Marta Scordino – MONETIZZAZIONE E (AUTO)VALORIZZAZIONE Le responsabili del personale e le mamme NO MUOS

Dipartimento di Filosofia, Comunicazione e Spettacolo

 

MASTER di II LIVELLO in
FORMATORI ed ESPERTI/E in PARI OPPORTUNITÁ.
WOMEN’S STUDIES E IDENTITÁ DI GENERE
Anno Accademico 2013/2014

 

Elaborato:
MONETIZZAZIONE E (AUTO)VALORIZZAZIONE
Le responsabili del personale e le mamme NO MUOS

 

Candidata: Marta Scordino
Docenti: Francesca Brezzi, Laura Moschini
INDICE ANALITICO

 

     1. Monetizzazione
1. 1. Un quadro della partecipazione femminile al mercato del lavoro
1. 2. Area Human Resources, uno spiraglio?
1. 3. Valorizzazione o monetizzazione?

 

2. (Auto)Valorizzazione
2.1. Cos’è il M.U.O.S.
2.2. La lotta delle mamme NO MUOS
2.3. Intervista completa alla Presidente del comitato mamme NO MUOS

 

1. Monetizzazione

 

1.1. Un quadro della partecipazione femminile al mercato del lavoro
In Italia, secondo i più recenti dati ISTAT, l’occupazione femminile si attesta al 46,6%, percentuale tra le più basse in Europa e nel mondo. La partecipazione femminile al mercato del lavoro, infatti, in Italia, non è scontata per molteplici motivi, ma per sintetizzare, ne possiamo individuare tre:
  1. Non è l’unico percorso possibile nella vita delle donne e quasi mai un impegno esclusivo.
  2. Le opportunità di inserimento lavorativo sono scarse e di bassa qualità soprattutto per le donne, nei cui confronti persistono forme di discriminazione più o meno esplicite.
  3. Le carenze e a volte i veri e propri vuoti del welfare italiano gravano sulle spalle delle donne, che in assenza di adeguati servizi alle famiglie e in presenza di una divisione del lavoro familiare tuttora fortemente squilibrata, si fanno carico della maggior parte delle attività domestiche e di cura.
A questo quadro, tutt’altro che rassicurante, vanno aggiunti gli effetti sociali ed economici sortiti dalla crisi recessiva internazionale. Nel 2011 un imprenditore di una piccola azienda nella provincia di Milano, non esita ad affermare, nel licenziare soltanto le dipendenti e “graziando” gli uomini, “licenziamo le donne così possono stare a casa curare i bambini e poi, comunque, quello che portano a casa è il secondo stipendio”. Secondo la sociologa marocchina Fatema Mernissi, nei paesi arabi, l’imposizione del velo “è un’arma politica straordinaria, poiché rende illegittima la presenza delle donne sul mercato del lavoro. Il velo è una vera manna dal cielo per i politicanti in crisi: riuscire ad imporlo significa rinviare le donne davanti ai fornelli, così ogni Stato musulmano potrà ridurre il numero dei suoi disoccupati”1. Anche in Italia, varie e recenti indagini dimostrano l’ampia diffusione dell’orientamento cultuale, secondo il quale, il lavoro delle donne è soltanto aggiuntivo o accessorio rispetto all’occupazione del principale percettore del reddito familiare. E Reyneri ci ricorda che la discriminazione di genere risulta collegata alla capacità di un paese di creare posti di lavoro. Infatti, afferma: “soltanto nei paesi in cui i posti di lavoro non sono un bene molto scarso le donne vi hanno una buona parità di accesso. Tuttavia, il fatto che la discriminazione di genere sia maggiore ove minore è la presenza delle donne sul mercato del lavoro ne può in un certo senso attenuare l’impatto sociale. Queste società sono più abituate a vedere le donne ‘a casa’, quindi una loro elevata disoccupazione crea meno scandalo di quanto accadrebbe in altre società ove le aspettative di lavoro extradomestico per le donne sono consolidate. In società con una debole o ancora troppo recente presenza nel mercato del lavoro le donne in cerca di un’occupazione possono non essere considerate altrettanto ‘disoccupate’ e fonte di disagio sociale dei maschi. Ciò vale in particolare per l’Italia, ove più diffusi sono gli orientamenti tradizionali verso le donne. Tra gli italiani, infatti, si raggiunge la più alta percentuale di chi ritiene che gli uomini hanno più diritto al lavoro delle donne, che la donna ha più un ruolo di madre che non di lavoratore e che quindi la disoccupazione femminile è meno seria di quella maschile”2.
Inoltre, le donne che lavorano sono certamente soggette ai fenomeni sociali di segregazione orizzontale e verticale. Il primo determina la concentrazione dell’occupazione femminile in pochi settori e rami di attività economica, e in un numero limitato di mestieri e professioni, a fronte di una presenza esigua in altri ambiti lavorativi. Il secondo, il cosiddetto “soffitto di cristallo” determina la quasi impossibilità di accesso delle donne ai livelli elevati delle gerarchie aziendali.
Le attività lavorative nelle quali le donne sono maggiormente rappresentate sono fondamentalmente riconducibili ai tradizionali ruoli di cura: insegnanti, medici e infermiere, educatrici e assistenti sociali, psicologhe e terapiste, segretarie, impiegate, interpreti, commesse e cassiere, parrucchiere ed estetiste, cuoche e cameriere, addette alle lavanderie, collaboratrici domestiche. Le donne sono però numerose e in costante aumento anche in altri ambiti professionali: tra gli avvocati, i magistrati e i dentisti.
Gli effetti del fenomeno sociale della segregazione verticale probabilmente sono quelli più evidenti. E’ emblematico il caso della scuola dove le donne rappresentano circa i due terzi del corpo docente, ma meno della metà dei dirigenti scolastici. Gli uomini , quindi, sono meno del 25% dei docenti, ma più del 60% dei dirigenti. Le possibili spiegazioni di un fenomeno così radicato sono da ricondursi certamente a fattori di tipo culturale, sociale e organizzativo.

