Introduzione
Il dialogo qui riportato senza alcuna modifica dall’originale è un’intervista risalente al 27 Novembre 2014, svolta da una delegazione di donne che in quel periodo, trovandosi in Rojava, è riuscita a fornire in Italia alcuni tra i primi documenti italiani di inedita testimonianza su quanto accadeva nella rivoluzione sociale dell’area da una prospettiva di ricerca e di lotta situata e femminista. Il testo è tratto dai Quaderni Gialli di Radio Onda Rossa, “Kurdistan Rojava. Viaggio nella rivoluzione delle donne” a cui si rimanda per la sua ampia introduzione storica e per una lettura completa e approfondita di tutte le altre dense testimonianze presenti nel contributo. Nel testo seguente, intervista a studenti e studentesse di un’accademia del diritto, oltre i dettagli tecnici della composizione dell’organizzazione degli istituti formativi delle accademie, si evince subito la diversità del loro metodo rispetto a quelli dell’università come intese nell’organizzazione statale. Emerge subito chiara la critica ai sistemi di giustizia statalisti nel momento in cui vengono delineati metodi d’apprendimento basati su un’esigenza continua di ricerca collettiva volta alla costruzione di un sistema alternativo a quello capitalistico patriarcale dello Stato-Nazione, che sia basato sulla convivenza sociale pacifica tra popoli e quindi interculturale, fondato sull’ecologia, sull’autodifesa e sull’autogoverno confederale. L’intervista è utile per capire l’organizzazione del diritto in Rojava. Nell’intervista si trovano poi descrizioni approfondite del contesto sociale in cui anche le leggi delle donne, pubblicate tra i materiali in questa rassegna, sono state redatte. A tre anni da questa pubblicazione sono da notare i processi avvenuti in Rojava e nel Nord della Siria, per quanto riguarda la radicale e innovativa produzione di principi giuridici e di autoregolazione, che hanno fatto sì che documenti storici -ancora in discussione- come la Carta del Contratto Sociale della Federazione Democratica della Siria del Nord, possano rappresentare un esperimento di democrazia unico al mondo.
All’Accademia di diritto in Rojava
(27 novembre 2014)
Jiyan Herdem:
Nell’accademia lavorano sei persone come amministratrici/tori, poi ci sono 26 componenti, quindi in tutto siamo 31 persone. Gli studenti hanno dai 16 ai 36 anni, ma la maggior parte ha dai 19 in su.
L’accademia è un luogo di formazione sulla storia, la filosofia, le donne, le leggi, le leggi degli stati e le leggi democratichedella società civile, nonché sul modo di lavorare nel campo giuridico. Ci sono lezioni su diversi argomenti, tra cui anche i media, e c’è un archivio dell’accademia.
Insieme a tutto questo, in parallelo, si studia il modo di diventare una persona libera, il modo in cui si può realizzare un’idea e formarsi un nuovo carattere, come si può diventare una persona scientifica.
Una persona quando viene qui all’accademia deve completare un ciclo di studi di 4 mesi, poi comincia la pratica e noi la seguiamo: guardiamo come si muove nella pratica, se ha capito bene o no. Perché l’accademia deve rispondere ai bisogni della società e le persone devono essere pronte alle richieste della società democratica. Dopo il periodo di prova, se sono pronte, vanno a lavorare in vari luoghi, secondo le proprie capacità.
Noi critichiamo i sistemi di giustizia statalisti, sono antidemocratici. Non vogliamo costruire uno stato, ma delle autonomie democratiche. Quindi dobbiamo riempire il vuoto dello stato sulla giustizia, e correggerlo con il nostro nuovo modello, formando persone che possano rispettare i principi democratici della società civile. Per questo esiste l’accademia. Il nostro sistema formativo non è quello di far imparare a memoria le cose. Al contrario, cerchiamo di far capire alle persone la mentalità della società democratica.
Per esempio, ogni persona mostra un po’ di egoismo e di voglia di egemonia e così, quando prende il potere, diventa un mostro. Il nostro metodo educativo prevede la critica al sistema in atto,oltre che la trasformazione di quei caratteri che creano ostacoli alla costruzione della società civile democratica.
Anaheeta Shekhe:
Una cosa molto importante da aggiungere è che, nel sistema della giustizia dello stato, il diritto delle donne non è difeso come dovrebbe essere. Magari ci sono le leggi, ma sono solo parole. Invece noi abbiamo preso come base i diritti delle donne. E abbiamo leggi particolari per le donne nel nostro sistema di giustizia. Ogni persona che esce da quest’accademia deve rispettare
queste leggi sulle donne. Non solo perché sono leggi, ma perché le reputa importanti e ci crede.
Vogliamo una vita equa e veramente insieme, una vita libera. Le leggi delle donne che abbiamo scritto ancora non prevedono quali pene dovrebbero essere adottate, ma sono state accettate ufficialmente dal parlamento.
Per esempio, secondo le nostre leggi sposarsi con due donne è un reato, chi lo fa non è accettato.
Se un uomo vuole sposarsi con un’altra donna, deve prima divorziare e poi sposarsi di nuovo.
Inoltre è vietato, anzi è un crimine, non riconoscere la volontà di una donna.
