di Mariangela Madonna
Autrice contemporanea – attualmente docente di Filosofia presso il
Centre for Research in Modern European Philosophy (CRMEP) della Kingston
University di Londra, allieva di Derrida – percorre un itinerario di ricerca
che va dalle neuroscienze alla filosofia alla politica alla psicoanalisi. Una
ricerca fatta di incontri e connessioni tra discipline diverse che dà vita a un
armonioso dialogo a più voci orchestrato, con un taglio sicuro e personale, da
una penna dichiaratamente femminista. Esattamente come la propria
interdisciplinare ricerca, anche le opere dell’autrice dialogano tra loro
proprio grazie a tale approccio femminista; si muovono al suo interno a riprova
che il femminismo non sia solo uno tra i tanti campi dell’indagine della
filosofa, ma uno sguardo, un modo di stare al mondo che condiziona e
interconnette tutto.
Come dichiarato dall’autrice stessa parliamo di uno sguardo femminista radicale
lontano, però, dalle TERF e da coloro che considerano “il binarismo di
genere iscritto nel marmo”, ma che non rinnega le fondatrici del
femminismo radicale e continua ad indagare all’interno della teoria femminista.
Anche opere che sembrano trattare temi estrani al femminismo come, ad esempio,
l’Avenir de Hegel o Le
Change Heidegger, du fantastique en philosophie sono strettamente connesse alle altre
opere più dichiaratamente femministe.
L’AVENIR DE HEGEL. PLASTICITÉ, TEMPORALITÉ, DIALECTIQUE
Prima opera
pubblicata da Catherine Malabou, essa può essere definita come chiave d’accesso
all’intero impianto filosofico della pensatrice. L’opera sancisce e
contemporaneamente consacra l’approccio interdisciplinare dell’autrice e
inaugura la lunga produzione malabouiana che si pone in quanto punto di
congiunzione tra la teoria filosofica e le neuroscienze. Il saggio, di cui non
è presente la traduzione in lingua italiana, ha come istanza di base un
interrogativo: “vi è un avvenire in Hegel?” che, fin da subito, si declina in
“vi è un avvenire per Hegel?”. A fronte di tali domande si articola
tutta un’analisi, particolarmente oculata, sulla filosofia hegeliana,
arricchita da alcune parentesi incentrate su altri filosofi che in più battute
avevano riflettuto sulle istanze hegeliane. Ed è attraverso questa analisi
attenta che si delinea quello che sarà l’assunto di base, il perno attorno al
quale ruoterà l’intero complesso filosofico malabouiano, nonché la sua più
feconda intuizione: il concetto di plasticità filosofica. Quest’ultima risulta
essere quell’attributo apparentemente trascurabile, ma in realtà fondamentale
al passaggio, di matrice hegeliana, dalla natura allo spirito; essa è ciò che,
di base, rende possibile la definizione di natura umana come seconda natura.
Tale plasticità filosofica non ha con la neuroplasticità solo un’assonanza
lessicale, ma anche una connessione più ampia. La prima riesce a com-prendere
ogni declinazione del concetto di plasticità cerebrale e ad andare oltre la sua
applicazione neurologica, declinandola, attraverso la riflessione filosofica,
alla sfera sociale dei soggetti. La dialettica dello spirito hegeliana ne è
controprova e, allo stesso tempo, trova in essa i suoi fondamenti e il
consolidamento del movimento dialettico stesso. Di conseguenza il rapporto
mente-cervello può e deve essere paragonato al rapporto natura-spirito.
Non è di certo in questo libro, né in quelli immediatamente successivi, che
possiamo apertamente incontrare la riflessione femminista dell’autrice, ma certamente
quest’ultima è debitrice di questa primaria riflessione. Per cui è come
fondamento e radice di tutto l’impianto di pensiero malabouiano che deve essere
letto questo primo testo. Qui, infatti, il concetto di plasticità viene
delineandosi e acquisendo spessore; si arricchirà poi di nuove riflessioni da
parte dell’autrice e tornerà, come vedremo, a più riprese negli altri testi di
Malabou. Ma non siamo debitori al suddetto testo esclusivamente di tale
concetto. Il rapporto che viene qui ad istaurarsi tra la filosofa francese e le
teorie del filosofo tedesco culminerà in opere di matrice femminista come, ad
esempio, Che tu sia il mio corpo, in cui il confronto con Hegel
ritornerà attingendo a piene mani da quello delineatosi nel titolo qui
analizzato, approfondendosi e maturando.
