Seguendo i cinque movimenti della Medicina tradizionale cinese Chiricosta
elabora un femminile potente eppure non subalterno all’idea della forza muscolare virile cara al patriarcato. Un testo che inaugura una nuova modalità di pensiero: partire dalle pratiche per passare dalle teorie e tornare alle pratiche
In Technologies of Gender (1987), Teresa de Lauretis mostra come il narratore di Se una notte d’inverno un viaggiatore derida la figura di Lotaria e delle sue compagne – al contempo donne che non si acquietano nel ruolo di semplice Lettrice, pretendendo di scrivere e addirittura fare critica letteraria, e topos calviniano che riporta alla figura delle Amazzoni –, individuando in quell’ironia l’accezione negativa di donna virago, una donna non-donna che è tale perché vuole essere simile all’uomo, e per questo perde tutte le caratteristiche che la includono nel femminile disegnato dalle culture patriarcali. Temi e figure attorno a cui ruota anche Un altro genere di forza di Alessandra Chiricosta, un volume organizzato seguendo i cinque movimenti della teoria dei wu xing della Medicina Tradizionale Cinese – Acqua, Legno, Fuoco, Terra, Metallo –, in cui la studiosa decostruisce il concetto di forza, tradizionalmente identificato con la violenza e la forza muscolare virile, posto in opposizione dicotomica con le mulieres, esseri molli, deboli, soggiogati e disponibili.
L’Acqua e il Legno
Il primo incontro è con il Movimento dell’Acqua: «Nel corpo umano, rappresenta l’eredità delle generazioni precedenti che scorre in noi […] e, come inizio di ogni nuovo ciclo, le esperienze pregresse, che hanno formato ciò che in questo momento ci troviamo a essere» (p. 28). Un movimento che ritroviamo nell’attualizzazione del gesto di Simone Weil, attraverso cui Chiricosta smonta la narrazione dell’Iliade, criticando la concezione originaria della forza, del tutto schiacciata sulla violenza del telos e della Ragion di Stato. Addomesticata secondo la dicotomia maternità e valore combattente, la donna viene esclusa dalla soggettività culturale piena, al pari della natura e degli stranieri (p. 37). Ecco il senso dell’Amazomachia scolpita sulla metope del Partenone di Atene, ovvero fondare culturalmente l’esclusione delle donne combattenti tanto dalla polis quanto dall’essere donna. D’altronde, attraverso Weil e il suo spinozismo, Chiricosta rilegge creativamente la forza raccontata dall’Iliade secondo la doppia direzione della gravità e della grazia, elementi che, in chiave daoista, possono essere associati alla forza abissale dell’Acqua, mai disgiunta dalla forza lucente, erotica e sessuale, del Fuoco. In questo modo la forza diviene movimento impersonale e ciclico, che quando si lega alla violenza è spesso caratterizzata dalla dismisura e dal dominio (p. 52). Decolonizzando Weil, Chiricosta fa notare come la legge geometrica che punisce l’abuso della forza, già oggetto di meditazione per i greci, provenisse probabilmente dal concetto di karma delle filosofie dell’Asia meridionale, orientale e sudorientale (p. 53), ribaltando così la filiazione eurocentrica stabilita dalla filosofa francese.
Il secondo movimento è il verdeggiare del Legno, forza di auto-accrescimento fino al suo giusto limite. Secondo la Medicina tradizionale cinese, questo movimento scorre nel canale del Fegato e della Vescica Bilare, innervando forze di difesa e inaugurando il movimento di espansione. Chiricosta torna sulla figura delle Amazzoni, intrecciando Weil, Angela Putino e Lina Mangiacapre, per passare dal momento decostruttivo e per certi versi ancora dialettico della prima, all’eterogenesi della smarginatura del logos nel mythos – di segno femminista e meridiano – delle seconde. Chiricosta rilegge la scena dell’Iliade in cui i Greci e i Troiani sono schierati in opposizione dicotomica e binaria sul campo di battaglia, con l’urgenza di mostrare come la forza spiraliforme e nomadica delle Amazzoni sia l’imprevisto e l’inaddomesticato accaduto durante la guerra di Troia. In un’ottica femminista naturculturale, il piano mitico e quello storico si fondono, permettendo una lettura della forza delle Amazzoni che sta né con i Troiani né con i Greci. Di conseguenza il corpo situato, sessuato e incarnato diventa l’elemento attraverso cui pensare la forza e, scalzando qualsiasi tipo di riflessione essenzialista, è possibile accedere alla figura della «donna guerriera» (p. 87), guidata dalla forza nemesiaca della «giustizia impersonale» (p. 89).