 

1.2. Area Human Resources, uno spiraglio?
Un piccolo spiraglio in relazione all’accesso delle donne a ruoli aziendali con responsabilità direttive è rappresentato dalla gestione delle risorse umane. Michael Page, leader nella ricerca e selezione di profili altamente specializzati, conferma la tendenza a scegliere una donna nel recruitment per l’area Human Resources: “molto spesso la scelta da parte delle aziende ricade su una donna, in quanto viene riscontrato che a parità di formazione e preparazione professionale con un uomo, la candidata dimostra attitudini personali e caratteristiche comportamentali più vicine alla funzione che andrà a svolgere e più in linea con le necessità dell’azienda. Nell’ambito della selezione delle risorse umane è spesso la persona che fa la differenza, in quanto non basta la preparazione tecnica ma sono le attitudini comportamentali che costituiscono un plus e che spesso vanno a vantaggio di una donna”.
Katiuscia Cardinali, Responsabile della Division Human Resources  di Michael Page aggiunge: “Il 70% della popolazione HR è donna e, a parità di mansione in controtendenza con il mercato, i livelli retributivi sono equiparabili a quelli di un uomo. E’ un fenomeno che interessa sia  quadri e profili di middle management sia tutte le figure di funzione, dagli specialisti con responsabilità legate ad una mansione specifica (ad esempio responsabile formazione e sviluppo) alle figure di massima responsabilità nell’ambito della direzione del personale. Si può quindi affermare che, nella maggior parte dei casi, i profili di medio-alto livello nell’area risorse umane sono donne”.
Il Presidente dell’Associazione di Direttori del Personale (GIDP/HRDA), Paolo Citterio dichiara: “Nel 1977 quando fondai l’associazione di direttori del personale Gidp, su 27 iscritti c’era una sola donna, in percentuale meno del 4%. Ora, tra i 3.800 collegati al nostro network che comprende direttori, dirigenti e quadri, le donne superano quota 55%”.
C’è un settore dove non difettano di certo le manager, che anzi secondo i dati diffusi dal Chartered Institute of Personnel And Development rappresentano quasi i tre quarti del totale (72%) degli occupati. Parliamo delle risorse umane, con l’ Human Resources manager che molto spesso viene declinato al femminile, sostengono gli esperti del settore, anche per quelle doti caratteriali e della personalità che fanno preferire una donna in questo delicato ruolo.
Il ruolo del Direttore Risorse Umane oggi, ancor più che in passato, opera in simbiosi con i vertici aziendali, ha parte attiva nella definizione delle strategie e, gestendo un’attenta politica di valorizzazione del capitale umano, favorisce la crescita e la competitività dell’azienda. Oggi rappresenta una figura di grande responsabilità, in grado di costruire sia i destini dei talenti migliori che il successo dell’azienda.
 I dati  che emergono da queste interviste di esperti del settore delle risorse umane, per quanto non ufficiali, ci consegnano l’immagine di un’attività professionale di grande responsabilità e prestigio sociale con conseguenti prospettive di ottimi guadagni, che vede, ceteris paribus, le donne avvantaggiate rispetto agli uomini. In sostanza, un’attività lavorativa in nulla aderente alle attività tradizionalmente svolte dalle donne, che potrebbe garantire loro una via d’accesso alle cosiddette “stanze dei bottoni” dalle quali sono state escluse per decenni.
Le qualità attribuite alle donne che le renderebbero preferibili ai colleghi uomini, secondo gli esperti del settore, sono “l’essere multitasking, la capacità di ascolto attivo, l’empatia, problem solving e capacità di visione sul lungo periodo; queste caratteristiche, legate alla personalità, spesso sono più facilmente riscontrabili in una donna: non è un segreto infatti che sensibilità e una maggiore capacità di ascolto e di dialogo siano attitudini più prettamente femminili, tanto da portare spesso alla scelta di una donna per ruoli quale manager dell’area risorse umane. Le caratteristiche caratteriali sono fondamentali, in quanto le figure inerenti all’area Human Resources hanno anche la funzione di trasmettere i valori aziendali e rappresentare l’anima dell’azienda stessa”.
Recenti pubblicazioni, ben rappresentate da autori quali Maurizio Ferrera con il testo “Il fattore D: perché il lavoro delle donne farà crescere l’economia?” e Avivah Wittenberg-cox con “Womenomics in azienda. Come valorizzare i talenti femminili e trarre profitto da un buon equilibrio di genere” teorizzano che un maggiore inserimento delle donne nel mondo del lavoro e in particolare nei ruoli direttivi rappresenterebbe un grande incentivo alla crescita economica, quasi un volano per il PIL. Barbara Dalibard, executive manager della società delle ferrovie francesi dichiara: “I team misti uomini-donne, in politica come in azienda, funzionano meglio, nel nostro gruppo la diversity del team è una priorità aziendale, perché la quota di donne al lavoro e ai vertici deve essere almeno pari a quella delle nostre clienti. E i risultati si vedono anche a livello di performance aziendali”.
Carla Lonzi, probabilmente, formulerebbe quella domanda tanto semplice quanto rivoluzionaria in relazione a questa costruzione artificiale dove le donne sono considerate “spendibili” sul mercato del lavoro: ci piace, dopo millenni, essere inserite in un mondo progettato da altri?

