Bianca Birsan – Emancipazione e liberazione

Vorrei soffermarmi sul primo incontro del Seminario dove si parla dei concetti di “EMANCIPAZIONE” e “LIBERAZIONE”.

Il Femminismo ha avuto due parti, il movimento di emancipazione femminile e il movimento di liberazione.

Il movimento di emancipazione era un onesto movimento che voleva diritti civili, pari opportunità, il diritto a gestire la propria sessualità. Era un movimento che chiedeva, che davanti alla legge prima di tutto ci fosse una persona, e poi un uomo o una donna. Come tutti i movimenti di emancipazione voleva la parità legale, l’emancipazione appunto dall’inferiorità giuridica.

Fino a poco più di un secolo fa, in Italia e in molti altri regimi liberali, ai cittadini di sesso femminile non era consentito votare, le donne sposate non erano libere di disporre del denaro che guadagnavano con il proprio lavoro e non potevano promuovere un’azione legale. Esistevano leggi discriminatorie e il movimento di emancipazione è stata la ragionevole soluzione.

In Italia la lotta per l’uguaglianza  tra i sessi comincia in ritardo rispetto al resto d’Europa. Se guardiamo all’istruzione scopriamo che solo nel 1874 viene permessa l’iscrizione delle donne ai licei e all’università, e quando più tardi le donne riescono a conseguire un titolo di studio, non sono ammesse all’esercizio delle libere professioni.

Risale al 1902 la prima legge a tutela delle lavoratrici, con cui si stabilisce il divieto dei lavori sotterranei per le donne, si fissa l’orario di lavoro giornaliero in 12 ore al massimo e si proibisce il lavoro notturno alle ragazze di età inferiore ai 15 anni.

Durante la prima guerra mondiale le donne cominciano a diventare protagoniste della propria vita. In questo periodo infatti vengono chiamate a ricoprire i posti lasciati vuoti dagli uomini partiti per il fronte: per la prima volta le donne sperimentano l’indipendenza economica e l’autonomia personale.

Alla fine del conflitto vengono rimandate tra le mura domestiche per lasciare spazio ai reduci, ma l’esperienza acquisita consentirà loro di condurre la battaglia per l’emancipazione con più forza. Con l’approvazione della legge che abolisce l’autorizzazione maritale del 1919, le donne sono ammesse all’esercizio di tutte le professioni e di gran parte degli impieghi pubblici.

Durante il fascismo le donne tornano ad essere considerate unicamente nel ruolo di madri e mogli e lo Stato cerca di ostacolarle in tutte le attività che possano allontanarle dal progetto di sposarsi presto e di mettere al mondo dei figli.

Con la seconda guerra mondiale il lavoro femminile viene di nuovo preso in considerazione.

Nel 1946 le donne italiane votano per la prima volta e l’approvazione della Costituzione Italiana segna, almeno sulla carta, un ulteriore passo verso la para dignità tra maschi e femmine.

La realizzazione pratica del principio di parità fra i due sessi è stata ottenuta dopo anni di dure lotte da parte delle donne.

Comunque è negli anni settanta del Novecento che la storia dell’emancipazione femminile in Italia vive il suo periodo più felice.

Nel 1970 viene approvata la legge che introduce il divorzio nell’ordinamento italiano, nel 1975 viene varata la riforma del diritto di famiglia con cui si cancellano tutte quelle disposizioni che attribuiscono una posizione dominante al marito sia nella gestione familiare sia nell’educazione dei figli stabilendo che i coniugi debbano partecipare in posizione paritaria alla conduzione della cita familiare.

 

Nel 1978 viene approvata la legge sull’aborto, che consente alla donna l’interruzione volontaria della gravidanza, mettendo fine alla pratica degli aborti clandestini.

 

 

 

“Il femminismo è stato il primo momento politico di critica storica alla famiglia e alla società”

(Manifesto di Rivolta femminile, luglio 1970)

.A Roma nel 1970 nasce il gruppo Rivolta Femminile che accoglie tra le sue fila Carla Lonzi che redige il Manifesto di Rivolta Femminile e alla quale si devono i primi e più importanti testi femministi scritti in Italia.

