LIBERE DI AUTODETERMINARCI. Percorsi di autonomia e fuoriuscita dalla violenza

LIBERE DI AUTODETERMINARCI. Percorsi di autonomia e fuoriuscita dalla violenza

Violenza e diritto d’asilo
Rivendichiamo e risignifichiamo politicamente il diritto d’asilo per le donne che si sottraggono a ogni forma di violenza economica, fisica, psicologica e patriarcale sia nei paesi di origine che di transito. Applichiamo una prospettiva femminista alla questione della fuoriuscita dalla tratta che rifiuta il predominante discorso repressivo e di condizionare la tutela delle donne alla narrazione di sé come vittime. Sfruttamento e tratta sono forme della violenza strutturale e sistemica contro le donne, di cui il regime dei confini è complice limitando la libertà di autodeterminazione e di movimento. Rivendichiamo la libertà di circolazione in Europa per ogni richiedente asilo; contrastiamo ogni logica limitativa della libertà di movimento e di autodeterminazione durante le procedure di asilo e nelle fasi successive.
Pertanto pretendiamo:
• L’effettivo accesso alle procedure e il riconoscimento della protezione internazionale¹ per le donne che si sottraggono a ogni forma di violenza. A tal fine chiediamo il riconoscimento esplicito delle donne e delle soggettività LGBTQIA+ come determinato “gruppo sociale” ai fini della legislazione sulla protezione internazionale.
• Che sia messa in discussione e venga rielaborata criticamente la scelta politica di distinguere il piano nazionale antiviolenza e il piano nazionale anti-tratta. Deve essere praticato un approccio femminista sia nei percorsi dedicati alle vittime di tratta sia a quelli per le richiedenti asilo, con l’obiettivo che l’utenza diventi agente delle strategie di fuoriuscita dalla violenza;
• La ridefinizione degli strumenti giuridici di contrasto alla tratta sulla base della violenza e dello sfruttamento e in maniera indipendente dalla coercizione o meno della volontà delle donne.
• I percorsi di fuoriuscita dalla violenza e dallo sfruttamento non possono essere affrontati con politiche repressive, bensì garantendo reddito di autodeterminazione, diritti e servizi;
• Che sia allargata la tutela del permesso di soggiorno per le donne che subiscono qualunque forma di violenza (art. 18 bis TUIMM), anche episodica e sul posto di lavoro, svincolandolo dal percorso giudiziario/penale, e garantendone l’accesso effettivo alle donne prive di documenti sul territorio.

