Apparso su Umanità Nova il 12 Marzo 2016, l’articolo originalmente intitolato”Quando parliamo di tentare di destabilizzare un sistema” è il contributo di Dilar Dirik nell’incontro con Norma Santi. Il testo che riportiamo propone la Gineologia come un’alternativa alle scienze sociali esistenti, che vengono risignificate e interrogate in modo critico di fronte al femminismo accademico, vincolato ad un’organizzazione della produzione di sapere incentrata su un modello gerarchico e neoliberista. La Scienza delle donne (Jineoloji) è vista come un’alternativa allo stato e al capitalismo nel suo rapporto diretto con un nuovo modo di produzione di conoscenza al di là della separazione tra la teoria e la prassi, che comprende un nuovo paradigma di lotta e di ricerca.
Introduzione di Norma Santi*
Nelle prime due settimane di marzo, la sociologa curda Dilar Dirik, ha tenuto diverse conferenze presso alcune università italiane sviluppando alcuni aspetti del movimento di liberazione curdo, con particolare attenzione al movimento delle donne curde ed alla jineologia, scienza o paradigma delle donne. In occasione di questo viaggio ho incontrato Dilar che, prima di partire, ha lasciato un suo contributo per Umanità Nova.
Quando parliamo di tentare di destabilizzare un sistema, cosa che sarebbe liberatoria per molte parti della società, è importante realizzare che, prima di ogni altra cosa, dobbiamo iniziare una rivoluzione mentale poiché possiamo constatare come il sistema educativo, la meccanicizzazione dei nostri pensieri e del loro flusso, siano strutturati per generare oppressione, patriarcato e diverse forme di violenza persino istituzionalizzate nella nostra mentalità.
Violenza e oppressione sono via via diventate naturali, interiorizzate e normalizzate nelle nostre menti, per questa ragione tutto questo ha avuto inizio. Possiamo constatare che oggi le istituzioni dominanti contribuiscono a perpetuare forme di oppressione come razzismo, sessismo e differenza di classe e non sono state concepite per consentire di analizzare criticamente ed invertire il meccanismo di oppressione, guerra, povertà, morte ed ingiustizia. In questo senso il movimento delle donne curde crede in particolar modo che si debba formulare un nuovo paradigma di lotta che non è solo orientato ad essere contro qualcosa, come ad esempio capitalismo e stato, ma anche a lavorare su costruire e per qualcosa. Qual è l’alternativa che costruiremo al posto dello stato, del capitalismo e così via?
In tal senso abbiamo bisogno di qualcosa che abbia lo stesso meccanismo della scienza, ma che sia contrario a come l’ attuale scienza sociale lavora. Deve fondamentalmente cambiare il modo in cui noi comprendiamo la società perché non possiamo usare la stessa epistemologia e le stesse categorizzazioni per costruire un mondo nuovo che ha bisogno di un processo creativo prima di tutto ed è difficile immaginarlo specialmente in paesi di tradizione capitalista. La sinistra fallisce nell’organizzazione perché c’è una mancanza di immaginazione di come potrebbe apparire un mondo nuovo. Prendiamo l’esempio del femminismo, che nell’Accademia è diventato così astratto, così centrato sulla destrutturazione che in realtà non fornisce alcun sostegno nella vita di molte donne della comunità perché persino il linguaggio è inaccessibile ed i concetti sono così astratti e teorici che in pratica non fanno molto per la giustizia sociale come invece faceva originariamente la lotta femminista. Come possiamo avere dunque un nuovo tipo di linguaggio e femminismo, che possa essere coinvolgente ed avere impatto sulla vita, ad esempio, di mia nonna, della mia vicina, della donna che muore di fame per strada o che ha dieci figli?