Oggi la donna è definita giuridicamente eguale all’uomo, ma si tratta, secondo Lonzi, di un tentativo ideologico per asservirla a più alti livelli, perché «la donna è l’altro rispetto all’uomo e l’uomo è l’altro rispetto alla donna» e liberarsi non vuole dire accettare la stessa vita dell’uomo, che «è invivibile», ma esprimere il suo senso dell’esistenza: «il mondo dell’eguaglianza è il mondo della sopraffazione legalizzata, dell’unidimensionale; il mondo della differenza è il mondo dove […] la sopraffazione cede al rispetto della varietà e della molteplicità della vita. L’uguaglianza tra i sessi è la veste in cui si maschera oggi l’inferiorità della donna».

Il processo di emancipazione è stato contrapposto a quello di liberazione. Nel primo l’obiettivo sarebbe la parità di diritti e di opportunità per le donne mentre nel secondo l’obiettivo sarebbe una modificazione profonda della società, che dovrebbe essere permeata dai valori nuovi propri dei movimenti femministi. Mentre con l’emancipazione le donne mirerebbero all’uguaglianza con gli uomini, con la liberazione esse tenderebbero all’affermazione di un’identità propria e non subordinata a quella maschile.

“Donna non si nasce, lo si diventa. Nessun destino biologico, psichico, economico definisce l’aspetto che riveste in seno alla società la femmina dell’uomo: è l’insieme della storia e della civiltà a elaborare quel prodotto intermedio tra il maschio e il castrato che chiamiamo donna”. (Simone De Beauvoir).

È proprio questa la posizione che la donna assume nel mondo: «Ogni individuo che vuol dare un significato alla propria esistenza, la sente come un bisogno infinito di trascendersi.

Ora, la situazione della donna si presenta in questa singolarissima prospettiva: pur essendo, come ogni individuo umano, una libertà autonoma, ella si scopre e si sceglie in un mondo in cui gli uomini le impongono di assumere la parte dell’Altro […] pretendono di irrigidirla in una funzione di oggetto e di votarla all’immanenza, perché la sua trascendenza deve essere perpetuamente trascesa da un’altra coscienza essenziale e sovrana».

L’opposizione dei sessi, secondo Beauvoir, deve essersi originata da una scelta esistenziale in un contesto storico determinato, a partire da un’unione originale: «la coppia è un’unità fondamentale le cui metà sono connesse indissolubilmente l’una all’altra.

Nessuna frattura della società in sessi è possibile. Ecco ciò che essenzialmente definisce la donna: essa è l’Altro nel seno di una totalità, i cui due termini sono indispensabili l’uno all’altro»

Ancora oggi però il World Economic Forum con un’indagine chiamata Global Gender Gap Index rivela che nel 2010, su 128 Paesi, l’Italia si trova al 74º posto per uguaglianza di genere.

 

Lo svantaggio femminile nella scuola secondaria di secondo grado, che storicamente

 

caratterizzava il sistema scolastico italiano, è stato colmato agli inizi degli anni Ottanta. Da quel momento in poi le ragazze hanno sorpassato i ragazzi sia per tasso di partecipazione sia soprattutto per percentuale di conseguimento del diploma.

Anche nel proseguimento degli studi universitari le donne ormai sorpassano gli uomini: nel 2004 su 100 laureati con il vecchio ordinamento 59 erano donne, mentre per i corsi triennali le donne rappresentavano il quasi il 57 per cento. Inoltre i voti finali sono mediamente più alti per le donne. Attualmente le donne hanno maggiore accesso, e agevolazioni nel mondo del lavoro alla fine del percorso di studi (laurea). Inoltre, le giovani donne che decidono di essere single raggiungono posizioni dirigenziali in percentuale pari ai colleghi uomini nelle medesime condizioni.

Dal punto di vista universitario e del mondo del lavoro le giovani italiane sono ormai più istruite degli uomini.

