“Non si può smantellare la casa del padrone con gli attrezzi del padrone”è una frase della femminista e poeta afroamericana Audre Lorde. Indica una strada, offre una suggestione che è anche traccia precisa per costruire una visione: non si dismette un sistema se lo si imita, adoperando i suoi strumenti, seppur sostenendo che è a fin di bene e che i nostri fini sono nobili e alternativi. Chiaramente lo dice, conoscendo da vicino la fascinazione erotica simbolica e concreta della violenza anche Robin Morgan, altra grande pensatrice nordamericana vivente, nel suo Il demone amante, che nella prima traduzione italiana aveva per sottotitolo sessualità del terrorismo. Morgan chiede alle donne, specie a quelle di sinistra, di interrogarsi sul fascino che esercita sul genere femminile la violenza rivoluzionaria incarnata dal condottiero che parla del futuro regno di miele imbracciando un fucile dal quale non spuntano fiori, e per il quale la (sua) violenza è giusta perché il sistema oppressivo è da abbattere.
In questa logica il fine giustifica i mezzi, pur se identici a quelli del potere dominante. Morgan invita anche a riflettere sul fatto che una democrazia, se nasce da un gesto di violenza, (fosse anche quello di uccidere il dittatore più odioso), porterà comunque i segni di quel sangue versato. Dal letame nascono i fior, non dal sangue.