ONTOLOGIA DELL’ACCIDENTE. SAGGIO SULLA PLASTICITÀ DISTRUTTRICE
Rintracciato durante la lettura della Fenomenologia dello Spirito
di Hegel, il concetto di plasticità diviene un cardine nel pensiero di
Catherine Malabou, un perno che viene sviscerato, analizzato e arricchito di
nuove sfumature di significato. Punto di partenza per nuove e importanti
riflessioni di carattere politico ed etico, la plasticità è la capacità di
trasformazione, di metamorfosi, di riparazione, ma anche di distruzione e
quindi di rifacimento, ricominciamento. Molti sono, infatti, i libri a lei
dedicati in cui si approfondiscono i vari aspetti che essa può assumere. Ognuno
di questi saggi –apparentemente non femministi – sancirà degli assunti che
ricompariranno e animeranno le riflessioni sulla questione di genere,
confermando, come già scritto, non solo che il femminismo è innanzitutto un
modo di stare al mondo, ma anche che ogni libro è perfettamente in grado di
dialogare con gli altri grazie a quello che è l’approccio interdisciplinare
dell’autrice stessa.
Non come
introduzione né come testo prioritario, ma come semplice tassello, quindi, di
un mosaico di pensieri più ampio si presenta Ontologia dell’accidente.
Saggio sulla plasticità distruttrice; un saggio, come si evince dal
sottotitolo, che si concentra su quello che può venir visto come il lato più
turbante della plasticità: ovvero
la sua proprietà distruttrice. Non solo, però, in questo testo viene approfondito tale aspetto. Dopo che in
Cosa fare del nostro cervello? si è delineata la differenza tra
flessibilità e plasticità, facendo leva proprio su quanto la flessibilità sia
un adattamento temporaneo, mentre la plasticità sia una trasformazione
permanente; tale permanenza prende in questo testo i connotati di
irreversibilità. La plasticità viene paragonata all’arte scultoria, per cui un
blocco di pietra si trasforma irreversibilmente in una statua: si può dire che
il blocco di pietra viene distrutto, ogni creazione nasce da una
distruzione, che dir si voglia. Ma tra le righe di tale approfondimento
soggiace una domanda: cosa vi è dopo l’accidente, dopo l’avvento del caso, dopo
lo stagliarsi della plasticità distruttiva? Che comporta il compiersi della
plasticità distruttiva? Se “una psiche traumatizzata resta una psiche”, un
uomo che vive determinati tipi di traumi, come, ad esempio, l’amnesia, è sempre
il medesimo uomo che era in passato? Si parla, quindi, di ripensare l’identità,
non più come statica, impenetrabile, ma come dinamica, mutevole, plastica,
appunto, ma si può ripensare l’identità ignorando la questione di genere? Per
quanto in questo libro essa non sia presente, le connessioni che tale
ripensamento hanno con la differenza sessuale – e quindi la connessione di tale riflessione a contesti più
dichiaratamente femministi come, ad esempio, Changer de defférence. Le
fèminin et la question philosophique – sono lampanti. Plasticità
distruttrice, accidente ed esistenza si legano imprescindibilmente; ognuno
chiama in causa l’altro, dispiegando nuove forme a cui fare riferimento:
l’essere vivente si presenta in quanto struttura dinamica.
CHANGER DE DEFFÉRENCE. LE FÉMININ ET LA QUESTION PHILOSOPHIQUE
Testo più
spiccatamente femminista, Changer de difference. Le féminin et la question
philosophique è un libro non edito in Italia, diviso in quattro saggi
connessi tra loro attraverso l’approfondimento, sotto vari aspetti, di un tema
– che in realtà si dirama in più argomenti – assai ampio e complesso: cosa vuol
dire essere donna? È possibile parlare di essenza della donna? E se sì, di cosa
si sta parlando esattamente?