 

1.3. Valorizzazione o monetizzazione?
L’autrice del testo “Womenomics in azienda. Come valorizzare i talenti femminili e trarre profitto da un buon equilibrio di genere” parla di valorizzazione, ma se valorizzare vuol dire fornire delle occasioni che permettano ad una persona di esprimere le sue capacità, queste ultime non possono essere predeterminate, preconfezionate, perché ciò rappresenterebbe già la negazione delle stesse. Infatti, è evidente che non è di valorizzazione che sta parlando, bensì di monetizzazione. I cosiddetti “talenti femminili” di cui parla l’autrice sono i talenti stereotipati e mercificati che sono perfetti per ricoprire ruoli chiave all’interno delle organizzazioni aziendali. Uno di questi ruoli è la responsabile del personale,  che essendo abbastanza intimorita di non trovare più una collocazione lavorativa altrettanto prestigiosa, riesce a fidelizzarsi e identificarsi completamente con le intenzioni e gli obiettivi dei vertici aziendali, tanto da diventare indispensabile, in una sorta di dialettica servo-padrone di hegeliana memoria. Soltanto che la dipendente per effettuare quel passaggio che vede i ruoli ribaltarsi e conservarsi contemporaneamente dovrebbe pretendere il riconoscimento della propria identità di persona e non soltanto la retribuzione come una merce. Dovrebbe avviare una lotta per il riconoscimento in forma collettiva e associativa. Le cosiddette soft skills quali la capacità di mediazione, di comunicazione, di relazione sono capacità preziosissime che Carol Gilligan, nel suo impagabile testo “Con voce di donna. Etica e formazione della personalità”, fa risalire ad una vera e propria etica “differente” della quale riscontra l’esistenza fin dalla giovanissima età. Un’etica fondata sulla centralità delle relazioni e connessioni interpersonali, sui valori della “cura” e della responsabilità. Luce Irigaray sostiene: “La bambina nasce divina, l’uomo lo diventa invecchiando”, e noi corriamo il rischio di svendere, cedere la nostra “divinità”, per un individuale, superficiale percorso emancipativo, che diffondendo il neoliberismo, alimenta processi di mercificazione delle nostre identità, facendo delle donne un brand di successo.
Nancy Fraser, in un illuminante articolo pubblicato sul  The Guardian si interroga sulle complicità del femminismo con il potere contemporaneo: “Quasi fosse un crudele scherzo del destino, il movimento per la liberazione delle donne sembra essersi avviluppato in una relazione pericolosa con gli sforzi neoliberisti nel costruire la società del libero mercato. Questo potrebbe spiegare perché una serie di idee femministe, che un tempo facevano parte di una visione del mondo radicale, oggi vengono utilizzate a fini individualistici. In passato, le femministe criticavano una società dove si promuoveva il carrierismo, adesso viene consigliato alle donne di ‘affidarsi’. Il movimento delle donne una volta aveva come priorità la solidarietà sociale, oggi festeggia le imprenditrici. La prospettiva di allora valorizzava la “cura” e l’interdipendenza umana, ora incoraggia il progresso individuale e la meritocrazia”.
Alla luce di questa brillante analisi, sembrerebbe evidente che la conquista di ruoli aziendali apicali e strategici, come la direzione del personale, non si può considerare una vittoria delle donne e men che mai una fonte di valorizzazione delle stesse. In sostanza, sempre richiamandomi alle parole di Fraser: “il neoliberismo sfrutta il sogno dell’emancipazione femminile come motore dell’accumulazione capitalistica.”
Ricapitolando, il responsabile gestione e sviluppo del personale gestisce e supervisiona tutti i processi relativi al personale: pianificazione e acquisizione del personale (ricerca, selezione e inserimento), gestione e sviluppo del personale (formazione, valutazione, percorsi di carriera, politiche retributive, aspetti amministrativi e relazioni sindacali) fino alla dimissione del personale. E’ intuitivo che è un ruolo ricco di insidie, soprattutto, negli ultimi decenni, dopo l’introduzione dei dispositivi organizzativi nella vita-lavoro imposti dai nuovi paradigmi di accumulazione. In sintesi, deve saper intrattenere rapporti confidenziali con tutto il personale, ma contemporaneamente guidarlo, gestirlo, osservarlo, sorvegliarlo, controllarlo e cosa più importante spegnere o almeno arginare qualsivoglia istanza rivendicativa. Dunque, non riesce difficile immaginare come, in una società votata al maschilismo, una donna, certamente qualificata, ma selezionata anche sulla base della sua avvenenza e cordialità, possa riuscire meglio di un uomo nello svolgimento di questo incarico. Con buona probabilità le dipendenti la ammireranno e aspireranno a raggiungere la sua posizione, identificandosi in lei e nei valori aziendali da lei rappresentati; gli uomini, tra ammiccamenti e giochi di seduzione non oseranno contraddirla o mettere in discussione le sue decisioni. Un perfetto esempio di “uso strumentale delle donne nel neoliberismo”3.

