di Ilaria Boiano
Se in prima battuta il pensiero femminista si è volutamente posto in alternativa e fuori dalle discipline ufficiali, progressivamente negli ultimi anni si registra la ricerca di un confronto da operare all’interno delle strutture tradizionali di produzione del sapere, ridefinito come mainstream, entro il quale confluire con la finalità di far prendere al fiume principale nuove e diverse direzioni (v. Miranda Fricker, Jennifer Hornsby, The Cambridge Companion to Feminism in Philosophy, 2000).
Non si può tuttavia trascurare che la prospettiva femminista, anche a seguito di questo nuovo posizionamento, è rimasta comunque confinata entro i margini ristretti dei cosiddetti “cultural studies” (Adriana Cavarero, Franco Restaino, Le filosofie femministe, 2002, p. 224), insieme eterogeneo in costante mutamento che ingloba anche gli studi di genere (gender studies), considerati, però, “un’altra cosa” rispetto alle antiche e nuove scuole, pratiche di pensiero e di ricerca, specie in ambito filosofico-giuridico.
Il volume Donne, diritto, diritti. Prospettive del giusfemminismo, curato da Thomas Casadei, invece, chiamando a dialogare studiose da tempo impegnate in un’attività di ricerca influenzata dalla prospettiva femminista, traccia una mappa delle riflessioni prodotte sul rapporto tra genere e diritto nel contesto accademico, soprattutto in quello angloamericano, senza tralasciare le esperienze maturate nei luoghi di produzione del diritto.
I contributi raccolti nel volume sono organizzati dal curatore a partire da interrogativi cruciali per questo nostro atelier sul femminismo giuridico: esiste e quali sono i tratti di una teoria femminista del diritto? Quali risposte questa teoria può offrire alla società contemporanea?
Intorno alla prima domanda il curatore chiama a dialogare Carla Faralli, Susanna Pozzolo e Orsetta Giolo. Faralli apre l’opera ripercorrendo «la storia dei diritti» e, al contempo, del progressivo svelamento dell’esclusione delle donne dal loro godimento attraverso il pensiero e l’azione politica di Olympe de Gouges, Mary Wollstonecraft e Harriet Taylor che hanno preparato il terreno per il riconoscimento giuridico dell’uguaglianza formale. L’uguaglianza sostanziale è stata invece questione affrontata, evidenzia l’autrice ricordando le traiettorie tracciate da Iris Marion Young, Martha Minow, Carol Smart, Carol Gilligan, Joan C. Tronto e Catherine MacKinnon, solo nel contesto del «femminismo della differenza», o più correttamente, della sexual difference. Dopo un’istantanea sulla scuola scandinava di Women’s Law rappresentata da Tove Stang Dahl, l’autrice segnala la scarsa ricezione nella ricerca italiana dei Women’s studies, in particolare in ambito giuridico dove comunque rilevano i contributi significativi di Letizia Gianformaggio e Tamar Pitch che l’autrice non manca di menzionare, rinnovando alla comunità scientifica italiana l’invito rivolto da Martha Nussbaum al contesto accademico tradizionale «di non arrendersi alla tirannia dell’abitudine» (p.13).
Continuando il percorso nel pensiero femminista sul diritto, nei saggi di Susanna Pozzolo Una Teoria femminista del diritto. Genere e discorso giuridico e di Orsetta Giolo Il giusfemminismo e il dilemma del confronto tra le culture, si pone la questione definitoria della teoria femminista del diritto, ripresa poi dal curatore nella sua postfazione: all’espressione “femminismo giuridico”, per la quale ha optato questo nostro atelier, nel volume si preferisce quella di “giusfemminismo”, che secondo Casadei consente meglio «di collocare la riflessione femminista […] nell’orizzonte di riflessione filosofico-giuridico».