L’Accademia purtroppo è concepita per tenere sotto controllo i pensieri di sinistra e radicali. L’idea di democrazia, ad esempio, è stata data in mano a poche persone che sono molto distaccate dalla società e dalla comunità. A tale proposito, con la Jineologia, noi vogliamo rendere visibile un nuovo approccio alla scienza, un nuovo paradigma su come la scienza sociale può funzionare, che può non solo capire la società ma analizzare veramente la complessità della società stessa ed i meccanismi che la rendono così com’è, piuttosto che concentrarsi solo sull’ interpretazione di classe o l’interpretazione di genere. Come possiamo davvero capire la società e soprattutto come possiamo costruire una nuova società? Ad esempio il femminismo tende a destrutturare il genere. Ma su quale modello? Quale potrebbe essere l’alternativa?
Questo analizzando i collegamenti non solo ontologici ma anche jineologici tra gerarchia e stato, democrazia, concetto di proprietà ed il collegamento tra potere e conoscenza e come questo impatta, soprattutto sulle donne, la natura, le comunità indigene ed i poveri. Il movimento delle donne curde ha iniziato ad approcciare in maniera diversa alla scienza con attenzione alla Jineologia. “JiN” in curdo vuol dire donna e la jineologia non è una nuova scienza ma piuttosto un nuovo paradigma di come noi pensiamo alla scienza, come lo facciamo, che metodo possiamo usare, quale può essere la metodologia in un sistema che usa questo stesso metodo per creare più ingiustizia. Come possiamo decolonizzare il sistema che utilizza l’attuale scienza sociale, come possiamo dare valore ad ogni fonte di conoscenza?
Perché oggi noi vediamo istituzioni come le università, edifici quadrati nei quali la conoscenza può essere venduta, quindi tu vai lì, paghi e ottieni la conoscenza, ottieni un lavoro e diventi parte del sistema capitalista. Ma noi pensiamo che un’idea di scienza e conoscenza che può essere venduta e acquistata sia la prima fonte di problemi. Cos’è la conoscenza, come possiamo considerare la conoscenza? Per il nostro attuale sistema è soltanto costituita da fatti che possono essere misurati, che possono essere articolati in numeri, lettere o formule quindi questa è la verità, questa è la realtà, perché posso misurarla, uno più uno fa due ma, in realtà, la vera conoscenza è fatta di saggezza. Faccio ancora l’esempio di mia nonna che vive in un villaggio in montagna ed altre persone che hanno trascorso la loro vita per secoli qui rendendola via via migliore. Le cose che lei vive e fa e pensa e sente sono anch’esse fonti di conoscenza ma a queste noi non diamo valore. Vediamo il folklore come qualcosa che semplicemente non è serio perché non contribuisce a questa idea lineare di come la storia dovrebbe funzionare. Ad esempio la storia delle nazioni è il risultato di una corrente di pensiero che crede che fondamentalmente la scienza debba essere un percorso lineare e lo stato, la nazione sia il culmine dell’evoluzione e fine di questo percorso, che lo stato sia il progresso, la civilizzazione, la fede e la più alta espressione del progresso umano.
Questo è il frutto anche della divisione soggetto e oggetto, di un dualismo, secondo cui, l’uomo è soggetto e la natura è oggetto. L’uomo specialmente nell’era moderna, legittimato da pensatori come Francis Bacon e René Descartes, incrementa questo pensiero dicotomico per cui l’uomo e’ la mente, soggetto, e la donna e’ il corpo, l’oggetto; la mente è il soggetto, l’emozione è l’oggetto: lo stato è il soggetto e la comunità, la società sono l’oggetto. Questo genere di dicotomia che implica fondamentalmente una gerarchia, in pratica, legittima la dominazione e la schiavitù e naturalizza questi concetti facendo sì che, molti movimenti, incluso il Pkk, siano arrivati a pensare che lo stato significa libertà, che essere uno stato significa progredire, svilupparsi, significa la fine della nostra oppressione. Questa sorta di pensiero ha portato a convincerci che siamo oppressi perché non abbiamo uno stato, quando, in realtà, è lo stato il problema. Dunque quando sono stati uniti i concetti di comunità e stato, nazione e stato, libertà e stato, indipendenza e stato, è nato il primo problema della società. Possiamo dunque constatare come l’idea che abbiamo di storia e il modo di pensare il nostro lavoro sociale siano frutto di questo meccanismo di pensiero. Quindi il nostro approccio con il progetto di Jineologia è un nuovo modo di pensare, un esperimento, un nuovo metodo di discussione.