 

2. (Auto) valorizzazione

 

2.1. Cos’è il M.U.O.S.
Il M.U.O.S. (Mobile User Object System) è un sistema di comunicazione militare composto da 3 trasmettitori parabolici basculanti ad altissima frequenza e 2 antenne elicoidali UHF costruite all’interno della Riserva Naturale Orientata Sughereta di Niscemi. La costruzione della base militare NRTF (Naval Radio Transmitter Facility) comincia intorno agli anni ‘90 con le 46 antenne che assicurano le comunicazioni supersegrete delle forze di superficie, sottomarine, aeree e terrestri e dei centri C4I (Command, Control, Computer, Communications and Intelligence) della Marina militare Usa. Un mixer di onde elettromagnetiche che penetreranno la ionosfera con potenziali effetti devastanti per l’ambiente e la salute dell’uomo. Le preoccupazioni della cittadinanza, infatti, confermate da studi di autorevoli scienziati quali il Prof. Zucchetti, il Dott. Coraddu, il Prof. D’Amore,  circa le conseguenze della costruzione di questa struttura sono relative alla salute, all’ecosistema della Sughereta di Niscemi, alla qualità dei prodotti agricoli, al diritto alla mobilità e allo sviluppo del territorio, al diritto alla pace e alla sicurezza del territorio e dei suoi abitanti. Così nel 2009 si tiene a Niscemi la prima grande mobilitazione che porta in piazza diecimila persone ottenendo la retromarcia dell’Amministrazione Comunale rispetto alle autorizzazioni concesse in precedenza. Nel 2011 a causa delle forti pressioni dell’ambasciata americana a Roma e del Ministro della Difesa La Russa verso il governo Lombardo, l’amministrazione concede nuovamente le autorizzazione per la continuazione dei lavori. E’ nell’estate del 2011 che si può datare la nascita vera e propria del movimento NO MUOS, movimento che in seguito alla delusione ricevuta dalle istituzioni che avrebbero dovuto garantire salute e sicurezza, abbandona il meccanismo della delega e decide di basarsi esclusivamente sulle proprie forze.  Le parole di un attivista e giornalista possono rappresentare bene il livello di condivisione e partecipazione della lotta durante i presidi, i blocchi etc.: “attorno al falò, oppure dentro la gazebo o all’interno della capanna dedicata a Peppino Impastato, ha preso forma la democrazia diretta, l’attività che non si delega a nessuno”4.

 

2.2. La lotta delle mamme NO MUOS
 Le donne, le mamme, superando le prime difficoltà legate a pregiudizi e ad una mentalità in cui “ non dimentichiamo mai che la donna siciliana è sempre quella che è riservata” come dice Concetta Gualato, la Presidente del comitato mamme NO MUOS, cominciano a partecipare al percorso di lotta, avviato dai loro figli e figlie. La Presidente del comitato mamme NO MUOS, che ho intervistato, mi ha detto di essere sempre stata estranea all’attività politica e che quindi si è dovuta, insieme alle altre mamme, in qualche modo, reinventare e riuscire a concepire una forma di lotta compatibile con un gran numero di signore adulte, sposate, con figli che, come lei, non avevano alcuna confidenza con percorsi rivendicativi. Secondo me, è molto interessante riscontrare, come nella lotta contro gli stereotipi e i pregiudizi nei confronti delle donne, le “mamme” abbiano saputo utilizzare come strumento un’altra lotta stavolta collettiva, però impiegando a proprio favore quegli stessi stereotipi e pregiudizi volti originariamente a discriminarle. Parole chiave certamente sono state: solidarietà tra donne “quel giorno fra noi donne, mamme, ci siamo scambiate i numeri di telefono perché ci siamo guardati dicendoci: ‘qua dovevamo darci una mano perché altrimenti diventava un problema gravissimo, solo dei ragazzi’” e ancora “molti mariti non scendevano in piazza perché fra di loro non hanno legato come abbiamo legato noi donne”. Ruolo rilevante è stato giocato dalle capacità comunicative delle “mamme”: “tutti i mercoledì indistintamente, pioveva, faceva caldo, qualsiasi cosa succedeva, io facevo le assemblee in piazza, noi mamme andavamo in piazza, mettevamo le sedie di un bar che ci mettevano a disposizione a cerchio e da lì noi facevamo le assemblee, con un microfono…a tutta la cittadinanza che passeggiava serenamente in quella meravigliosa piazza noi dicevamo che cosa avevamo fatto durante la settimana”. Le strategie adottate dalle mamme durante i presidi possono essere tutte ricondotte a caratteristiche stereotipate delle donne come la bellezza, l’eleganza, la dolcezza, la religiosità (donna casa e chiesa), la sobrietà; caratteristiche con le quali le “mamme” hanno saputo giocare ed utilizzare a favore della lotta collettiva. Durante i blocchi “cercavamo di mettere a disagio gli americani, come? Facevamo dei blocchi pazzeschi, perché quando c’erano gli americani, e la polizia se non li facevamo passare ci strattonava, noi ci mettevamo in mezzo alla strada a pregare, facevamo il rosario, e dopo il rosario un altro rosario e dopo cento preghiere…”, nel racconto di Concetta torna spesso il concetto “di mettere a disagio”, come a dire se non posso impedirti di fare un’azione, perché voglio utilizzare metodi pacifici, farò tutto ciò che è nelle mie possibilità per rendenti quell’azione il più difficile possibile. Quindi anche vestirsi in modo molto curato ed elegante, “perché una donna con le perline non si poteva strattonare con facilità”. Inoltre “Per stare lì la mattina molte donne facevano i thermos di caffè, perché di freddo ce ne siamo presi tanto, allora la mattina quando prendevamo e ci incontravamo al presidio, e la sera molte donne facevano la torta o i pasticcini etc. e quando la mattina eravamo lì, appena arrivavano queste macchine per entrare, noi facevamo i blocchi,  quindi li bloccavamo, e loro rimanevano dentro la macchina senza muoversi, e allora ci prendevamo il caffè e lo offrivamo a tutti, anche a loro, e ci avvicinavamo dicendo: “noi non vi facciamo niente, volete un dolcino? Così vi riscaldate anche voi”.
Tornando a Hegel, le donne di Niscemi hanno certamente ingaggiato una lotta per il riconoscimento e infatti, nell’accezione hegeliana di aufhebung,  hanno assunto un ruolo diverso da quello che avevano sempre giocato.