Pozzolo, riprendendo il saggio di Ann Scales del 1981 Towards a feminist Jurisprudence, si interroga sulle finalità del giusfemminismo, individuando quale compito primario quello di «far luce, di chiarire ciò che rimane nascosto, denunciando l’artificialità culturale della normalità». Individuando come idea di fondo delle diverse varianti della feminist legal theory quella «di porre in luce le strutture nient’affatto neutrali determinate dalla società patriarcale per tentare di ridirigere il diritto, modificandone il fine in modo da liberare le donne dalla discriminazione e dalla subordinazione», l’autrice vede nel diritto uno strumento di cambiamento se attraversato da un lato da un’indagine volta alla sua decostruzione, e dall’altro da un tentativo di riformulazione del del ragionamento giuridico su nuove basi che tengano conto dell’esperienza delle donne, rimanendo tuttavia su un piano prevalentemente emancipazionista. L’autrice, infatti, rileva l’assenza di una politica del diritto che si ponga in continuità con la logica delle pari opportunità che ha prevalso nel secolo scorso.
Di segno più radicale, più in linea con il percorso che questo atelier vuole tracciare, appare invece l’obiettivo che riconduce al giusfemminismo Orsetta Giolo: lo svelamento dell’origine sessista-maschile-sessuata del diritto deve condurre ad una «riarticolazione dell’impianto teorico e pratico che regge i concetti e gli strumenti giuridici in un’ottica inclusiva delle diverse soggettività». Per fare ciò, secondo Giolo, occorre superare la diffidenza che ha espresso, da un lato, il femminismo, in particolare quello italiano, verso il diritto e, dall’altro lato, il contesto accademico verso il femminismo. Giolo procede quindi a individuare le dimensioni che caratterizzano il giusfemminismo, distinguendo tra giusfemminismo teorico, metodologico e ideologico.
Il primo, caratterizzato da una pluralità di elaborazioni, espressioni del femminismo di prima, seconda e terza ondata, si connota proprio per la sua molteplicità, caratteristica che è spesso letta come segno di sua frammentazione e «irrappresentabilità» nei termini di una teoria. Sotto il profilo metodologico Giolo valorizza l’analisi del materiale giuridico condotta svelando la falsa neutralità delle impostazioni generalmente condivise, con la volontà di individuare strumenti giuridici rappresentativi di tutti i soggetti, non solamente «quelli corrispondenti al parametro del cosiddetto neutro-maschile». Giolo mette in guardia infine sulla deriva ideologica di rappresentare «un’identità femminile “essenzializzata”, serialmente determinata, uniforme e condivisa da tutte le donne». Rischio in parte smorsato secondo l’autrice dalla via giurisprudenziale dei singoli casi, spesso preferita alla produzione legislativa. Alla luce delle considerazioni sul rischio di una deriva essenzialista del giusfemminismo, Giolo approfondisce il concetto della soggettività politica e giuridica delle donne come singole nel contesto di una società multiculturale ricordando, su insegnamento di Letizia Gianformaggio, le strategie volte a contrastare la soggettività delle donne al di fuori dei gruppi (oscurantista, assimilazionista e paternalistica dei liberali), aggiungendovi quella identitaria «che stronca sul nascere qualsiasi rivendicazione femminista rinnegando la possibilità di un’unità identitaria delle donne e quindi di un’unità delle rivendicazioni delle stesse» .
Il giusfemminismo, nella riflessione condotta da Giolo, mostra tutte le sue potenzialità, rivelandosi valido non solo per le donne, ma «in grado di produrre un miglioramento significativo nel modo di intendere, di applicare e di vivere il diritto stesso», infatti viene messo alla prova dal curatore quale cornice teorica e approccio metodologico per affrontare questioni specifiche, valorizzando le esperienze di ricerca, professionali e politiche delle autrici.
In tema di violenza maschile sulle donne si confrontano Barbara Spinelli e Chiara Sgarbi; Alessandra Facchi e Lucia Re rileggono il pensiero di Catherine MacKinnon interrogandosi sugli stereotipi che rischiano di generarsi dalla tematizzazione della “differenza sessuale”, mentre Caterina Botti e Patrizia Borsellino affrontano le prospettive femministe nel dibattito bioetico contemporaneo e l’attenzione ai diritti delle donne nei diversi orientamenti della stessa bioetica; Brunella Casalini e Maria Giulia Bernardini dialogano sugli stereotipi che potrebbero derivare dalla pratica/etica della cura approfondendo i concetti di vulnerabilità, dipendenza e autonomia in presenza di corpi sessuati, ma anche disabili, sia nella dimensione privata, sia in quella pubblica del lavoro, della rappresentanza e delle istituzioni (Susanna Pozzolo e Rosa M. Amorevole).
