di Elena Bastogi
Ci sono due figure nella stanza. Anzi tre, ma la terza non è una persona, è un rettile-dinosauro dagli occhi rosa e le orecchie di lepre. Non è dato conoscere i nomi e le identità dei nostri personaggi a priori perché cambiano a seconda delle necessità narrative, dunque, per una ragione di scorrevolezza, ci riferiremo a loro come F1, F2 e RDOROL ove non sarà possibile o conveniente specificare oltre.
Per adesso ci basti sapere che la stanza ha una finestra, alla quale è affacciata F1, o io bambina. Fuori sfila instancabile il paesaggio. Una geometria richiama il suo sguardo, forse un ramo secco, un cartello stradale o un’insegna pubblicitaria, una pecora o la silhouette di un palazzo in contrasto col cielo… l’immagine le si imprime negli occhi, non la sceglie, si presenta; è questione di un attimo perché la finestra prosegue la sua corsa. Con gli occhi aperti e lo sguardo rivolto verso l’interno, io prende a disegnare nell’aria il contorno di quella figura con un indice, muovendo solo quello e senza guardarlo. È un gesto piccolo a cui gli altri personaggi non partecipano: F1 dà loro le spalle, il suo corpo copre le sue mani appoggiate al davanzale alla loro vista. La punta del dito è virtualmente collegata al perimetro che va seguendo nella mente, non può mai interrompere la linea che sta creando. Se passa due volte per uno stesso tratto quello s’ingrossa. Il circuito chiuso che ha proiettato dentro gli occhi deve avere lo stesso spessore in ogni suo punto.
L’immagine individuata all’inizio comincia a sbiadire sempre più, finché sparisce completamente, per lasciare spazio alla sua linea che si inspessisce a ogni passaggio. È di un blu intenso che tende al cangiante sui bordi, come una luce al neon o del metallo liquido. Cerca di domare per un po’ quella linea ingrassata che simultaneamente la affascina come fosse qualcosa di estraneo, invece che una proiezione della sua mente, e la infastidisce perché dilegua l’ordine e l’equilibrio compositivo. Ora un’altra immagine le invade gli occhi e io ricomincia da zero. Ci gioca per un lasso di tempo indefinito – potrebbe essere un minuto come un’ora, F1 non saprebbe dirlo – finché RDOROL, che è alle prese con i fornelli, la interpella esclamando: «Questo scrutare il foglio bianco mi risulta familiare!».
C’è una pausa, giusto un momento che F1 impiega per dimenticare quello che stava facendo e per girarsi verso il centro della stanza, poi con una voce che sembra arrivare da un paese lontano dice che non riesce a pensare alle cose senza pensare a sé che pensa alle cose.
F2, seduta pesantemente su una sedia, pare si stia sciogliendo dalla noia diventando un tutt’uno con il tavolo circolare, eppure le fa eco, con leggera variazione e un tono tra il mesto e il romantico: «Non riesco a pensare senza pensare a me che penso».
Sarà per dare spago al gioco di ripetizioni, sarà per il tentativo di instaurare una conversazione, giacché mentre cucina ha voglia di fare le chiacchiere, RDOROL riafferma, questa volta con un tono ilare: «Questo scrutare il foglio bianco mi risulta familiare».
Forse F1 non è ancora tornata completamente presente alla sua compagnia, ma la sua voce adesso sembra un po’ più vicina: «Dipingevo mia madre davanti alla finestra ma i colori non si staccavano dal pennello. La tela restava bianca. Provavo a mettere il colore sulla tela ma la tela rimaneva bianca e pulita. La odiavo bianca e pulita. La colpivo con il pennello. Il colore schizzava sulle pareti e sul pavimento. Ma la tela restava bianca e pulita».
A questo punto F2 si drizza sulla sedia come si fosse svegliata improvvisamente da un sonno profondo cadendo dal letto. Evidentemente l’argomento la interessa molto.
Enuncia: «Il foglio bianco in attesa dei segni. Non c’è un disegno che si sovrappone alla superficie, ma un bisogno, un impulso a imprimere il segno».
RDOROL sta mettendo il peperoncino nella padella sfrigolante, forse gliene è andato un po’ negli occhi e questo fastidio lo spinge inevitabilmente a dare una direzione piccante anche alla discussione: «ESPRESSIONE ESPRESSIONE! Maledetta necessità di questa libertà egoica figlia di un consumismo competitivo. Dammi una gomitata che per passare ti tiro un calcio sugli stinchi e tu inciampi sulla tua eiaculazione felice solo per quei pochi secondi prima di prendere d’aceto!». F2 mantiene la calma, sa bene quanto l’animo del rettile-dinosauro sia facilmente suscettibile e quanto spesso i suoi occhi dal rosa lattiginoso che hanno di solito prendano una sfumatura incandescente. Prende carta e due matite, usando entrambe le mani produce linee che rispecchiano le sue parole: «Segni o forme possibili, proiettate fuori sulla carta. Una diagonale che parte da qui e porta al margine laggiù. Una linea qui, oppure che scende fino a questo punto».
RDOROL con voce nasale come a voler fare il verso a qualcuno borbotta: «Proprio questo. QUESTO punto e non un altro perché l’ho deciso io». Comunque ha già abbassato il fuoco ai suoi bollori, l’argomento lo coinvolge. F2 continua senza curarsi troppo di lui, tutta presa dal filo dei suoi pensieri: «La forma la troveremo solo quando inizieremo a disegnare…». «E a sognare», aggiunge RDOROL, la cui voce adesso porta qualcosa che si avvicina alla tenerezza.
F2: «Un misto di fare e guardare… e io cercherò di fare in modo che il mio parlare resti aperto quanto un foglio bianco e liscio in attesa di deformarsi. Come se parlare potesse essere come disegnare…».
RDOROL: «…e come sognare…»
F2: «sì, e ci traghettasse da ciò che conosciamo verso un’immagine, un luogo, un’idea che non sapevamo di conoscere. Fare spazio all’incertezza. Aprire uno spazio sicuro per l’incertezza».
F1 è ancora alla finestra, in parte vi si appoggia. Adesso è più adulta.
«Per inaugurare uno spazio, bisogna inaugurare una cornice».
Non è una conclusione la sua, ma qui c’è del silenzio. I tre, senza deciderlo, si fermano per pensare, ognuno con la propria solitudine ma insieme, perché adesso stanno entrando in un luogo concettuale condiviso dove potersi incontrare.
La cena è pronta. RDOROL ha spento i fuochi e messo i coperchi a pentola e padella per poi sedersi al tavolo accanto a F2. F1 si muove verso gli altri, si ferma in piedi al lato della sedia dell’amico. Ora sei occhi puntano il rettangolo bianco abitato dai segni.
F2 fa scorrere sulla tavola il foglio disegnato poco prima per avvicinarlo alla vista di RDOROL. Gli chiede: «Cosa vedi?».