 

 2.3. Intervista completa a Concetta Gualato, Presidente del Comitato mamme NO MUOS Sicilia
Raccontami di te, delle mamme, delle donne di Niscemi…
Io sono Concetta Gualato, ho fatto parte del comitato MAMME NO MUOS di Niscemi, e come Presidente, oggi sono il portavoce del Comitato MAMME NO MUOS Sicilia, ormai la nostra lotta, la lotta delle mamme dura da due anni, due anni imperterriti tutti i giorni. E’ una lotta senza precedenti la nostra, perché è stata una battaglia molto particolare in tutti i sensi: uno, perché devi considerare Niscemi è nell’entroterra siciliano, quindi insomma, quindi il modo di vivere è proprio da siciliani, anche se siamo un po’ emancipati, però non dimentichiamo mai che la donna siciliana è sempre quella che è riservata, deve stare più, non a casa, però…come una forma di rispetto maggiore, perché noi abbiamo ancora questa mentalità. Mentre, con questa battaglia, tutti questi ideali si sono sciolti, non c’erano, non sono esistiti, perché la battaglia che hanno fatto le mamme, non è stata una battaglia indifferente. E’ stata una battaglia molto forte, dura, e soprattutto lunga e molto pericolosa. Perché? Perché, intanto, dal 2008, i NO MUOS esistono, e in diversi comitati hanno cercato di urlare questo problema, ma mai sentito sufficientemente perché siamo stati tutti sordi, quando poi successe l’evento che iniziarono a fare dei presidi e in questi presidi c’erano moltissimi giovani niscemesi, molti ragazzi, molti figli nostri, un po’ lì ci siamo allarmati, perché abbiamo cominciato a capire che se questi ragazzi ci credevano così tanto, effettivamente poteva essere una cosa pericolosa. Dopo l’11 gennaio, quando entrarono di prepotenza le gru, dentro la base perché dovevano cominciare a costruire il MUOS, quando quella notte trecento celerini vennero a Niscemi per una cinquantina di ragazzi essenzialmente ci siamo sentiti traditi, perché insomma… strattonare i nostri giovani per noi è stata una cosa molto brutta, da lì è nato il comitato MAMME NO MUOS, perché i ragazzi fecero una manifestazione in piazza e quel giorno mi ricordo benissimo che eravamo tutte le mamme di questi giovani liceali che cercavamo di manifestare e capire di più, soprattutto capire di più di che cosa si stesse trattando, perché è stata una cosa nascosta fino a qualche anno fa, perché noi non eravamo al corrente delle 46 antenne già esistenti da 22 anni e questo MUOS che cosa avrebbe comportato, che danni avrebbe portato, oltre alle 46 antenne che già danneggiavano a sufficienza Niscemi e oltre il petrolchimico che abbiamo a 20 kilometri, questa è già una terra martoriata. Quindi, da lì abbiamo capito un po’ le cose e mi ricordo che quel giorno fra noi donne, mamme, ci siamo scambiate i numeri di telefono perché ci siamo guardati dicendoci: “qua dovevamo darci una mano perché altrimenti diventava un problema gravissimo, solo dei ragazzi”, perché di adulti ce ne erano pochissimi, da lì a breve, proprio brevissimo, noi abbiamo raccolto settecento iscritti, tutte donne, e queste donne…siamo state molto attive abbiamo fatto un’attività molto particolare perché dovevamo aiutare i ragazzi a fare dei turni davanti alla base, praticamente dovevamo evitare che gli operai entrassero dentro la base per ultimare i lavori. Allora è successo che quando ci siamo cominciati a guardare attorno, c’era bisogno di tanta gente, tanta gente perché noi dovevamo darci i turni perché si doveva evitare che questi americani, soprattutto operai, non americani, ma operai di Catania, dovevano scendere a lavorare alla base. Quindi noi mamme, ci siamo prese l’impegno, da quando abbiamo costituito il movimento NO MUOS, ci siamo prese l’impegno di darci i turni. Iniziavamo alle cinque del mattino, immagina una mamma di famiglia come me, io intanto lavoro, ho marito dei figli, un marito, una casa, vico in campagna quindi cerco di curare il mio vivere nel miglior modo possibile, ad un tratto mi si stravolge tutta  la vita, alzandomi alle cinque del mattino con le altre mamme, facendo questi turni pazzeschi davanti alla base, e presidiare, appena arrivavano gli operai con queste donne lì davanti li mandavamo indietro, dopo di noi alle sette tornavamo a casa, mandavamo i bambini a scuola, come se nulla fosse successo dalle cinque alle sette, ci sostituivano i nonni, perché venivano i miei genitori, i genitori delle altre mamme, tutti gli anziani che ci potevano sostituire, lasciavamo i bambini a scuola e tornavamo di nuovo lì, in contrada Ulmo, e presidiavamo finché si poteva, dandoci sempre i turni, c’erano gruppi di venti donne che ogni tre-quattro ore ci cambiavamo per andarcene, ma c’erano delle giornate intere a presidiare, noi arrivavamo lì alle cinque e noi ce ne andavamo anche alle otto di sera, perché c’erano troppi movimenti, perché c’erano