Si parte e si torna insieme: il femminismo come lettura complessiva dell’esistente
La violenza di genere non è un’eccezione o un’emergenza del momento, ma il prodotto del patriarcato che ha una storia millenaria. Patriarcato che nel sistema capitalistico ha trovato nuova linfa vitale, a partire dalla divisione sessuale del lavoro che ha relegato le donne dapprima nella dimensione domestica – facendo così della famiglia etero-normata e mononucleare il cardine della riproduzione sociale -, in secondo luogo includendole nel mercato del lavoro a mezzo di nuove violenze, disparità e ingiustizie. La violenza di genere e dei generi è perciò un fenomeno strutturale che tocca tutti gli ambiti delle nostre esistenze. È figlia di questa società ancora fortemente patriarcale, di un certo modo di produrre e di riprodurre la vita, e si afferma a partire dalle primissime esperienze di ognun@ di noi, a partire dai modelli che assimiliamo in famiglia, a scuola, nelle relazioni, sul lavoro, attraverso i media.
Il percorso di stesura del piano è stato lungo e non privo di contraddizioni, e siamo consapevoli che si tratta soltanto del primo passo di un cammino più ampio che vuole arrivare a trasformare complessivamente il mondo che ci circonda, perché non c’è sfera o ambito della società che sia immune dalle molte forme della violenza di genere. Il cambiamento deve pertanto essere radicale e partire in primo luogo da noi, creando nuovi modi della politica e dell’essere in comune. Per queste ragioni la riflessione collettiva ha guardato non solo ai terreni della produzione e della riproduzione sociale, della formazione e dell’informazione, delle relazioni e della salute, ma anche ai movimenti sociali, ai nostri spazi, ai gruppi politici, ai contesti che vorremmo, e talvolta definiamo, liberati, ma che non sempre sono esenti dalla riproposizione di dinamiche sessiste e violente. I nostri vissuti, le nostre esperienze di attivismo e militanza, il movimento stesso Non Una Di Meno, sono stati dunque anch’essi oggetto della nostra analisi. Perché l’antisessismo e il femminismo non sono semplicemente dei temi o degli attributi, ma una postura, un modo complessivo di stare al mondo, la lente, per noi imprescindibile, attraverso cui leggere e trasformare il reale.
Per questo è necessario riprendere tutt@ insieme parola, liberare spazi in cui sia possibile partire da sé, praticando forme di resistenza e di autogestione; aprire contesti in cui si possano decostruire le relazioni di potere e le asimmetrie; luoghi dove le nostre pratiche antiautoritarie e modelli di socialità liberi dalla violenza siano prioritari, dove sperimentare nuove modalità di relazione e di cura. Solo così diviene possibile riaffermare una vera “cultura del consenso”: una cultura, cioè, capace di rimettere la questione del consenso al centro di ogni interazione – sessuale, sociale, politica -, senza mai dare per scontati ruoli o desideri sessuali, preferenze o opinioni; senza mai porsi al di sopra delle/degli altr@ o prevaricare. Il consenso è un processo aperto, mai risolto una volta per tutte, un’interazione costante basata sulla capacità di ascolto e su pratiche di condivisione.