Marzia De Pietro – Le principesse si salvano da sole

Schermata 2016-06-16 alle 10.10.56Con l’avvento della possibilità di comunicare teoricamente qualsiasi messaggio ad un numero sempre maggiore di persone e, quindi, con il passaggio da una comunicazione elitaria e personale ad una sempre più aspecifica e intersoggettiva, i (mass) media sono ben presto diventati dei veri e propri portavoce della realtà storica e sociale nella quale si inserivano. Questo vale soprattutto per il cinema e, i film d’animazione prodotti dalla Walt Disney, non sono da meno. Nei 54 lungometraggi creati dalla nota azienda, per esempio, possiamo osservare come le donne si evolvano, e si facciano portavoce di una sempre più grande emancipazione femminile, quasi ritraendo ciò che accadeva nel momento storico in cui venivano visti dal grande pubblico per la prima volta. Il primo grande filone di pellicole targate W. Disney si colloca dal 1937 (con Biancaneve e i Sette Nani, il primo film di Walt Disney) al 1959, e come personaggi vi ritroviamo Biancaneve, Cenerentola e la principessa Aurora. Sono anni difficili, in cui le donne ancora faticano molto a far valere i propri diritti e a introdursi nel mondo del lavoro e nelle attività sociali. Purtroppo questo status in cui erano rinchiuse le donne era molto condiviso da radicali come Walt Disney, che, per quanto genio sia stato, era un uomo dalla dubbia moralità. Le donne della Walt Disney infatti, appaiono dolci, buone, e per niente attive e proattive nei confronti di cio che gli accade nella vita. Non si ribellano agli ordini di matrigne e streghe. Sono casalinghe per vocazione, materne verso nani, topolini o verso tutti gli esseri indifesi. Il massimo diritto a cui aspirano è quello di poter sognare e la loro massima aspirazione è il matrimonio. La loro vita gira intorno al canto, che ha una forte connotazione catartica, e non posseggono la capacità di lottare per il proprio “lieto fine”, ma si crogiolano attendendo l’arrivo del “principe azzurro”, uomo forte, coraggioso e valoroso, capace di salvarle dalla loro misera condizione. Il primo lungometraggio risalente al 1937 è incentrato sulla fragile Biancaneve, inserendosi in un momento storico segnato positivamente dal New Deal di Roosvelt, simbolo di speranza che si riflette, chiaramente, anche al cinema. La dolce Biancaneve non è altro che il prototipo della massaia americana che ha furoreggiato sino agli anni cinquanta.

Continuamente bisognosa di protezione, ingenua e fiduciosa ai limiti della stupidità, Biancaneve (1937) è perennemente e passivamente all’altrui mercè: si salva dal

cacciatore non perchè abbia provato a difendersi ma per fortun, perché gli animaletti del bosco le trovano un riparo sicuro, perché i nani la prendono sotto la loro benevola protezione e, infine, perchè il Principe Azzurro non ha mai smesso di cercarla per salvarla. L’unico atto di autonoma volontà che le si vede compiere è riordinare la casa dei nanetti e insegnare loro il bon ton a tavola. Ciò che ne viene di quest’immagine non è altro che la rappresentazione castrata e triste della donna del momento, il cui unico diritto era quello di pensare ai bambini e rassettare casa.

Nel 1950 esce Cenerentola, bella e umile contadina che sopporta nel modo più passivo possibile le cattiverie della matrigna e delle sorellastre. La generazione di bambine degli anni ’50 nutriva nei confronti di Cenerentola un senso di immedesimazione e voglia di emulare quella che per loro poteva essere un eroina ma risultava essere invece un personaggio modesto ai limiti dell’autolesionismo. Tuttavia, rispetto a Biancaneve, un passo in avanti sembra essere stato fatto. Dopotutto Cenerentola trasgredisce un paio di volte ai divieti dell’autorità: va al ballo di nascosto e cerca di liberarsi quando, rinchiusa in soffitta, le vogliono impedire di provare la scarpetta di cristallo.