troppi viavai, e noi dovevamo bloccare necessariamente gli operai, grazie ai nostri blocchi, nostri come mamme, ma anche dei ragazzi, di tutti gli altri movimenti, perché poi sono venuti i movimenti di Vittoria, di Ragusa, di Enna, di Catania, di Palermo, scendevano da Palermo per presidiare con noi, e quindi grazie a questi turni che ci davamo evitavamo agli operai di entrare e lavorare. Cosa che non potevamo fare con gli americani, però che cosa facevamo? Cercavamo di mettere a disagio gli americani, come? Facevamo dei blocchi pazzeschi, perché quando c’erano gli americani, e la polizia se non li facevamo passare ci strattonava, noi ci mettevamo in mezzo alla strada a pregare, facevamo il rosario, e dopo il rosario un altro rosario e dopo cento preghiere… e quindi tenevamo fermi per ore questi militari americani finché noi non finivamo, questo faceva incazzare terribilmente gli americani tanto é che poi si iniziarono a lamentare di brutto, ma era quello che volevamo, perché qualcuno si doveva muovere? Perché altrimenti andava tutto liscio. In questo tempo siamo diventati una grande famiglia. Poi un’altra cosa molto bella è stata quella che tutte le settimane da gennaio a giugno tutti i mercoledì indistintamente, pioveva, faceva caldo, qualsiasi cosa succedeva, io facevo le assemblee in piazza , noi mamme andavamo in piazza, mettevamo le sedie di un bar che ci mettevano a disposizione a cerchio e da lì noi facevamo le assemblee, con un microfono…a tutta la cittadinanza che passeggiava serenamente in quella meravigliosa piazza noi dicevamo che cosa avevamo fatto durante la settimana. Queste assemblee facevano sì che tanta gente si avvicinasse per capire effettivamente il problema. Perché Niscemi i primi tempi è stata sorda, poi piano piano, si è ammorbidita e ha visto che…perché siamo messi in una grande polveriera qua, perché oltre le onde elettromagnetiche delle 46 antenne il MUOS sarebbe stato un ulteriore incremento di onde elettromagnetiche. A noi qui ci bruciano come in un forno a microonde senza sportello. Poi la gente si è sensibilizzata, questo grazie al coraggio di tutte le mamme.
E’ stato difficile iniziare questo percorso?
Sono state tutte iniziative nuove, non è che io sono nata imparata nella lotta, assolutamente, per me era tutto nuovo, con tutte le altre mamme ci consigliavamo il da farsi, tutti i giorni: “allora oggi come possiamo fare un blocco, come possiamo fare questa cosa”.
Avete adottato anche strategie particolari?
Quando c’erano i ragazzi questo succedeva poco, perché i ragazzi essendo giovani e con molta più rabbia, si affrontavano con  la polizia, tanto è che tanti ragazzi molte volte sono andati a finire in ospedale. Ma quando c’eravamo le mamme loro adottavano anche il nostro metodo, perché quando le mamme bloccavamo gli americani e gli operai, i ragazzi si attenevano a quello che facevamo noi. Allora, se si faceva il rosario, loro si sedevano a terra con noi e facevano il rosario con noi, se noi ci facevamo la passeggiata e bloccavamo tutti loro perché passeggiavamo tagliando la strada, cioè in modo tale che la polizia non ci poteva dire: “signora si tolga”, noi passeggiavamo e non ci potevano dire niente. Questo è stato un altro metodo, sempre in modo pacifico, poi quando c’erano gli scontri, purtroppo gli scontri sono successi e molte mamme e considera una mamma che non è mai uscita di casa, si trova lì a scontrarsi con la polizia e poi oltre a questo devi considerare pure che lo scontro non era uno scontro sereno, era uno scontro anche di brutte parole, da lì sono partite anche le denunce perché dovevano calmare i toni, quindi la repressione è arrivata per farci ritirare, da quel momento in poi, il movimento si è un po’ ritirato, perché le mamme si sentivano strattonate dalla polizia o succedevano dei danni là dentro la paura, i mariti che facevano ritirare le donne, c’erano, ci sono state. Prima che il movimento si rompesse, il movimento era sempre molto forte e sempre molto presente. Poi attenzione perché poi dovevi considerare anche questo perché noi ci vestivamo anche per bene per andare lì, perché dovevamo causare dei disagi alla polizia che ci doveva strattonare, perché non è che eravamo…. una donna con le perline non si poteva strattonare con facilità. Inoltre, cosa facevamo? Per stare lì la mattina molte donne facevano i thermos di caffè, perché di freddo ce ne siamo presi tanto, allora la mattina quando prendevamo e ci incontravamo al presidio, e la sera molte donne facevano la torta o i pasticcini etc. e quando la mattina eravamo lì, appena arrivavano queste macchine per entrare noi facevamo i blocchi,  quindi li bloccavamo, e loro rimanevano dentro la macchina senza muoversi, e allora ci prendevamo il caffè e lo offrivamo a tutti, anche a loro,  e ci avvicinavamo dicendo: “ noi non vi facciamo niente, volete un dolcino, così vi riscaldate anche voi” loro rimanevano pensando queste sono pazze. La prima ero io a dire: “ma voi pensate che noi ce l’abbiamo con voi? Assolutamente no, noi ce l’abbiamo con il sistema che ha creato questo disagio tra noi e voi, ma voi siete qui soltanto, perché intanto dovete stare alle nostre regole e non si entra, però riscaldatevi col nostro the col nostro caffè, prendetevi un dolce” questo lo abbiamo fatto sempre così anche con la polizia, così anche con i celerini, quando scendevano armati fino ai denti, noi dicevamo: “ma rilassatevi, ma voi pensate veramente che noi potremmo fare qualcosa, intanto non si passa, questo deve essere chiaro!”