Alcuni diritti delle donne sono: il diritto alla propria volontà, il diritto nel matrimonio, il diritto ad avere bambini, il diritto alla proprietà (una percentuale dovrebbe spettare anche alle donne), il diritto all’affidamento di figli/e in caso di divorzio, ecc. Il sistema dello stato siriano non prevede che le donne possano possedere un patrimonio, né che possano essere affidatarie dei figli. In Siria le donne non hanno diritti, è il maschio che detiene il patrimonio. Non si dovrebbe guardare alle donne come lavoratrici di casa, ma come a lavoratrici della società, e si dovrebbe riconoscere la loro fatica in ogni momento della vita. Quando parlo delle leggi per le donne che sono state approvate in Rojava intendo questo tipo di articoli. Sono argomenti molto delicati, anche per le donne, cioè le donne si devono muovere molto sensibilmente quando si occuperanno delle leggi nella società.
Un ragazzo:
Per noi ci sono tre cose principali, le donne, l’ecologia e la democrazia. Questi tre principi sono tra loro collegati e molto importanti, non separabili l’uno dall’altro, e la nostra accademia si articola intorno a questi concetti.
Nell’accademia finora abbiamo fatto due cicli di quattro mesi, adesso stiamo portando avanti il terzo ciclo. Per quattro mesi facciamo teoria, poi la pratica e la teoria vanno portate avanti contemporaneamente. Inoltre una volta ogni due mesi le persone devono tornare all’accademia per condividere le esperienze fatte e fare rapporto sulla loro pratica.
Una ragazza:
Io ho studiato giurisprudenza nell’università dello stato arabo in Siria: si doveva andare all’università per 4 anni, poi si faceva la pratica, ma nessuno era interessato se eri bravo o no.
Da noi qui non è così: le persone si educano, non c’è qualcuno che insegna loro, ma imparano nella vita sociale. Questo metodo dà molto di più in termini di creatività e rende le persone molto più emancipate. È un metodo di maggior qualità. Da noi è importante non allontanare le persone dalla società e viceversa, la società dalle persone. Non possiamo dire che viene prima la persona da sola o che viene prima la società da sola. L’una non può andare avanti senza l’altra. Come funziona il sistema giudiziario? Chi sono i giudici, cosa fanno e come vengono eletti? Dobbiamo spiegarvi il sistema per farvi capire come lavoriamo.
Quando c’è un problema sociale, prima di tutto si va dai comitati di pace della zona dove si è verificato il problema. Nel nostro sistema in ogni tribunale ci sono 3 giudici che collaborano insieme e hanno 2 vice giudici. I vice giudici possono essere anche 3-4, a seconda delle necessità della zona e dalla grandezza (popolazione) della giurisdizione. Per esempio a Qamishlo abbiamo 4 vice giudici. Non si tratta di giudici come nel tribunale statale. Per diventare giudici si devono fare 4 mesi di accademia. Ma all’inizio quando abbiamo messo in piedi il nostro sistema non c’era ancora l’accademia e così abbiamo dovuto ricorrere ad alcuni giudici esperti, scelti per non lasciare un vuoto. Adesso invece cerchiamo di preparare i giudici con l’accademia. Anche quelli che hanno cominciato a lavorare subito, adesso devono passare dall’accademia e condividere le esperienze fatte, così sapremo se possono far fronte alla responsabilità di giudice o meno.
Se c’è un’inchiesta, l’accusatore va a fare la ricerca sul posto e parla con tutte le realtà interessate, poi basandosi sulle leggi porta il caso al tribunale e il tribunale discute e decide. Se la decisione del tribunale non viene accettata dalla persona, questa entro 15 giorni ha diritto di opporsi e portare il caso al tribunale di secondo grado. In questo modo non vengono negati i diritti del cittadino.
Abbiamo due tribunali, uno civile e uno penale. Ogni tribunale ha tre giudici dello stesso grado.
In realtà non vogliamo che la persona venga subito accusata e portata in tribunale, o che venga arrestata e messa in carcere. Anzi vogliamo che si risolva il problema nei comitati di pace nei quartieri, altrimenti, se non è possibile, si va alle assemblee delle città che si occupano di risolvere le questioni sociali. Se non si può risolvere nemmeno in questi comitati sociali, allora si può andare oltre e chiedere un’inchiesta.
L’importante è che i problemi si risolvano all’interno della società stessa.
Il tribunale non ha diritto a decidere da solo i casi di grande rilevanza. Può decidere i piccoli casi che non hanno un grado d’importanza sociale per tutta la regione.
Per noi è importante che la popolazione partecipi alle decisioni sociali più delicate. La comunità deve partecipare alle sedute del tribunale e dire la propria, fare proposte per una soluzione e facilitare una decisione.
Un processo non vuol dire che tre giudici decidono tutto e tutto finisce con loro. No! Ci sono dei fatti che possono danneggiare la società in maniera pesante, ci sono vari casi molto seri per i quali non possono decidere tre persone, anche se esperte. L’importante è che in questi casi sia espressa la volontà della società civile. Non dimentichiamo che siamo contro il sistema giudiziario dello stato, che non prevede la partecipazione della società civile.
In Rojava ci sono i comitati, i gruppi locali dei quartieri, dei villaggi o delle città. Inoltre, ovunque c’è una giuria che è eletta dalla popolazione e che è formata da persone di cui tutti si fidano e in cui tutti credono, la cui equità è accettata e rispettata. Queste persone possono essere cambiate dal popolo, quando necessario.