Arriviamo a La Bella Addormentata nel bosco (1959): Aurora è una fanciulla non dissimile dalle prime due “principesse disney”, di grande grazia e bellezza, ma priva di qualsiasi autodeterminazione. Tenera e iperprotetta, finisce per non sviluppare un’autonoma personalità. L’unico divieto che ha il coraggio di infrangere è quello di fermarsi a parlare nel bosco con quello sconosciuto che poi, per sua fortuna, si rivelerà il suo Principe Azzurro. La seconda metà del ‘900, grazie alla rapida trasformazione della società, ha visto un mutamento dell’identità femminile e del ruolo sociale della donna. Alla piena identità giuridica, però, non è seguita un’uguaglianza sostanziale riguardo alle opportunità sociali e professionali, alla rappresentanza politica e alla distribuzione dei carichi di lavoro familiari. La vita quotidiana della casalinga resta gravata da una serie di faticosi impegni poco o per nulla riconosciuti e la cultura resta comunque imbevuta di valori e parole d’ordine che mirano alla restaurazione della famiglia tradizionale. La ridefinizione della famiglia e in particolare la necessità di salvaguardarla da attacchi esterni, in particolare dalle separazioni, conducono, negli anni del boom economico, all’articolazione di una nuova “ideologia della casalinga” che si basa ora anche sull’aspetto psicologico e sentimentale, per cui la donna è vista come soggetto in grado di ridare valore e emozioni agli affetti familiari. La donna, ormai culturalmente emancipata, scolarizzata, partecipe della vita pubblica, acquistò la sua identità “primaria” di reggitrice della casa, di custode della vicenda familiare. Le donne, negli anni ’50, sembrano però ancora prigioniere in uno spazio angusto dove si muovono tra una scarsa conoscenza della propria sessualità e una vita di coppia in cui l’adulterio femminile venne ancora visto come un peccato più grave rispetto a quello dell’uomo.

Passano gli anni, Walt Disney è morto ma il suo impero continua a crescere, e si inizia a percepire una breccia di apertura mentale, nella raffigurazione della donna, in particolare nel cinema d’animazione, intermezzato da una fase animalista dei produttori che durò dal 1961 ( La carica dei 101) al 1988 ( Oliver & Company). Esempi di questo cambiamento, che avviene tra il 1989 ed il 1994, sono Ariel, Belle e Jasmine, di ben diversa levatura rispetto alle fragili ed umili principesse cui il pubblico era abituato. Figlie della post rivoluzione sessantottina le “nuove donne disney” custidiscono in sé il cuore pulsante degli anni 80. Ariel (La Sirenetta, 1989), Belle (La Bella e la Bestia, 1991) e Jasmine (Aladdin, 1992) rispecchiano già perfettamente la voglia di ribellione e trasgressione di quell’epoca.Tutte e tre sono animate da un’incredibile sete di sapere: Ariel sogna di visitare il mondo degli umani e ne colleziona gelosamente ogni oggetto; Belle dà fondo alla biblioteca del suo