L’insieme dei saggi raccolti permette di cogliere come il progetto sia nato e si sia sviluppato dalla diretta sperimentazione di una «postura di ascolto e dialogo» all’interno del personale percorso di ricerca e didattica del curatore, come pure nella dimensione pubblica del suo impegno politico. Così Casadei tocca due questioni particolarmente significative per questo nostro atelier: la prima è la dimensione della relazione di reciprocità e orizzontalità, attitudine per lo più sconosciuta alle strutture tradizionali di produzione del sapere e che questo atelier si propone di indagare quale presupposto metodologico per un approccio alla ricerca innovativo; la seconda riguarda la scelta/necessità di posizionarsi in prossimità dell’oggetto di indagine senza neutralizzare il coinvolgimento politico individuale finalizzato a produrre mutamento sociale, in direzione del quale convergono tutte le autrici del volume, seppure con strategie non omogenee.
Rilevante, ma problematica nell’ottica di questo nostro Atelier, è invece la distinzione che corre lungo tutta l’opera tra giusfemminismo e femminismo giuridico. Il primo, inteso come disciplina entro cui ridefinire categorie e strutture dell’ordinamento giuridico nel suo insieme, di fatto viene messo all’opera nei contributi raccolti ancora intorno ai problemi e agli interessi delle donne, per di più attraverso il pensiero di autrici che operano in ordinamenti giuridici diversi e nel solco di una strategia di negoziazione da attuare prevalentemente attraverso la legge (con inevitabili esiti emancipazionisti). Mentre il femminismo giuridico indica nel volume l’insieme delle posizioni del femminismo sul diritto.
Questo Atelier, invece, intende discutere e avviare ricerche intorno all’ipotesi di un femminismo giuridico inteso innanzitutto come produzione di teoria ed esperienza giuridica che, oltre a non scindersi mai, possa in sé costruire le basi di un vero e proprio approccio metodologico alla ricerca sociologica e filosofico-giuridica, nonché all’azione giuridica senza tralasciare le implicazioni con la politica. Una teoria, in altre parole, che non appiana i conflitti e non limita gli eccessi rispetto ai confini disciplinari, invitando ad una «pratica politica costitutiva di soggetti», fertile proprio perché eccedente ed eccessiva, con «ambizioni generali» di analisi e ricerca, dal momento che «il mondo è attraversato dal genere e da esso organizzato» (Tamar Pitch, Sesso e genere del e nel diritto: il femminismo giuridico, in Emilio Santoro (a cura di), Il diritto come questione sociale, Giappichelli, Torino, 2010, p. 110).
Un’altra questione che sollecita un confronto urgente è quella del concetto di eguaglianza nel suo confronto con le differenze di cultura, ma anche con le disparità di “capacità” dei corpi: nei contributi raccolti tale confronto avviene utilizzando quale paradigma di lettura e di risposta a quello della differenza sessuale – nella declinazione prevalentemente data dal femminismo americano “culturale” che per sexual difference indica una serie di caratteristiche e atteggiamenti considerati propri del femminile. Così le molteplici differenze affrontate (tra tutte, quelle determinate dalle disabilità) risultano a loro volta costituire connotati di gruppi di soggetti che per quelle differenze si distinguono e tra loro riconoscono conducendo battaglie comuni sul piano del diritto, visto però di nuovo come strumento per appianare quelle stesse differenze costitutive della loro soggettività.
Il diritto così è chiamato non solo a farsi due, ma a moltiplicarsi all’infinito, continuando però a mantenere invariata la propria struttura e rispondendo solo come strategia di risoluzione di conflitti tra differenze. Uno spunto per spostare la riflessione ci viene, invece, proprio dal saggio di Giolo contenuto nel volume, che avvia un confronto con il pensiero di Letizia Gianformaggio, per la quale eguaglianza e differenza/e non solo non si escludono, «ma si implicano a vicenda, sia sul piano descrittivo che su quello normativo» (Tamar Pitch). Il punto da cui ripartire per avviare nuove riflessioni comuni è, allora, proprio questo.
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