Proseguendo su questo solco, l’autrice giunge alla figurazione di Camilla, guerriera dell’Eneide virgiliana, che mostra la forza verdeggiante – postumana – della femminilità, poiché traccia un divenire-tigre, capace di far esplodere l’opposizione tra vergine e virago e tra umano e animale. In questo groviglio vediamo emergere le donne guerriere quali soggettività non previste dall’ordine dominante, poiché sanno allinearsi a quella «forza che si concepisce come non soverchiante, ma che parte dalla spirale dell’auto-accrescimento e si manifesta come pratica liberatoria» (pp. 118-119). Nelle arti marziali questo si invera nel divenire-albero, forza al contempo ben piantata nel terreno, ma anche flessibile e mutevole nel suo sviluppo verdeggiante. Seguendo Putino, Chiricosta definisce allora la forza come «esercizio e addestramento, necessità cioè di quella sensibilità contestuale, allenata nella pratica, che fa comprendere i propri limiti e quando la forza rischia di cadere fuori di sé» (p. 128). Allo stesso tempo, grazie al romanzo di Maxine Hong Kingston, La donna guerriera (1976) – in cui due narrazioni del folklore cinese divengono figurazioni del possibile, poiché rilette dall’autrice per liberarsi dalla morsa delle forze oppressive di genere e razza –, la studiosa propone una figurazione della forza del Legno smarginando Occidente e Oriente.
Nel Fuoco l’unità mente-cuore
«Giunto al suo culmine, il movimento Legno si trasforma in Fuoco» (p. 146). Il movimento del Fuoco, il cui colore è il rosso, percorre il corpo inteso come unità mente-cuore. È questo il movimento che lega la forza alla sessualità, e attraverso cui Chiricosta mostra la meccanica occidentale dell’addomesticamento della sessualità amazzonica, mostruosa e perturbante. La presenza di raffigurazioni quasi pornografiche delle Amazzoni presenti nella storia della cultura occidentale testimoniano infatti come il piacere femminile del combattimento sia stato piegato in piacere feticista dell’occhio maschile, codificando il corpo combattente delle Amazzoni come opposto trasgressivo del corpo docile della moglie e della madre. Alternativamente, Chiricosta riprende Putino e Mangiacapre, dando dignità alla passione che arde la Pentesilea (1876) di Heinrich Von Kleist, ovvero dando spazio all’intreccio tra il desiderio sessuale di Pentesilea verso Achille e la passione per un altro genere di politica propria delle Amazzoni. In questo entanglement Chiricosta mostra come il divenire-donna sia una forza che investe la soggettività, facendo posto anche al conflitto. Tuttavia, la differenza tra Pentesilea e Achille, e la necessità della prima di sconfiggere il secondo, si situa nella logica della legge delle Amazzoni, la quale «non cerca la gerarchia, ma la libertà dei due. Per realizzare questo scopo, occorre sconfiggere non l’individuo in sé, ma la forza soggiogante su cui ha costruito la sua identità […]. Essere sconfitto da un’Amazzone non significa divenirne schiavo, tutt’altro: vuol dire […] liberarsi e liberare le relazioni da condizionamenti gerarchici implicati in una visione della forza virile» (p. 173). Mutatis mutandis, ecco uno strumento utile per leggere il processo femminista delle donne curde del Rojava denominato «uccisione del Maschio Alpha», ovvero «un insieme di pratiche volte alla consapevolizzazione e al superamento di tutti quei comportamenti, abitudini, habiti che costituiscono il privilegio maschile nell’organizzazione gerarchica androcentrica» (p. 175).
Il Fuoco si trasforma in Terra
Quando il Fuoco smette di ardere si trasforma in Terra. Chiricosta adotta il punto di vista della carnalità intelligente, senziente e connettiva, mutuato da Rosi Braidotti, per riarticolare la relazione Terra/Cosmo. L’autrice mostra così l’importanza dell’esercizio pratico per connettere la soggettività alla memoria carnale della Terra, e allo stesso tempo per costruire gli strumenti per muoversi nella Chaosmosi. Gli esempi e le figurazioni si spostano allora verso le arti marziali e la potenza combattente di corpi femminili o femminilizzati. Da Edith Garrud, che insegnò alle suffragette londinesi l’arte giapponese del Ju Jitzu, alle donne che praticarono il Wen Do, pratica nata nel 1972 in Canada in contesti femministi separatisti, in cui i percorsi delle combattenti asiatiche e marzialiste furono innestati con elementi di difesa personale. Oppure la Gulabi Gang, un’organizzazione di donne nata nel 2006 nel Nord dell’India per contrastare la violenza di genere, in cui altre donne vengono istruite nella pratica collettiva dell’uso del lathi – un lungo e flessibile bastone di legno. E ancora, il sodalizio tra le monache nepalesi della Montagna Amithaba con le monache vietnamite del monastero di Tay Thien, attraverso il desiderio delle prime di imparare dalle seconde il «Gong fu come pratica di liberazione psicofisica e politica e dove la trasmissione dell’arte è […] avvenuta tra donne, nella convinzione che istruttori di sesso maschile avrebbero causato la reiterazione di stereotipi di genere e limitato la possibilità autocoscienziale della pratica» (p. 252).