paese; Jasmine brama di fare esperienza tra la gente comune e reale, al di là dell’artificiale gabbia dorata del Palazzo Reale paterno. A tutte e tre si cerca di impedire l’accesso alla conoscenza, considerata dannosa e superflua se non addirittura pericolosa per una donna. Le tre ragazze sono figure moderne che si muovono in una società cristallizata basata su cliché ormai stantii. Lo avvertono e perciò rifiutano ciò che viene loro imposto per tradizione. Per esempio ‘il solito’ marito: Ariel non si interessa ai tritoni del suo mondo; Belle non è attratta dallo stupido fustacchione del villaggio che, invece, fa impazzire tutte le altre ragazze; e Jasmine non vuol sentire parlare dei nobilastri boriosi che chiedono la sua mano. Le donne, nonostante ancora non riescano a decidere da sole del proprio destino, iniziano a liberarsi delle loro catene imposte dalla società, cercano avventure, sono curiose, vivaci, intelligenti e vogliono far sentire la propria voce. Cambia anche la raffigurazione stessa di queste principesse, per esempio i capelli rosso fuoco di Ariel (La Sirenetta, 1989), o Jasmine (Aladdin, 1992), che tenta di evadere dalla sua vita principesca indossando delle vesti povere. Negli anni ’80 e ’90 si assiste alla problematizzazione della maternità, con l’aumento delle nascite fuori dal matrimonio e dell’instabilità coniugale, ma soprattutto con l’avvio di nuove esperienze, come l’affido, l’adozione, la procreazione artificiale. Dobbiamo anche dire che la lotta per l’emancipazione femminile ha ottenuto straordinari risultati, ma nei Paesi sottosviluppati la donna, che svolge un ruolo determinante nel settore produttivo, vive ancora in una condizione di subordinazione all’uomo, mentre nei paesi ricchi deve ancora vedere tradotta nei fatti l’uguaglianza sul piano giuridico. Bisogna ricordare che i progressi si sono registrati nei paesi democratici, laici, che riconoscevano l’uguaglianza di fronte alla legge, senza distinzione di sesso, di religione e di condizione sociale. I regimi autoritari, invece, in cui il potere viene esercitato con la violenza, non accettano né garantiscono l’emancipazione femminile. Le donne dei Paesi economicamente progrediti hanno la condizione migliore: le condizioni di vita permettono loro maggiori possibilità di acquisire formazione, istruzione, di proteggere la propria salute e di scegliere il proprio modo di vita. Ma anche in questi paesi non tutte le donne godono di queste opportunità: la miseria, la solitudine, la disoccupazione, creano situazioni difficili e insostenibili. Lo stipendio femminile, inoltre, resta inferiore a quello degli uomini del 10%, ma anche del 30, 40%. Riguardo alla possibilità di carriera, gli esempi di successo sono pochi: le donne che occupano posizioni di comando nelle grandi imprese pubbliche e private è minimo, se paragonato ai titoli di studio, alla loro esperienza. le donne che arrivano all’apice del potere, inoltre, piuttosto di dimostrare una vocazione a battersi per le altre, in genere accettano le regole del gioco politico maschile, senza mai mettere in primo piano la difesa delle donne. Le cose cambiano realmente solo quando le donne assumono le loro rivendicazioni collettivamente. Gli anni decisivi di questa fine secolo hanno dimostrato che ogni progresso, il diritto al lavoro, la contraccezione, l’aborto, i diritti di famiglia, è stato possibile grazie all’ostinazione delle donne nella lotta per la conquista dei loro diritti.

Ma un personaggio di fondamentale importanza è Belle (La Bella e la Bestia, 1991) che rappresenta il primo esempio disneyano del rapporto della donna con la cultura. Eroina che dimostra ancora più indipendenza e determinazione, stemperate però da un carattere decisamente più dolce rispetto a quello della ribelle Ariel. Belle è una ragazza atipica anche per l’epoca in cui è inserita (ulteriore passo avanti rispetto alle eroine precedenti): viene infatti guardata male dagli abitanti del villaggio perché è una gran lettrice,ma sembra non curarsene,continuando semplicemente a fare ciò che le piace. Non esita a rispondere per le rime alla Bestia quando decide di non scendere a cena, disobbedisce alle sue regole recandosi nell’ala ovest del castello e inoltre è lei a salvare la vita della Bestia, contrariamente a quanto era accaduto per le principesse precedenti.Guardata di cattivo occhio da tutti, perché è una ragazza che non si limita a rassettare e occuparsi delle