E così, una domanda tanto indagata si arricchisce di una nuova risposta che, a
sua volta, acquisisce un taglio ben preciso. L’indagine filosofica sull’essenza
del femminile, infatti, prende le mosse dall’esperienza che, in quanto donna e
filosofa (o donna filosofo), l’autrice vive. Con un obiettivo chiaro e preciso
– «Je pars d’une situation concrète, qui est la mienne, celle d’une «femme
philosophe», française de surcroît, qui explore ici, en quatre textes qui se
répondent, le «sens du féminin» (“Io parto da una situazione concreta, che è la
mia, quella di una «donna filosofa», francese peraltro, che qui esplora, in
quattro testi che dialogano, il «senso del femminile»”; pp. 10-11 traduzione
mia) – l’autrice attraversa teorie, autorə ed
epoche diverse: si dà spazio a Derrida, Hegel, Heidegger, Irigaray, Butler;
varie voci che vengono ascoltate, accolte, confutate o maggiormente analizzate.
Si esaminano il concetto di essenza e se valga ancora la pena parlarne, l’etica
femminista e il concetto di differenza; ci si pone di rivisitare ontologia e biologia
per meglio esplorare il concetto di féminin (che qui mi permetto di
tradurre letteralmente con “femminile”). Si indaga il suo significato e come
esso venga declinato. Si evince a quanta violenza tale termine sia collegato,
quanta ne sia stata perpetrata anche da parte di tutte quelle teorie che da
sempre indagano la condizione femminile rendendola oggetto e succube d’analisi,
ma mai soggetto dell’analisi stessa. Il tutto si colora attraverso termini di
stampo malabouiano, quali plastico e trasformativo, visti in quanto attributi
fondamentali per poter ripensare il femminile nei termini di soggetto
possibile. A fronte di ciò, ancor di più il punto di vista spiccatamente
personale risulta fruttuoso per tale indagine. Esso, ben presente e manifesto
fin dalle prime battute dell’opera, culmina nel saggio finale (oltre che
attraverso la descrizione e l’analisi dell’esperienza stessa dell’autrice) e il
femminile diviene soggetto possibile e necessario all’indagine filosofica. Quest’ultimo
diverrà uno statuto d’essere non applicabile in base al sesso biologico, ma
declinabile a tutti quei soggetti che subiscono o hanno subito violenza. Quello
che può sembrare un percorso apparentemente tortuoso, risulta invece ben
tracciato grazie alla struttura del libro stesso che dà ampio spazio a momenti
diversi dell’analisi scandendo un ritmo di lettura piacevole e facile da
seguire.
IL PIACERE RIMOSSO. CLITORIDE E PENSIERO
Il testo è
stato scritto nel 2020, solo un anno dopo alla comparsa nei libri di testo francesi
della clitoride. Il percorso che l’autrice decide qui di compiere si figura
come via alternativa tra quelli che Malabou definisce come due principali
negazioni che animano, ad oggi, le lotte femministe: la negazione della
plasticità del genere e la negazione di una nozione non essenzialista della
donna. Si guarda così alle lotte femministe, chiedendosi, in particolar modo,
durante quella che oggi viene definita come quarta ondata, chi sia il soggetto
di tali lotte. È questo il punto di partenza da cui la filosofa inizia a
solcare questa nuova via, partendo col ricostruire una breve genealogia dei
grandi momenti del femminismo fino ai tempi contemporanei.
All’interno di
tale movimento la clitoride diviene la disamina, la bussola grazie alla quale è
più facile orientarsi tra le varie voci a cui la filosofa dà spazio, il perno
attorno a cui questo nuovo soggetto delle lotte femministe può destarsi.
Malabou, inoltre, non si limita a tracciare i contorni di un nuovo soggetto, ma
si interroga anche sulle dinamiche di potere che investono la società e in che
termini queste possano venire ricostruite proprio prendendo a modello la
clitoride e le sue proprietà.