Violenza assistita: minori
Si chiede alla donna di essere una “brava madre” al di fuori della violenza e, di contro, si considera il padre adeguato anche se violento, in aperta violazione della Convenzione di Istanbul (Titolo V art. 31). Pensare che la violenza e la funzione genitoriale siano distinte comporta sempre un ulteriore danno sia per la donna che per le e i minori. Ecco perché la convenzione impone che “nel determinare i diritti di custodia e di visita delle e dei minori siano presi in considerazione gli episodi di violenza” non compromettendo i diritti e la sicurezza della madre e delle e dei figl@.
Nei Centri Antiviolenza si agiscono interventi di ricostruzione dei legami emotivi per prevenire o intervenire nel caso di comportamenti aggressivi, isolamento relazionale, inibizione affettiva; per promuovere e garantire la restituzione del senso di sicurezza e della propria infanzia. Non è possibile attuare alcun sostegno se non è assicurata la protezione di madri e figl@, se non si interrompono gli episodi di violenza che spesso si amplificano con la cessazione della convivenza familiare e che vedono le e i figl@ strumentalmente utilizzat@ dai padri contro le madri. La violenza assistita,: intrafamiliare assistita intrafamiliare, diretta e indiretta, causa alle e ai minori danni nel riconoscimento, nell’espressione e nella gestione delle emozioni, compromette il rapporto genitoriale tra padri e figl@, e ha evidenti ripercussioni sulla relazione genitoriale. Un padre che agisce violenza non è un buon padre. Si rende quindi necessario superare la cultura giuridica che riconduce la violenza maschile sulle donne alla “conflittualità” di coppia, disconoscendo il fenomeno stesso della violenza e sminuendo la credibilità delle donne che la subiscono.maschile sulle donne alla “conflittualità” di coppia, disconoscendo il fenomeno stesso della violenza e sminuendo la credibilità delle donne che la subiscono.
Pertanto pretendiamo:
• Introdurre modifiche legislative in materia di affidamento condiviso (artt. 337 quater c.c. e ss.), escludendo la sua applicazione in tutti i casi di violenza intrafamiliare e opponendosi ad altre forme di affidamento, come quello alternato, che causano pregiudizio e svuotamento dei diritti economici delle donne (la perdita del diritto all’assegnazione della casa familiare e del mantenimento), generando una condizione di dipendenza e subordinazione economica nei confronti degli ex partner come un ennesimo strumento di ricatto;
• Assicurare l’applicazione dei provvedimenti ablativi e/o limitativi della responsabilità genitoriale paterna;
• Rispettare nei casi di violenza il divieto di mediazione familiare e di soluzioni alternative nelle controversie giudiziarie;
• Contrastare l’abdicazione da parte delle e dei giudici minorili e civili alla propria funzione di valutazione e decisione, praticata attraverso la delega di fatto alle e ai Consulenti tecnici d’Ufficio e al personale dei servizi sociali, e quindi vietare di procedere a valutazione psicologica e psicodiagnostica sulle donne vittime di violenza e sulla loro capacità genitoriale, valutazione che dovrebbe essere centrata sulla sola figura paterna evitando l’equiparazione dell’uomo maltrattante alla donna maltrattata;
• Garantire alle e ai minori una tutela integrata effettiva con la semplificazione del rilascio/rinnovo dei documenti, nulla osta scolastici, accesso ai servizi di sostegno psicologico e cure sanitarie
Autonomia economica e lavorativa
L’orientamento e l’inserimento lavorativo sono fondamentali per i percorsi di liberazione e autonomia delle donne che fuoriescono dalla violenza, in quanto consentono la rottura dell’isolamento, la riacquisizione di autostima, la capacità di riconoscere le proprie competenze, abilità e limiti per assicurarsi una reale indipendenza, soprattutto dal punto di vista economico.
Per garantire efficaci percorsi di autonomia lavorativa è necessario:
• Prevedere il reddito di autodeterminazione per garantire un aiuto concreto che permetta una più veloce fuoriuscita dalla violenza e/o un’efficace prevenzione del rischio di recidiva di maltrattamenti;
• Vietare il licenziamento e prevedere il trasferimento dai luoghi di lavoro con assicurazione di ricollocazione, il diritto alla flessibilità di orario, l’aspettativa retribuita e la sospensione della tassazione per le lavoratrici autonome;
• Modificare il congedo lavorativo per violenza (articolo 24 del D.lgs. n. 80/2015) che esclude le lavoratrici addette ai servizi domestici e familiari e non garantisce l’anonimato. È inoltre necessario diffondere maggiormente l’esistenza di questo strumento presso i datori di lavoro e le sedi territoriali INPS;
• Mettere a disposizione per attività di imprenditoria femminile una percentuale dei beni commerciali confiscati.
Autonomia abitativa
Nei percorsi di fuoriuscita dalla violenza il “problema della casa” assume un valore primario, cui bisogna dare risposte adeguate, non episodiche e/o emergenziali, che tengano conto delle condizioni socio-economiche complessive e individuali, nonché delle differenti soluzioni alloggiative esistenti e/o possibili. In generale è necessario il riconoscimento della residenza e del domicilio di fatto per tutte le donne, native e migranti. È indispensabile, poi, rimodulare il periodo di accoglienza e prevedere misure a sostegno dell’autonomia alloggiativa.
Ad oggi la permanenza prevista nelle Case di accoglienza per donne che hanno intrapreso un percorso di fuoriuscita dalla violenza, va dai 3 ai 6 mesi, periodo insufficiente a causa del progressivo peggioramento delle condizioni di vita materiali a cui tutte noi siamo sottoposte e all’erosione dello stato sociale, fattori che rendono più difficili e lunghi i percorsi di fuoriuscita dalla violenza.
Pertanto pretendiamo:
• Prolungare l’ospitalità a 12 mesi e conferire al tempo di permanenza una natura più flessibile, in grado di tener conto delle specificità di ogni donna e del suo percorso;
• Slegare l’ospitalità, l’accoglienza o il trasferimento in altra località dal sistema delle rette dei Servizi Sociali che non devono sostituirsi alle donne determinando i loro percorsi di fuoriuscita dalla violenza.
Tra le principali difficoltà che le donne incontrano nei percorsi di autonomia vi è quella di accedere ad alloggi sostenibili economicamente, anche per l’impossibilità di stipulare un contratto di affitto a causa dell’assenza di busta paga e garanzie sufficienti.
Pertanto pretendiamo:
• Ampliare, modificare e applicare su tutto il territorio nazionale l’esperienza della Delibera 163 del Comune di Roma prevedendo che il contributo quadriennale per l’affitto sia destinato anche alle donne uscite da situazioni di violenza; a tal fine è necessario che sia equiparata, per gravità e urgenza, la necessità di fuga dalla casa familiare per sottrarsi a una situazione di violenza all’essere colpite da una ingiunzione di sfratto, esperimento già utilizzato con successo in alcuni municipi di Roma Capitale;
• Prevedere l’istituzione di un fondo di garanzia che permetta una stipula del contratto facilitato per le donne, che potrebbero così avvalersi dei Centri Antiviolenza e delle Associazioni che li gestiscono come garanti;
• Assegnare nelle graduatorie per le case popolari massimi punteggi per le donne che hanno avviato un percorso di uscita dalla violenza presso i CAV;
• Mettere a disposizione il 10% del patrimonio pubblico per l’implementazione di case di Semiautonomia gestite da Centri Antiviolenza, e di case con affitti calmierati per donne che escono da situazioni di violenza, da sole o in co-housing, per una durata di 4 anni.

Note:

1 La protezione internazionale è un istituto, disciplinato a livello europeo oltre che dalla Convenzione di Ginevra, che prevede, a determinate condizioni, il riconoscimento dello status di rifugiat@ o della protezione sussidiaria. In Italia la procedura di accesso alla protezione internazionale può avere come esito anche un permesso di soggiorno per motivi umanitari. A oggi, nonostante alcune evoluzioni della normativa di riferimento, manca il riconoscimento esplicito delle donne e delle soggettività LGBT*QIA+ come “determinato gruppo sociale” oggetto di possibili persecuzioni ai sensi della Convenzione di Ginevra. Inoltre, nella prassi, le domande di protezione internazionale fondate su atti di violenza contro le donne, come la violenza intrafamiliare, la violenza sessuale o la tratta (costrizione alla prostituzione, sfruttamento lavorativo), difficilmente trovano accoglimento da parte delle Commissioni Territoriali per il diritto d’asilo.