faccende domestiche, ma dedica buona parte del suo tempo a fare ciò che le piace di più. Anche qui le figure degli uomini sono importanti: Gaston, il pretendente primordiale rappresenta il passato, e l’essere retrogrado, e poi c’è la Bestia, il principe trasformato in ‘mostro’ da un terribile incantesimo, che considera Belle, ossia ‘la donna’, come una sua pari. E, in questo cartone, sarà l’eroina a salvare il principe esprimendo il vero amore con la frase ‘io ti amo ‘, che romperà l’incantesimo. Con Belle vediamo i primi segni, più forti nei successivi cartoni, di una visione di una donna che lotta e combatte contro l’intera società per affermare ciò che è e ciò che desidera. La Disney affronta qui, con grande attualità, il tema del ‘diverso’, nel senso dell’individuo che, non riconoscendo validi i canoni di conformismo attorno a sé, si comporta in maniera differente e, di conseguenza, viene bollato dalla collettività come ‘strano’ e confinato ai margini. Non è dunque un caso che tutte e tre le fanciulle si innamorino di altri ‘diversi’: Ariel di un principe umano e Jasmine di uno straccione che vive d’espedienti. Quanto a Belle, fa addirittura il salto abissale, invaghendosi di un essere metà antropo e metà zoomorfo, distanziando così ulteriormente le vecchie eroine che si attenevano al copione dell’eroe bello e forte, nei confronti del quale – guarda caso – l’amore scattava a prima vista. Belle, invece, non può certo contare sul coup de foudre e si innamorerà solo dopo aver apprezzato la cultura e le doti di sensibilità e di gentilezza della Bestia. Anche Ariel, prima ancora di conoscere a fondo il suo principe, è attratta dalla profonda umanità del soggetto; e la stessa Jasmine viene stregata da Aladdin solo dopo aver conosciuto il suo stile di vita, improntato alla più ampia libertà di decisione, cosa che a lei è invece costantemente negata. Mentre Biancaneve, Cenerentola e Aurora, protette dall’affetto di chi veglia sui di loro (nani, topi o fate che siano), si vedono consegnare ‘chiavi in mano’ il loro felice destino, Ariel, Belle e Jasmine sono fortemente determinate a essere le autonome artefici del proprio: avventuratesi coraggiosamente nel mondo reale, non sarà l’eroe a trovare loro, ma viceversa. Dal 1995 questa “emancipazioneDisney” si fa sempre più intensa, e spuntano personaggi, che abbandonano del tutto le loro spoglie di principesse per poter diventare delle vere e proprie guerriere: Pocahontas (Pocahontas, 1995) è l’unico (per ora) personaggio a non avere un lieto fine, che sacrifica per salvare il proprio popolo dall’invasione degli inglesi .Altro esempio di donna “moderna” e forte, Pocahontas non è disposta a seguire il volere del padre e sposare Kocoum, ma è innamorata di John Smith, uno straniero malvisto da tutta la sua popolazione. Nel suo caso, tuttavia, non si tratta solo di difendere se stessa e far valere i suoi diritti: Pocahontas è un esempio per tutto il suo popolo e grazie alla sua forza di volontà e all’amore che prova per John Smith la sua tribù imparerà a guardare oltre il colore della pelle.Ancora un nuovo tipo di eroina rispetto al nuovo modello proposto da Ariel. Pocahontas è infatti pronta a ‘combattere’ non solo per se stessa,ma per il suo popolo,se non per un vero e proprio ideale.

Mulan (Mulan, 1998) segue l’esempio di Pocahontas, proponendosi come eroina che non agisce solo per se stessa e per la sua felicità, ma per il bene comune del suo popolo e per demolire uno stereotipo. Se all’inizio, infatti, la ragazza decide di andare in guerra per “trovare se stessa” o per essere d’aiuto al padre che non può combattere, nel corso del film maturerà moltissimo arrivando a combattere per liberare la Cina e per dimostrare al suo popolo che anche una donna può compiere grandi imprese. E’ da notare anche che Mulan è il primo caso di non-principessa che non diventa una principessa nel corso del film. Mulan è un’eroina,anzi è l’eroina per eccellenza. Il passaggio dai precedenti cartoni fino ad arrivare a Pocahontas, ma ancora più evidente in Mulan, e la perdita di interesse nel coronare l’amore con l’uomo dei propri sogni; in Mulan, la storia d’amore con il capitano Shang è messa nettamente in secondo piano, rispetto alla vera problematica affrontata con maestria dalla disney: l’emancipazione femminile.