Attraverso la
storia della clitoride stessa, attraverso i suoi molteplici significati, le
motivazioni della sua assenza, le sfumature di cui di volta in volta si
arricchisce, tale via alternativa fa la sua comparsa.
La clitoride
prende, in questo testo, l’attributo di plastica poiché si trasforma, si
arricchisce di significati sempre diversi: è sempre da scoprire. Essa diviene
così il luogo del femminile, dove femminile qui vuol dire negato, rimosso,
nascosto, esposto a violenza, che non ha ancora trovato il proprio posto e
quindi esula dall’essere un appellativo solo delle donne: la clitoride può
impiantarsi dappertutto. In ultima analisi essa risulta essere un organo
biologico e simbolico, essa è turgida, resiste, non penetrata, non governa, non
obbedisce nemmeno a norme di genere predeterminate.
CHE TU SIA IL MIO CORPO. UNA LETTURA CONTEMPORANEA DELLA SIGNORIA E DELLA SERVITÙ IN HEGEL – con J. Butler
Un’interessante
caratteristica della produzione malabouiana è la cospicua presenza di scritti a
quattro mani, quasi a voler riproporre la pratica femminista dell’autocoscienza
(delineata da Carla Lonzi): ci si pone in relazione autentica e dialogica con
le altre donne; la propria posizione incontra l’altra e viene messa, così,
maggiormente a fuoco, arricchita di nuove sfumature, si trasforma e si
consolida. È questo il caso di Sois mon corps, un dialogo a due voci che
evoca uno scambio epistolare tra Catherine Malabou e un’altra importante
personalità del panorama filosofico contemporaneo, Judith Butler. Le due
autrici rileggono la dialettica signore-servo proiettando un occhio di
bue sul grande non-detto della Fenomenologia dello Spirito di
Hegel. Figlie di un femminismo in cui corpo e mente sono indivisibili, le
filosofe mettono in luce quanto il corpo, pur non essendo mai nominato nel
testo hegeliano, aleggi in tutto il cammino dello Spirito. Si cerca di metterlo
tra parentesi, ma il corpo «lascia sempre la propria traccia» e questa viene
individuata maggiormente e facilmente circoscritta in Signoria e Servitù.
Da questo assunto in comune la rilettura malabouiana si intreccia con quella
butleriana dando vita a un dialogo che non si esaurisce in una posizione comune
e netta, ma che continua ad ardere, per cui proficuo e di rilievo nel tempo. Il
corpo, nel testo delle due filosofe, viene mostrato come qualcosa che si
sdoppia, come il luogo di un altro tipo di relazione. Al fine di conoscere e
affermare se stessi, l’altro – più in particolare il corpo dell’altro – risulta
necessario, imprescindibile eppure da annientare. Il rapporto con l’altro si dà
in un misto di paura e desiderio. Tale contraddizione è alla base, secondo le filosofe,
di una corretta autoaffermazione dell’Io: non si deve percorrere un movimento
rettilineo e uniforme che vada da un primo sé – ma anche proto-sé –a un sé
finito. Il cammino verso l’autocoscienza è un cammino più tortuoso,
contraddittorio poiché siamo legati all’altro proprio in virtù del nostro corpo
ma allo stesso tempo grazie a questo corpo che noi siamo ne siamo anche
slegati.
“Che tu sia il mio corpo” è ciò che il padrone ordina al servo ma quest’ultimo
non può mai davvero prendersene carico e il primo non può mai davvero
disfarsene. Il distacco dal proprio corpo risulta impossibile, eppure ve n’è un
disperato bisogno, per cui l’unico possibile è l’attaccamento al distacco.
Si tratta, specifica in questo testo Malabou, di un movimento plastico, un
movimento trasformativo; grazie a questo corpo che io sono mi è possibile
compiere questo doppio movimento di distacco e attaccamento. Ma cos’è
l’attaccamento e cos’è il distacco? Quando e come si forma il corpo? Domande e
risposte che si intersecano tra loro convergendo nella conclusiva affermazione
che «figura dell’intersezione, che non è un’immagine stabile o certa; tale
sembra essere, se il corpo è «in forma», la forma del corpo».