Quinto e ultimo movimento, il Metallo incarna la forza della morte, in un moto spiraliforme senza il quale non sarebbe possibile alcun nuovo inizio. Il Metallo corre nei canali del Polmone e dell’Intestino Crasso, in un’alternanza di aria/respiro ed espulsione definitiva delle scorie dal corpo. Il Metallo è il movimento della forza della guerra, ma quale genere di guerra? Il terreno su cui si muove Chiricosta è ambiguo e non pacificato, ma ragionare sui nessi attorno a cui si snoda la violenza delle società militarizzate porta l’autrice a riflettere sulla forma attuale di thanatopolitca, capace di rifunzionalizzare l’inaddomesticato femminile nella militarizzazione, elemento del tutto in linea con la cultura occidentale, come mostra il mito di Athena (p. 284). Chiricosta trova allora maggiormente pertinente focalizzarsi, con Weil e Putino, sulla funzione guerriera al netto della guerra. Ci è impossibile qui addentrarci nello specifico di questa ricca analisi, ma basti sapere che viene mostrata la necessità di smontare la funzione dell’eroe, al quale viene concesso di agire la forza e di violare le regole poiché rappresenta il più forte, riconfermando quelle gerarchie virili per cui si configura «un modello di relazione in cui solo gli apici hanno il diritto di agire fuori dall’ordine» (p. 294). Alternativamente Chiricosta adotta la rilettura di Putino e Nicole Loraux, aprendo verso un’ambiguità che le consente di associare l’eroe alla figura della donna adolescente: «Non ancora addomesticata nelle logiche degli apparati, la giovane donna mostra la libertà di una forza verdeggiante che parla d’innumerevoli possibilità, di un destino ancora tutto da inventare» (p. 295). La funzione guerriera femminista permette allora di recidere il nesso doloroso con la funzione guerriera eroica della forza virile, per cui agire un taglio diviene liberazione e possibilità di trasformazione.
Diversi femminismi in contatto
Intrecciandosi con la meta(l)morfosi braidottiana e il corpo cyborg di Haraway, Chiricosta mette in primo piano lo studio delle armi da taglio articolando un’agency della materia inorganica che apre all’intreccio tra il pensiero post-secolare daoista e il modello di solidarietà femminista proposto da Talpade Mohanty. L’autrice individua così una zona di con-tatto tra diversi femminismi e ne propone un’inedita figurazione: la Guerriera-Insetto, corpo-realtà capace di agire una forza all’altezza dell’epoca dell’Antropocene. Come le guerriere tessitrici, incrocio tra l’Arakne ovidiana e la serie di movimenti del taijiquan nello stile Chen e Yang denominati «ragazza di giada che lancia la spola», da cui emerge una «tessitrice di giada che, combattendo, racconta storie con il proprio corpo. Addensa l’energia nel proprio ventre, la trasforma in seta più resistente dell’acciaio. […] Non si limita a denunciare le violenze […] che vive sulla sua – e altrui – inferiorizzazione, ma tesse modi per uscire dal dominio di quella forza e dare forma ad altro» (p. 336). Il volume di Chiricosta è dunque un libro che nasce dalle pratiche, attraversa le teorie per tornare nuovamente alle pratiche, inaugurando uno stile di pensiero che la colloca a pieno titolo nella nuova e selvaggia generazione di pensatrici femministe. Anche per questo motivo Un altro genere di forza si rivela essere una lettura indispensabile per quante e quanti vogliano esplorare e trovare strumenti utili per acquisire tutta la forza necessaria, soggettiva e collettiva, personale e politica, per agire e trasformare se stesse e il nostro inquieto presente.
Alessandra Chircosta, Un altro genere di forza. Costruzione sociale e filosofica della debolezza del corpo femminile e del mito della forza virile, Iacobelli, Guidonia-Roma 2019, pp. 351 pagine, 18 euro. e-Pub 8,99 euro.