Non crediamo di avere una nuova scienza rivoluzionaria, abbiamo solo un nuovo modo di interpretare la scienza, di dare valore alla conoscenza, di riarticolarla cercando di sovvertire il meccanismo gerarchico che le unisce al potere. Cosa possiamo fare in pratica. Ad esempio noi ascoltiamo tutti, promuoviamo ogni interazione tentando di avere un linguaggio accessibile che non significa un linguaggio povero perché non ragioniamo in termini di basso e alto, ma vogliamo che persone come mia nonna, che io amo molto, capiscano cosa diciamo e che vogliamo acquisire conoscenza ed imparare da queste persone. Quindi cerchiamo di sovvertire la gerarchia di chi sa qualcosa su chi non la sa, cerchiamo di rendere il flusso di conoscenza più organico ed orizzontale.
Vogliamo dare valore ad ogni esperienza ed ad ogni voce, non in un’ottica di relativismo culturale per cui questa è un’opinione e questa è un’altra, ma ci basiamo sull’idea che alcuni principi non debbano essere messi in discussione come ad esempio la liberazione delle donne, ecologia e razzismo. La nostra scienza è dunque connessa anche al tipo di società che vorremmo creare. Noi non ci limitiamo a parlare, categorizzare o analizzare, questo infatti è il problema della scienza sociale attuale che si limita a spiegare, evidenziare un fenomeno, farci ciò che vuole , renderlo gradevole e venderlo o, meglio ancora, metterci sopra un brevetto. No, noi questo non lo vogliamo.
Noi vogliamo venire fuori anche con delle alternative unendo tutte le nostre esperienze perché pensiamo che si debbano includere tutte le persone che sono state escluse dal produrre e riprodurre conoscenza perché la conoscenza è stata loro rubata e poi venduta e loro, in ogni caso, non hanno mai avuto accesso ad essa. Questo approccio più egalitario alla produzione, riproduzione ed allocazione della conoscenza e’ un principio fondamentale per una democrazia perché solo se ogni forma di conoscenza viene valorizzata per la sua unicità possiamo costruire una società basata su ogni individuo. Se l’esperienza, la vita di una persona indigena non è valorizzata allo stesso modo di quella di persone all’interno delle università non possiamo neppure avere un’idea di democrazia perché abbiamo già escluso dalle decisioni le persone che contano. Crediamo che ogni tipo di interazione tra esseri umani debba arrivare nell’Accademia perché vogliamo riappropriarci del mondo. Le accademie non dovrebbero essere luoghi fissi, accessibili solo a persone che hanno i soldi ed il privilegio per andarci. Noi crediamo che ogni giardino e parco, ogni angolo di strada, ogni stanza, ogni casa possano essere un luogo per auto-educarci, generare conoscenza ed utilizzarla per creare una nuova società.
di Dilar Dirik**, Roma 12 marzo 2016, tratto da Umanità Nova
**Dilar Dirik è ricercatrice al Dipartimento di Sociologia presso l’Università di Cambridge. Laureata in Storia e Scienze Politiche, seconda laurea in Filosofia, ha scritto una tesi in Studi Internazionali in cui ha confrontato il sistema dello stato-nazione e del confederalismo democratico, dal punto di vista della liberazione delle donne, con uno sguardo alle diverse linee politiche in tutto il Kurdistan e monitorando la rivoluzione in Rojava.
*Norma Santi, nata a Roma nel 1967 e laureata all’Accademia di Belle Arti Lorenzo da Viterbo in pittura, lavora a progetti, seminari e ateliers artistici in scuole di ogni ordine e grado in Italia e all’Estero. La sua ricerca attraversa la realtà, artiere di segni interni ed esterni, immagini e conflitto.