Infine Jane (Tarzan, 1999) che nonostante sia una donna vittoriana, abbandona le proprie convenzioni sociali per la per fare l’esploratrice, ruolo anti-conformista per una donna, in modo da approfondire i suoi studi e cercare l’avventura.Arriviamo all’ultima categoria, che si concentra in particolare su questa nuova decade, in cui vediamo che le donne ormai si sono quasi del tutto allontanate dalla classica principessa, in attesa del principe: ormai è lei la protagonista del suo destino ed è lei a decidere le proprie sorti.   Coincidenza divertente fu il fatto che dopo il 4 novembre del 2008, quando Obama venne eletto Presidente degli Stati Uniti d’America, la Disney propone la prima principessa afroamericana Tiana, protagonista de La principessa e il ranocchio. Crea scalpore perchè è la prima principessa di colore in un film Disney, e la cosa suscitò entusiasmo (finalmente anche le bambine di colore avevano una principessa da prendere come riferimento) e scalpore tra gli americani razzisti, che non accettavano una cosa del genere, tanto che ci sono state denunce alla Walt Disney, ma sono ovviamente decadute. Con Tiana si arriva forse all’apice dell’idea di “donna moderna e indipendente”. La ragazza in questione,che poi diventerà una principessa, è una gran lavoratrice. Sa benissimo che il suo destino è nelle sue mani ed è ben decisa a costruirselo da sola, lavorando sodo per realizzare il suo grande sogno. Tuttavia questa caratteristica ci viene presentata come negativa: Tiana non è felice,le manca comunque qualcosa. Alla fine del film la nostra eroina scoprirà che le manca l’amore e che senza questo piccolo particolare la sua felicità non potrà mai essere completa. Tiana riesce quindi a combinare in modo perfetto le qualità della principessa “vecchio stile” e quella moderna. Inoltre anche lei è, se vogliamo, simbolo e portavoce di un popolo,quello afroamericano, esattamente come Pocahontas e Mulan. Rapunzel (Rapunzel: l’intreccio della torre, 2010) è la rappresentazione perfetta di una ragazza teenager, poiché mostra le reali caratteristiche psicologiche di un’adolescente (le precedenti principesse erano ancora più piccole e sembravano avere una trentina d’anni per il loro aspetto e per come parlavano). Pensata per essere un po’ la sintesi di tutte le principesse che l’hanno preceduta, Rapunzel incarna la libertà stessa. Il suo unico sogno è infatti quello di essere finalmente libera e uscire dalla torre in cui è da sempre rinchiusa. Rapunzel vuole liberarsi dei soliti schemi e vivere la vita pienamente e come piace a lei, caratteristiche tipiche di una qualsiasi ragazza di oggi. Anche lei, però, esattamente come Tiana, capirà che la libertà nella vita non è tutto e che per vivere pienamente la vita occorre avere l’amore. Nonché una buona dose di responsabilità, che si troverà a dover affrontare quando scoprirà di essere una principessa. Rapunzel rappresenta la vera e propria emancipazione, lo sviluppo, la crescita.

