Si e’ svolto a Pisa il 21 e 22 maggio il convegno “Esodi dalle passioni tristi” organizzato e promosso dall’Associazione casa della donna. L’iniziativa si inseriva nel più ampio percorso “Archivi dei sentimenti e culture pubbliche,” un progetto che riprende la storia del laboratorio “raccontarsi” organizzato negli scorsi anni a villa Fiorelli da Liana Borghi e Clotilde Barbarulli e che, procedendo in maniera itinerante (il primo incontro, Incontro sull’intercultura di genere si è svolto a Firenze agli inizi di marzo) culminerà nella Scuola e laboratorio di Cultura delle donne che si terrà a Trieste dal 25 giugno al 1 luglio. Si tratta di un percorso che interroga il tema dell’archeologia e della performatività degli affetti, cercando, sulla scia del pensiero femminista e della cultura queer, nuovi nessi fra le trasformazioni delle esperienze private e il configurarsi del discorso pubblico.
A Pisa ci si e’ fermati sul tema delle “passioni tristi”, metafora con cui da più parti si è rappresentato il nostro tempo e l’umore delle nostre società. Intitolando le giornate Esodi dalle passioni tristi si è voluto avvalorare la percezione di un passaggio d’epoca, un momento come quello attuale nel quale è possibile cogliere nuove forme di vitalità, sentimenti di condivisione, memorie vivide di esperienze costitutive della vita collettiva, un dinamismo diffuso delle soggettività. Ma ancora di più accostando due termini tanto carichi di significato nella nostra tradizione politica, come esodi e passioni tristi, ci si è chiesti quali soggettività, quali pensieri, quali pratiche politiche si muovono oggi lungo le linee di fuga dello scoraggiamento e del sentimento di immobilità. Si è voluto cioè creare uno spazio di pensiero e di confronto intorno a quelle esperienze non rinunciatarie, che hanno la forza di aprire alla possibilità di una nuova mappa delle passioni.
Con questa prospettiva il convegno si è mosso intorno ad alcune parole chiave della politica, di quella femminista che ha coniugato insieme sessualità e libertà, ma che ha anche intrecciato, vincolandola, la politica al desiderio. Nella prima sessione del convegno, intitolata appunto, Sessualità e Libertà, Liliana Ellena ha ricostruito l’intreccio dei movimenti femministi – da quelli degli anni Settanta a quelli dei decenni successivi – con il tema della felicità pubblica; Fabrizia Di Stefano ha seguito i fili della “vitale melanconia delle relazioni” che ha caratterizzato il divenire della soggettività contemporanea e Giovanna Maina e Giorgia Serughetti hanno dialogato a distanza sul tema dell’immaginario post-moderno, parlando di pornografia alternativa e centralità della prostituzione nel discorso pubblico. Ancora sui temi dell’immaginario si è sviluppata la relazione di Anna Camaiti Hoster che all’interno della seconda sessione, Politica e Desiderio, si è soffermata sul ruolo dei mass-media. Paolo Godani ha invece ricostruito la “nostalgia del vero sé” nella tradizione del pensiero critico occidentale come una passione triste. Adriana Nannicini ha tracciato un possibile itinerario del desiderio di politica seguendo un percorso a ritroso (coming back) verso la cittadinanza che passa dal sentimento faticoso di estraneità alla scelta di farsi temporaneamente straniere.
E’ stato poi interessante misurare la possibilità di esodi da una narrazione negativa del lavoro e del futuro (parole centrali nei grandi movimenti del novecento per l’uguaglianza) attraverso una sessione che ha visto il confronto fra voci molto diverse e che pure hanno trovato nel corso dei lavori della terza sessione vari punti di intersezione. Carmen Leccardi ha tematizzato il tema del futuro mostrando le strategie con cui le nuove generazioni fronteggiano la difficoltà di pensare a un tempo lungo per i loro progetti; Teresa Di Martino ha raccontato le potenzialità e le perdite di quelle stesse strategie, mostrando l’urgenza di invenzioni collettive (diritti). Anna Romei, assessora al Lavoro, e Gina Giani amministratrice delegata, hanno saputo posizionare la propria esperienza all’incrocio fra la necessità di concretezza e radicalità teorica (uscire dalla logica distruttiva del profitto e dell’unicità dell’idea di sviluppo). Susanna Camusso ha portato nella discussione la necessità di ripensare i paradigmi intorno a cui si è costruita nella nostra cultura economica l’idea stessa di lavoro, proponendo il concetto di “cura” – che viene dall’elaborazione teorica delle donne e del femminismo – come un campo di prova per una rivoluzione interna all’idea occidentale del lavorare e produrre.
Per saperne di più:
http://xoomer.virgilio.it/raccontarsi/
http://www.interculturadigenere.org/
Report a cura di Sandra Burchi