. I poliziotti accettavano il caffè, soprattutto i niscemesi stessi, mentre gli americano no mai. Una volta abbiamo bloccato sette auto tutti americani, questa è stata una delle primissime volte e c’erano militari donne, una di loro doveva fare la pipì, e non sapeva come fare, quando il commissario venne da me per dirmi “guardi che ci sono militari che devono andare in bagno, quindi che facciamo? Li facciamo entrare?” “assolutamente scortatela fino davanti al cancello, fa quello che deve fare dentro la base e riesce” Quindi noi accompagnavamo quella donna con tanto garbo, l’accompagnavamo e le dicevamo che se, nel frattempo, aveva bisogno di qualcosa eravamo a disposizione, era solo un patto che avevamo fatto, ma noi non è che eravamo estremiste o facevamo chissà che cosa, ma era l’unico modo, modo pacifico per metterli a disagio, e noi ci riuscivamo benissimo, però avevamo questo rapporto di scambio. E noi offrivamo sempre quello che avevamo, loro non volevano accettare perché si sentivano presi in giro, però noi offrivamo.
Perché poi immagino che le forze di polizia fossero anche persone del posto, persone che conoscevate?
Erano ragazzi con cui siamo cresciuti insieme, insomma ci chiamiamo ragazzi, questi cinquantenni eravamo compagni da giovani, compagni di piazza, quindi ad un tratto loro stavano dalla parte opposta a dove stavamo noi, i niscemesi stessi che dovevano abbracciare la lotta, ma anche rispettare la legge. Ci sono stati disagi enormi…siamo state anche pedinate, però attenzione sempre mamme eravamo, là si fermavano i treni perché quando c’erano le mamme degli stessi bambini dove loro portavano i bambini a scuola, quindi è stato un grande disagio, però abbiamo fatto del nostro meglio e grazie a questo noi abbiamo ritardato, abbiamo fatto ritardare l’ultimare del MUOS, quindi è stata comunque una piccola vittoria. Poi noi facevamo anche altre attività come girare tutti i paesi della Sicilia, in tutte le piazze dove ci invitavano per dire che cos’era il MUOS, perché c’era tabula rasa su questo problema, nessuno sapeva niente, quindi noi andavamo anche fuori paese.
All’inizio da parte della comunità, della famiglia avete incontrato ostacoli?
Sì, gli ostacoli ci sono stati e sono stati enormi, perché i NO MUOS sono stati visti anche di malocchio perché dopo che noi facevamo tutta questa battaglia non è che tutta Niscemi ha approvato questa battaglia…e quindi tutta la gente che era con noi, poi piano piano si è allontanata perché ha iniziato ad avere paura, insomma, di quello che poteva accadere, e la cosa più grave erano le denunce, infatti diverse mamme sono state denunciate come anche i ragazzi sono stati denunciati questo ha fatto ritirare molte donne, ma mai che ci hanno fermato, non è che abbiamo mollato la prese, ma quelle donne che eravamo presenti, cercavamo lo stesso di continuare nella lotta. I mariti sono stati con noi, perché non era possibile fare una battaglia del genere senza l’appoggio delle famiglie. Perché devi considerare che se io mi alzavo la mattina alle cinque, i figli rimanevano col papà. Il papà mi dava un  grandissimo sostegno perché mio marito per esempio quando sapeva che stavo fuori tutto il giorno, sia per il presidio, sia perché c’erano altri impegno che ci eravamo presi,  lui pensava al pranzo, come mio marito, tutti i mariti delle donne che stavano con noi, qualcuno si prendeva l’impegno di andare a prendere i figli di una mamma che era lì con noi, preparavano il pranzo per i figli degli altri, voglio dire, una mano ce la siamo data fin da subito. Perché i mariti non sono scesi in piazza mentre le donne sì, perché i mariti avevano l’impegno del lavoro, oppure molti mariti non scendevano in piazza perché fra di loro non hanno legato come abbiamo legato noi donne, quindi la battaglia è diventata più delle donne, i mariti ci sostenevano. Molti mariti non venivano neanche al presidio per evitare che questo gruppo di donne si sgretolasse, perché se c’era la presenza di tanti uomini magari molte donne venivano senza i mariti e allora c’era un po’ di disagio. Molti mariti