Merida (Ribelle, 2012) è la principessa che rompe quasi definitavamente il clichè della classica principessa mostrandosi piuttosto sgraziata e mascolina rispetto a tutte le altre. Merida di Ribelle non si sposa.Lotta fino all’ultimo per il diritto a restare single finché non muteranno i suoi piani in proposito: non è un caso che Ribelle sia codiretto da una donna, il premio Oscar Brenda Chapman, e la sceneggiatura sia cofirmata da un’altra donna, Katherine Sarafina. Una principessa completamente contemporanea; una ragazza ribelle, coraggiosa, audace e insofferente alle regole di corte. Non ama i cerimoniali, seguire le regole del bon ton e curarsi del suo aspetto fisico (soprattutto pettinare i suoi rossi, folti e crespi capelli, simbolo evidente della sua voglia intrinseca di ribellione. Se pensiamo poi al colore ‘rosso’, guardando ad esempio a Rosso Melpelo, Giovanni Verga, troveremo molto facile associare un ‘caratteraccio’, poco gestibile, di chi possiede questa tipologia di capelli). Anche lei è costretta a sposare uno dei pretendenti che si scontrano per lei, ma sovverte la tradizione…Lei vuole essere single! In conflitto continuo con la madre, ha un ottimo rapporto con il padre. Tutto il cartone è incentrato su uno scontro generazionale che non è più lo scontro “figlia/matrigna” (quindi tra bene e male) ma è uno scontro figlia/madre; scontri contemporanei, litigate alle quali possiamo assistere anche nelle nostre stesse case. La figura del padre stessa, non è la figura tradizionale dei padri di un tempo: basta

considerare che per il quarto compleanno, regala a Merida un arco! Infine abbiamo Elsa ed Anna (Frozen: il Regno di Ghiaccio, 2013), che pur presentando delle analogie con Rapunzel, rappresentano al meglio la donna moderna: sono due fanciulle fragili, che vivono in un mondo difficile e poco incline all’accettazione del diverso, ma che entrambe trovano la forza di esprimere loro stesse attraverso l’amore fraterno (e non quello romantico, che si rivela essere una delusione ed un pericolo). Possiamo dunque affermare dal 1989 la Disney si schiera dalla parte delle donne, in cui vede un vero e proprio potenziale. Frozen, pur dentro un contesto narrativo e stilistico più tradizionale, fa un altro passetto in avanti, mettendo in discussione l’idea fiabesca di “amore a prima vista”. Ciò che Biancaneve e Aurora davano per scontanto, al punto da attendere quell’amore immobilizzate in un lungo sonno, improvvisamente non è più così certo: il colpo di fulmine, per Anna, si rivela un tragico abbaglio, mentre acquista maggiori chance di spuntarla un sentimento costruito passo dopo passo, con la frequentazione e l’amicizia, e non senza conflitti (un precedente si trova giusto in Belle –La Bella e la Bestia, 1991-, ma complicato dallo spirito di sacrificio e dalla drammaticità degli eventi). Anche Frozen, infine, vede un’importante presenza femminile dietro lo schermo, con Jennifer Lee alla sceneggiatura e alla co-regia. Sono segnali di cambiamento non da poco se si pensa che, per tutti gli anni della gestione Walt Disney, le uniche donne nello Studio sono state le ragazze che trasferivano i disegni degli animatori su celluloide per poi dipingerli: un ruolo meccanico, dunque, estraneo all’aerea artistica vera e propria. La verità è che femminismo non significa raccontare di donne assoggettate in condizioni di inferiorità. Non significa neppure rappresentarle come creature indifese, come a condannarne la prospettiva. Femminismo, sin dalla nascita del termine e dell’idea, è attivismo. È un movimento che, per definizione, non può essere immobile. È movimentarsi per cambiare le cose. Tutto quello che il cinema può fare per ribaltare l’ottica e per scardinare gli stereotipi è proporre modelli nuovi. E non lo sta facendo solo la Disney. L’anno che ha accelerato questa inclinazione è di sicuro il 2012, quando il cinema svela una carrellata di donne vincenti e indipendenti. Dalla principessa Merida di Ribelle, che rifiuta di sposarsi e gareggia per la propria mano, passando per la ragazza di fuoco di Hunger Games, fino alle ultime due rivisitazioni di Biancaneve, grazie alle quali il personaggio guadagna finalmente una fisionomia. Sembrerebbe che il principe azzurro non sia più così richiesto.

 

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