Il tasso di disoccupazione femminile in Italia è più elevato (circa 4% Istat, 2005) di quello maschile. Il tasso di occupazione femminile è nettamente inferiore a quello maschile, risultando occupate nel 2010 solo circa 46 donne su 100, contro una percentuale del 67% degli uomini. Il tasso di inattività è, di contro, molto alto, arrivando a sfiorare la metà di tutta la popolazione femminile in età lavorativa. Tra le principali cause di questo fenomeno va citata l’indisponibilità per motivi familiari, motivazione che è quasi inesistente per la popolazione maschile. Ad esempio il 15% delle donne dichiara di aver abbandonato il posto di lavoro a causa della nascita di un figlio. Spesso si tratta di una scelta imposta, infatti in oltre la metà dei casi sono state licenziate o messe in condizione di lasciare il lavoro perché in gravidanza.

Tutta questa inattività non si traduce però in un maggiore tempo libero per le donne. Al contrario, il tempo delle donne italiane è impiegato nel sopportare in maniera preponderante i carichi di lavoro familiari, molto più che in tutto il resto d’Europa. Gli uomini italiani risultano i meno attivi del continente nel lavoro familiare, dedicando a tali attività appena 1 h 35 min della propria giornata. Per lavoro familiare si intende sia le attività domestiche (cucinare, pulire la casa, fare il bucato etc.), sia le attività di cura dei bambini e degli adulti conviventi. Si stima che il 76,2 per cento del lavoro familiare delle coppie sia ancora a carico delle donne. Considerando i tempi di lavoro totale, cioè la somma del tempo dedicato al lavoro retribuito e di quello dedicato al lavoro familiare, le donne lavorano sempre più dei loro partner.

Nella pubblica amministrazione italiana le lavoratrici donne sono poco più della metà del totale, grazie alla preponderanza femminile tra gli insegnanti soprattutto nella scuola di base.

Le retribuzioni degli uomini in Italia sono superiori mediamente a quelle delle donne.

In materia di diritto di famiglia svariate sentenze della magistratura italiana, tutelano la figura femminile in maniera più marcata, affermando il principio di “non bilateralità” tra i coniugi in materia di procreazione.

Nel Parlamento italianole donne rappresentano meno del 20% del totale con un risultato peggiore rispetto ad esempio alla composizione del Parlamento europeo, nel quale le donne rappresentano circa il 35%.

Cosa manca dunque alla donna perché le venga riconosciuto l’imprimatur dei molti ruoli dei quali si fa già interamente carico, senza esserle riconosciuto alcunché di tutto ciò, e di cui è all’altezza?

Oggi più che mai la donna si è resa autonoma, affrancandosi da un ruolo che era un lacciolo alla sua libertà, alla sua scoperta del mondo, ai suoi diritti e doveri di essere umano “pensante”. Ora la donna sta cominciando a capire che non è più tempo di

 

sottostare ai loro strapoteri di vita e di morte, alle loro millanterie, alle malevolenze, alle vessazioni, ai tradimenti. La donna di oggi se non è affiancata da un partner compatibile, onesto, retto, autorevole, preferisce di gran lunga lo stato di single: stare sola non la terrorizza, non è un assillo, ella è assolutamente autosufficiente. La sua condizione di single non la disturba, anzi, talvolta, ne fa una privilegiata.

