Anna Simone, I talenti delle donne, Einaudi, Torino 2014

Anna Simone, I talenti delle donne, Einaudi, Torino 2014

Pratiche di libertà nel declino del paternalismo

di Federico Zappino – pubblicato su ‘il manifesto’, 1 ottobre 2014

 

E’ ormai chiaro che i libri che par­lano delle donne – così come quelli che par­lano di gay, lesbi­che, trans, per non par­lare di gio­vani, migranti e pre­cari – si divi­dono in due filoni: quelli che con­cor­rono al con­so­li­da­mento degli ordini discor­sivi che pre­sie­dono alle varie forme di sog­get­ti­va­zione main­stream (in un modo o nell’altro fun­zio­nali, cioè, all’ideologia domi­nante); e quelli che fanno ana­lisi cri­tica, e cri­tica sociale. In que­sto secondo filone si col­loca il libro che Anna Simone ha appena pub­bli­cato per Einaudi, I talenti delle donne: una rifles­sione ela­bo­rata a par­tire da ven­tuno inter­vi­ste con donne dalle bio­gra­fie tra loro assai diverse, pro­ve­nienti dalla poli­tica (Bonino, Cati­zone, Cuc­chi, Pup­pato), dalla ricerca (Del Re, Lec­cardi, Napo­leoni, Sara­ceno), dalla cul­tura (Melan­dri, Ran­geri), dal sociale (Camusso, Sen­ti­nelli). E vi si col­loca nono­stante la sfida di pub­bli­care una rifles­sione cri­tica, anche con­tro­cor­rente, con un edi­tore così pre­sti­gioso, non fosse sem­plice: il rischio di non dire nulla di «peri­co­loso», per «par­lare a tutti» è in que­sti casi sem­pre in agguato.
Al con­tra­rio, appare chiaro fin dall’indice che la rifles­sione con­si­ste in un lavoro deco­strut­tivo nei riguardi del fascino che le reto­ri­che domi­nanti in mate­ria di «donne» con­ti­nuano a sor­tire non solo a livello media­tico, ma pro­prio a livello di poli­ti­che imple­men­tate: dalle apo­rie dell’autodeterminazione agli argo­menti sem­pre­verdi pro o con­tro le quote, dalla più becera vit­ti­miz­za­zione ai reali pro­blemi di wel­fare, dai limiti del for­ma­li­smo alle insi­die del «merito», è tut­ta­via nell’individuazione dello scarto all’interno del quale que­ste deco­stru­zioni devono essere calate che l’analisi di Simone mette a tema un aspetto cru­ciale: il muta­mento di para­digma inter­corso nel pas­sag­gio da una società «patriar­cale» di tipo repres­sivo a una neo­li­be­rale in cui la moda­lità ope­ra­tiva del potere è prin­ci­pal­mente di tipo «pater­na­li­sta».
Meno acci­den­tata e più sci­vo­losa sarebbe stata resa infatti da que­sto pas­sag­gio la rela­zione tra le strut­ture di potere e l’eccedenza fem­mi­nile, al punto che Simone pro­pone di con­cet­tua­liz­zare l’accresciuta com­ples­sità al di fuori dai bina­ri­smi (eguaglianza/differenza, inclusione/esclusione, ecc.) che ne hanno sto­ri­ca­mente strut­tu­rato l’esperienza. Se il patriar­cato si fonda sull’esclusione delle donne dalla sfera pub­blica, e su una distin­zione tra pub­blico e pri­vato che trae linfa pro­prio dalla misti­fi­ca­zione della dif­fe­renza, il pater­na­li­smo invece scom­bina e a un tempo ricom­bina tutto ciò, poi­ché si esplica nella pro­du­zione delle moda­lità che deter­mi­nano pro­prio l’inclusione dif­fe­ren­ziale delle donne. Si esplica, in fondo, in una pro­du­zione, in senso fou­caul­tiano, delle stesse sog­get­ti­vità fem­mi­nili da inclu­dere: un’inclusione il cui cri­te­rio, lungi dall’essere «poli­tico», ha più a che fare con la messa a valore dei corpi e delle atti­tu­dini fem­mi­nili, testi­mo­niata dalle reto­ri­che sulfat­tore D o sulla wome­no­mics o dal diver­sity mana­ge­ment. E dun­que cosa resta, in que­sto pas­sag­gio, degli spazi di libertà e di desi­de­rio – i quali o sono cate­go­rie poli­ti­che o non sono nulla – che le donne hanno con­qui­stato con le lotte degli ultimi due secoli? Quali forme di resi­stenza arti­co­lare nel momento in cui simu­la­cri di libertà e di desi­de­rio sono pie­gati a quella che, per citare Carla Lonzi, sem­bra essere l’inclusione ricat­ta­to­ria delle donne alla grande scon­fitta dell’Uomo – ben testi­mo­niata dal tra­collo eco­no­mico e dallo sman­tel­la­mento del wel­fare al quale le donne sono chia­mate a met­tere al ser­vi­zio di tutti, in forme varie, la pro­pria fun­zione stru­men­tal­mente «reden­tiva»?

È in fondo que­sta la domanda che innerva le pagine del libro, alla quale l’autrice risponde par­tendo da sé, così come dalle espe­rienze pro­tei­formi delle inter­vi­state. Ma alla quale risponde soprat­tutto guar­dando a quella genea­lo­gia fem­mi­ni­sta che con intel­li­genza ci ricorda che «se non si cam­biano all’origine le moda­lità attra­verso cui orga­niz­zare la società», se si rinun­cia alla radi­ca­lità, le nostre ben inten­zio­nate parole e azioni si espon­gono alla più pura stru­men­ta­liz­za­zione. Che all’origine di tutto ciò vi sia più un «pro­blema maschile» che uno fem­mi­nile – ossia un pro­blema che parte dalla rela­zione (ete­ro­nor­mata) tra i generi e che sfo­cia nelle dise­gua­glianze strut­tu­rali e vice­versa –, e che que­sto pro­blema si mani­fe­sti nella crisi di tutta un’organizzazione sociale, è forse l’unica cer­tezza che l’autrice sente di affer­mare, in un campo aperto di salu­tari domande. Che il patriar­cato e il pater­na­li­smo, al netto dello scarto, con­di­vi­dano d’altronde la stessa radice eti­mo­lo­gica (pater, padre) non sarà una fatalità.

Lascia un commento