensiero e a pensare la differenza sessuale come al prodotto di rapporti storici di potere.
La dimensione corporea e sessuale, scrive Rea, è stata a lungo sottrattaal divenire “della storia, dell’istituzione sociale e della discussione politica” (p. 5) grazie alla complicità di alcune discipline che hanno imposto una naturalizzazione dell’umano, naturalizzazione che risponde a specifiche relazioni di potere.
Tra le prime responsabili di questa naturalizzazione l’autrice individua la fenomenologia del corpo, che ha cercato “di fare del corpo umano la sfera dell’intimo e del privato” (p. 17) contribuendo a considerarlo come un’“intimità immediatamente afferrabile e indipendente dalle molteplici variazioni socio-culturali”. E tuttavia il vissuto corporeo si sottrae alla presa e non si lascia cogliere in maniera diretta e trasparente dal pensiero. Per questo, scrive Rea “ci sembra allora che una fenomenologia del corpo non sia possibile che come fenomenologia dell’opacità […] che rivela il carattere oscuro del fenomeno che sperava di portare a manifestazione” (p. 18). L’autrice tratteggia, nel primo capitolo, una fenomenologia dell’opacità servendosi della riflessione di Merleau-Ponty, che aveva descritto il senso di sfasamento, di “distanza da sé” tipico del nostro vivere incarnato. Il soggetto non percepisce la propria dimensione corporea in maniera immediata e trasparente, al contrario la soggettività carnale “incapace di cogliersi direttamente e pienamente, scopre la propria concretezza nella forma di questa opacità (non piena conoscenza di sé) inscritta nella sua condizione carnale” (p. 20). Quest’opacità con cui è chiamato a confrontarsi il soggetto corporeo apre le porte alla ricerca incessante di senso e rende possibile l’agire. La fenomenologia dell’opacità, quindi “non può che trasformarsi in una filosofia dell’azione umana e dell’istituzione. Il senso che non si dà in partenza, nel silenzio di un vissuto naturale, non può che essere il prodotto di una creazione immaginaria attraverso la quale l’essere umano si sforza incessantemente di dar forma e figura alla profondità opaca della sua corporeità” (p. 18)
L’analisi dell’opacità serve a Rea per sostenere l’impossibilità di tematizzare e afferrare un senso originario o una norma naturale di cui sarebbe portatrice la realtà corporea: “ciò che avrebbe dovuto apparire, darsi come fenomeno originario non è invece che opacità, distanza da sé, non coincidenza. L’origine ci sfugge, non è sorgente limpida di senso. Questa condizione è quella della nostra finitezza, della vulnerabilità che sempre accompagna la nostra esistenza carnale, ma che ci spinge altresì all’incessante creazione dei significati culturali e storici che formano la nostra trama dell’essere al mondo” (p. 35)
Se il corpo umano non veicola nessun senso originario, quest’ultimo non può che essere il prodotto della storia, dell’istituzione umana, che di volta in volta definisce gli usi e le pratiche del corpo.
“Il primato dell’opacità ha insomma un carattere intrinsecamente etico e politico in quanto esso indica l’originaria appartenenza del soggetto alla trama sociale delle mediazioni che, inscrivendo nel sui seno fin da subito l’alterità lo aprono alla sfera della prassi in quanto agire responsabile” (p. 36).
La critica alla fenomenologia del corpo conduce l’autrice sulle tracce di un’ulteriore lettura naturalizzata dell’umano, quella del riduzionismo neuroscientifico che pretende di “fornire, su base scientifica, un contenuto normativo originariamente fondato sull’identità della natura umana” (p. 37).
Il secondo capitolo è dedicato quindi alla pretesa del discorso neo-naturalista delle neuroscienze di raggiungere una natura umana originaria, antecedente i rapporti sociali e le forme discorsive. Servendosi del contributo di Butler, Rea critica la pretesa neutralità di questo discorso scientifico: “il linguaggio nasconde sempre sedimentazioni discorsive e culturali come quelle che ci spingono a voler identificare con certezza un punto preciso e fermo d’origine, una natura distinta e precedente la cultura” (p. 43). Infine, servendosi del concetto di istituzione di Castoriadis, l’autrice ribadisce che “ciò che presumevamo essere primario e antecedente non precede in realtà il dinamismo temporale e storico della sua produzione istituente” (p. 39).
Se il corpo umano è irriducibile all’immediatezza di una struttura naturale originaria e determinante, la materialità corporea non trascende la dimensione discorsiva ed i rapporti di potere che l’assoggettano e la producono, ma “anche ciò che nel corpo vi è di più concreto- la materialità e il sesso- è sempre già mediato da depositi culturali e discorsivi che ne fanno, fin da principio, una realtà estremamente complessa” (p. 51). La materialità del corpo, quindi, è da intendersi come un processo allo stesso modo del “dinamismo storico e temporale attraverso cui essa è incessantemente prodotta dai rapporti di potere” (p. 51).