Da qui: l’urto, la rabbiosa reazione, il malcontento, la furiosa gelosia dell’uomo di oggi. Da qui, la grande tragedia che sta colpendo da una parte i responsabile di tale situazione e, dall’altra, le vittime che tale situazione hanno dovuto fin qui subire. Sono stati calcolati in Italia più di 2000 casi di uxoricidio all’anno. Una vera ecatombe, una sorta di bollettino di guerra. Perché? E’ presto detto. Le condizioni di sviluppo sociale, il benessere raggiunto in campo culturale, socio/economico, l’apertura intellettuale della donna verso traguardi che le hanno consentito nuovi orizzonti, rapporti sociali, progressi lavorativi, crescita economica, autonomia di giudizio, guadagni, hanno permesso alla stessa di negarsi al suo ruolo di eterna “cenerentola”, e di non volersi più sottomettere al padre-padrone, ormai modello obsoleto di un tempo arcaico, che ha finito per perdere la forza bruta del suo bastone di cavernicolo. Ma sembra che l’uomo non voglia avvedersi della metamorfosi, del cambiamento sociale, culturale, morale, dell’entità cognitiva, sentimentale, emozionale, ristrutturante e impegnata del ruolo della donna in seno alla società, di cui condivide i dolori e i tormenti. Soprattutto, pare non voler accettare una simile condizione, una tale mutazione, che diviene frustrazione, inconcepibile per le sue ridotte capacità di cavarsela da solo. La donna, invece, dal canto suo, ha la forza magnifica ed esaltante della sua certezza di “essere”, la potenza della sua energia propositiva, la sua intuitiva visione del tutto, cui fa appello in casi estremi per evitare di soccombere ai fendenti distruttivi, che la natura stessa le impone. Sicché quando tenta di lasciare un uomo che non dà nessuna garanzia di serena convivenza, diventa una vera tragedia familiare.

L’uomo non possiede ancora le facoltà di emanciparsi dalla donna, è lui il debole, è lui il più fragile, il più immaturo, indifeso, il più arcaico soggetto della modernità e del binomio all’interno del nucleo familiare. Perciò, doversi rimettere in gioco, dover ricominciare, doversi separare, condurre una vita da single, non poter più imporsi a nessuno, lo fa letteralmente impazzire, gli fa saltare la molla che tiene legati i filamenti del cervello, lo fa andare fuori fase: perdere sul campo dove aveva la superiorità, il vantaggio e, soprattutto, dover fare a meno dei servigi della donna considerata per secoli ai suoi diretti comandi, doversi umiliare a riformularsi daccapo, dopo secoli di predominio e di accondiscendenza della donna, polverizza la sua psiche labile e fragilissima, facendola esplodere come una miccia o un congegno ad orologeria.

Negli ultimi due anni sono stati calcolati 10.000 morte ammazzate, stuprate, violentate dalla furia selvaggio del maschio che smarrisce la ragione. Da pochi mesi è stato inserito nella legislatura italiana il reato di stalking nella legislazione italiana. La donna è provvista di illuminazioni folgoranti, di furbizia spicciola, ma anche di quella profonda, studiata e lungimirante apertura mentale che serve nella società di oggi: tutte cose che all’uomo spesso mancano del tutto. L’uomo è istinto, sopraffazione e violenza, la donna: dialettica, esercizio della tolleranza, pazienza e lungimiranza. Come si fa a non capire che il mondo oggi ha bisogno di entrambi i poli per innescare il corto circuito? Come si fa a non capire che è finito il tempo della sudditanza silenziosa, della irascibilità bestiale dell’uomo condotta sul filo dell’arroganza e della forza bruta? solo perché era lui a portare i  pantaloni, a provvedere economicamente: a stuprare, a violentare, proprio in funzione di quella spinta animalesca che li soggioga, li cattura, li dirige.

Sono in balìa del loro malsano istinto, che li fa credere dominatori del mondo. E lo sono stati per troppo tempo nei secoli passati.Ma ogni cosa ha un fine e oggi la fine è venuta con l’avvento della cultura del diritto, che assegna ad ognuno il suo ruolo, separato e insieme circoscritto, ad un solo grande progetto universale, far sopravvivere il mondo. Non importa  Chi  vi  sta  a  governarlo,  a  dirigerlo.  L’importante  è  dominare  le     negatività, prevenirle, mitigarle e possibilmente superarle. Se poi sarà merito dell’uno o dell’altro sesso niente toglie al merito. Ma questo ancora l’uomo, dopo 2000 anni di storia non lo ha accettato, né capito, neppure è disposto a metterlo in discussione e, ancor meno, a lasciare che si realizzi una simile sovrapposizione di ruoli.

Redazione

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