non venivano perché sapevano che riuscivamo a sbrigarcela da sole, e così è stato la maggior parte delle volte. Se non avessimo avuto i mariti dalla nostra parte non saremmo arrivati qua. All’inizio qualche pregiudizio c’è stato nei nostri confronti, ma noi siamo andate avanti lo stesso, e pian piano i pregiudizi sono caduti. Poi devi considerare una cosa importante, questa lotta non è una lotta solo contro chi stava costruendo il MUOS, questa è stata una lotta che ha un percorso molto definito. Allora, noi eravamo contro l’amministrazione comunale che aveva autorizzato la costruzione quindi molti consiglieri comunali che avevano autorizzato, o chi era in quell’amministrazione già ce l’aveva con noi perché stavamo iniziando a sbandierare il problema. Dopodiché il problema si è spostato alla Regione, quindi il Presidente Crocetta ci ha dato l’autorizzazione di non far costruire, dopodiché ritira l’autorizzazione, poi di nuovo la ridà, e di lì viene fuori il gioco delle revoche delle revoche. Ma poi il problema è passato a livello del governo centrale, quindi c’è stato anche Roma, perché prima il Presidente Monti, quando c’era lui non si discuteva sul fatto che il MUOS andava costruito, poi ci fu il Presidente Letta che anche lui andò lì a dire “no il MUOS si costruisce” e poi non togliamo niente pure a Renzi, perché pure Renzi lui dice: “noi siamo amici degli americani” ma amici di grande sottomissione. Poi da ultimo, gli americani, che loro hanno approfittato della situazione e gli americani che sono stati molto, non ce l’abbiamo con gli americani, questo deve essere chiaro, però gli americani hanno approfittato del nostro popolo, hanno approfittato dell’ignoranza che regnava qui e loro si sono fatti padroni di un territorio che non è il loro perché loro hanno costruito questa base su un terreno che è in comodato d’uso, tutto il territorio dove loro hanno costruito è del governo italiano, ma loro hanno costruito in questo posto in comodato d’uso, quindi loro non sono i proprietari, è come se fossero in affitto, ma non pagano l’affitto, però loro ci stanno e padroneggiano. Quindi, vedi, che è una battaglia che non ha precedenti, non è un tet a tet con un altro gruppo, qua è Niscemi – amministrazione comunale; Crocetta- governo centrale; Il governo e gli americani. Allora queste mamme si sono messe contro tutte queste istituzioni, cioè contro il mondo ci siamo messe, ma grazie a questo però abbiamo ottenuto quella piccola vittoria che dopo un anno loro dovevano ancora ultimare il MUOS e si arrabbiavano di brutto, tanto è che il Console Moore, quando vide che noi che agli americani non li facevamo passare, lui chiede un incontro con le mamme NO MUOS e chiede un incontro dal Prefetto a Caltanissetta, e io un po’ scherzosamente, io, parlavo come comitato mamme NO MUOS, “io non ho nulla da dire al Console, se lui ha qualcosa da dire che venga a Niscemi” non me lo sono visto presentare a Niscemi? Lui è venuto a Niscemi con una scorta non indifferente, ci siamo incontrati, al Comune con tutte le istituzioni di Niscemi, il Sindaco per dirci che il MUOS non faceva male. Quindi tu te lo immagini tutto il movimento NO MUOS contro il Console Moore a dirgli delle bruttissime parole quando è uscito dal Comune, che è stato terribile, perché mancava proprio che c’era uno scontro fisico, e se ne è dovuto andare con due piedi in una staffa, perché noi non possiamo credere ad una parola che dice un Console, quando invece le carte dicono tutt’altro, perché noi abbiamo dei periti di parte, come Zucchetti, come Coraddu, oggi il Dott. Marinelli che ha fatto un ultimo esperimento sulle cellule umane che risultano alterate grazie alle onde elettromagnetiche, come altri…loro hanno sottoscritto che le onde elettromagnetiche che ci sono a Niscemi danneggiano terribilmente, ma nessuno sottoscrive che le onde elettromagnetiche non fanno nulla, nessuno fa questo documento, quindi noi siamo certi di quello che abbiamo, siamo sicuri che qua i danni ci sono, i danni ci sono perché noi ce li vediamo in ogni casa dei nostri concittadini, qua c’è troppa gente malata, abbiamo fatto pure un…abbiamo chiesto anche ai medici di base di fare un sondaggio, per vedere che tipo di malattie ci sono, è stata fatta una cosa insomma discreta per vedere che numeri escono. Le donne di Niscemi come anche gli uomini soffrono di sterilità, allora se noi dobbiamo attribuire la sterilità dei niscemesi all’impianto di Gela, non è possibile, l’impianto di Gela danneggia altre parti del nostro corpo, mentre la sterilità, la tiroide, le depressioni, su 25.000 abitanti noi siamo 700 depressi, malati mentali gravissimi, cose che negli altri paesi non ci sono. Allora questo significa che i danni qui non indifferenti.

 

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