Rea accosta questa concezione della corporeità alla posizione del femminismo materialista di area francese che contesta l’idea di un genere fondato sul sesso: il sesso non precede il genere, piuttosto è il genere che crea il sesso, istituendo una differenza e presentandola come naturale e immutabile.
Se è il genere a creare il sesso “ogni approccio al corpo e alla sua concretezza non può che essere al tempo stesso un approccio delle norme, delle regole e dei significati che lo materializzano e dei rapporti di potere dai quali è preso” (p. 53). Rea ci accompagna così dalla denaturalizzazione del corpo alla denaturalizzazione del sesso: non esiste un sesso naturale ed anteriore alla categoria di genere, ma un potere produttivo, “una vera e propria attività creatrice d’istituzione capace di produrre se stessa e la sua intelligibilità, in modo tale che non vi sia nulla che la preceda” (p. 54).
La discussione sulla natura umana, a questo punto, rivela tutta la sua dimensione politica. “Una volta criticati i presupposti essenzialisti contenuti nell’idea di natura umana, occorre prendere in esame l’agire istituente e creatore, non fissato né pre-garantito da un orizzonte meta-storico e trascendenze di certezze” (p. 57).
Prima di soffermarsi sull’istituzione creatrice di norme, Rea passa in rassegna ancora due prospettive naturalizzanti: la teoria freudiana della sessualità e l’ordine simbolico.
“Se affermiamo che non vi è una natura prima della cultura e delle norme sociali, come comprendere il discorso della psicoanalisi che sembra invece spesso rivendicare l’esistenza di una psiche pre-sociale fatta di spinte e pulsioni naturali?” (p. 59). Al contrario, se riconosciamo che la pulsione non è istinto, essa si inscriverà necessariamente nella sfera dei significati e delle rappresentazioni culturalmente elaborate. Infine, e con particolare riferimento al contesto francese, l’autrice prende in considerazione la nozione di ordine simbolico. “Dalle questioni che riguardano la sfera sessuale e il genere a quelle che investono più direttamente i cambiamenti della famiglia tradizionale, dal campo dei costumi al dibattito sulle nuove tecniche di riproduzione, il riferimento all’ordine simbolico gioca un ruolo fondamentale in quanto espressione di un ordine stabile e sottratto alle variazioni della storia” (p. 89).
La panoramica sulle quattro prospettive che propongono una lettura naturalizzata dell’umano, porta Rea a concludere che: “l’ideologia naturalista e quella legata alla priorità dell’ordine simbolico costituiscono una maniera, per gli individui e per l’intera società, di rimuovere la loro libertà e, con essa, il “peso” della responsabilità che loro incombe. Le certezze presunte di un ordine pre-dato limitano quindi e quasi annientano la capacità creatrice di ripensare e trasformare i principi che ci sostengono” (p.138). Al contrario, una visione denaturalizzata “ci invita al rischio della novità, del cambiamento e quindi della creazione immaginaria” (p. 139), della quale Rea si occupa muovendosi negli orizzonti intellettuali di Castoriadis, Butler, Delphy. L’immaginario si rivela infatti “la potenza che permette allo scacco (échec) di certi corpi e di certe vite, alla loro incapacità di incarnare la norma reiterandola fedelmente, di divenire il luogo di una trasformazione e di una risignificazione della norma stessa” (p.139).
A conclusione del libro Rea cerca di mettere in luce, attraverso il concetto di “democrazia sessuale”, la posta in gioco della teoria della denaturalizzazione. Nel contesto attuale di politicizzazione delle questioni legate alla dimensione corporea, sessuale e familiare, “la prospettiva denaturalizzata appare sempre più come il nuovo terreno di prova della democrazia e di una visione laica da intendere in questo caso non come il richiamo astratto ai valori universali di un’eguaglianza formale […], ma come la capacità critica nei confronti di ogni principio o struttura che pretenda di trascendere l’ordine sociale” (pp. 160-161).
Indice
Introduzione
Dalla natura umana all’istituzione
Capitolo Primo
Corpo e opacità
L’ombra che attraversa il soggetto corporeo
Opacità e finitezza corporee, condizioni dell’istituzione
La fine del pensiero delle origini
Per una filosofia della prassi
Conclusione
Capitolo secondo
Per una critica del concetto di natura umana
Natura umana, faro delle neuroscienze
L’intreccio di natura e culturalmente
Psicoanalisi alla prova del naturalismo
Corpo, genere e istituzione
Conclusione
Capitolo terzo
Defunzionalizzazione e creazione simbolica
Defunzionalizzazione della pulsione ed enigma dell’umano
Pulsione, mediazione, rappresentazione
Pulsione e sessualità
Poliformismo sessuale e mito delle origini
Conclusione
Capitolo quarto
Ordine simbolico e dibattiti contemporanei
Ordine simbolico e naturalizzazione del diritto
Mito delle origini e ontologia del simbolico
L’ordine sessuale della psicoanalisi
Conclusione
Capitolo quinto
Primato del dinamismo sociale-storico
Sessualità, potere e sovversione
“Democrazia sessuale” e politiche di genere, ultima frontiera della denaturalizzazione