Il punto cieco del sistema hegeliano: il discorso specifico sulla donna e possibili sconfinamenti
(…) dobbiamo porci la domanda: che cos’è una donna? L’enunciazione stessa del problema mi suggerisce una prima risposta. E’ significativo che io lo proponga. A un uomo non verrebbe mai in mente di scrivere un libro sulla singolare posizione che i maschi hanno nell’umanità. Se io voglio definirmi, sono obbligata anzitutto a dichiarare “sono una donna”; questa verità costituisce il fondo sul quale si ancorerà ogni altra affermazione. Un uomo non comincia mai col classificarsi come individuo di un certo sesso: che sia uomo è sottointeso.(Il secondo sesso, p. 21)
All’apertura del Secondo Sesso è subito messo a nudo il discorso dell’uomo. L’uomo è individuo universale. Come emerso dal primo incontro del nostro seminario, se si mette alle strette la finzione dell’essenza dell’uomo, dei diritti dell’uomo, della dichiarazione dell’uomo, si vede subito come gli uomini, di sesso maschile, abbiano costituito una tradizione in cui il loro sesso elevato a soggetto collettivo , significasse l’essere umano in generale, riservando poi un discorso specifico sulla donna.
Nei miei studi di filosofia non è stato difficile imbattersi in questa logica. Stavo lavorando sul tema del desiderio in Hegel, e sull’interpretazione che il filosofo russo, di adozione francese Kojève vi costruisce attorno. Per farla breve, è una splendida filosofia della storia in cui l’uomo, appunto, per diventare tale deve vincere il desiderio in presenza, non può semplicemente desiderare, conquistare e consumare ma vincere lo stesso istinto di autoconservazione sfidando l’altro per un desiderio non naturale, ma antropogeno, che produce l’uomo, in una lotta per la vita e per la morte. La negazione della vita biologica costituisce cioè il desiderio come umano e dischiude una realtà sociale all’uomo che è disposto a rischiare la vita per un fine non vitale. Cercavo quindi di capire quale fosse questo desiderio biologico o animale e quale fosse invece quel desiderio produttore di realtà sociale. Mi sono accorta però di una cosa molto elementare: questa lotta per la vita e per la morte, in cui uno dei due era disposto a morire pur di affermare il suo desiderio non vitale, era pensata come un duello, una lotta tra due, in cui era decisivo in fondo che vincesse il più forte. Questo secondo il filosofo russo, era il residuo naturale della divisione in classi. Il vincitore di quella contesa sarebbe stato Signore, lo sconfitto a cui la vita era stata risparmiata, che aveva provato paura e quindi un sentimento a suo modo umanizzante, sarebbe diventato Servo. In questo sono d’accordo sia Hegel che il suo interprete Kojève. Hegel dal canto suo aveva già sostenuto che un simile desiderio era insufficiente a fondare una realtà sociale e infatti esso non è che l’atto fondativo, è nella lotta per il riconoscimento dell’uguaglianza reciproca, nella storia e nei saperi che una realtà sociale libera trova compimento. Per entrambi comunque è questa lotta di forze asimmetriche che fonda un consorzio umano, appena diverso dal branco o dal gregge. Fermo restando che solo il servo può dar vita alla realtà sociale libera: il servo lavorando dà forma al mondo.
Fin qui posso ancora dare il mio assenso e dire: – in quanto donna sono il servo perché ho perso nel duello, ma posso sempre trasformare la natura in un mondo umano in cui si può vivere. Questo discorso universale sulla genesi della realtà umana però s’infrange quando è chiaro che la Fenomenologia dello Spirito, il progetto di un sistema di tutte le forme di pensiero e di azione possibili nel loro sviluppo verso una totalità compiuta, riserva un discorso specifico alla donna.
Hegel tiene il discorso specifico sulla donna lì dove lo Spirito, principio cristiano dell’individuo storicizzato nella Rivoluzione francese, per la prima volta appare nella forma concrete del “mondo etico”, la struttura della società che deve essere tale affinché lo Spirito sia immanente e non trascendente. Hegel deve cioè preoccuparsi di stabilire che la donna non può trascendere la famiglia per entrare a far parte della società civile, stadio preliminare allo Stato. Solo tra fratello e sorella vi è un rapporto senza desiderio in cui essi sono libera individualità. In questo rapporto con il fratello la sorella “può affermare il suo diritto del singolo Sé riconoscente e riconosciuto, dacchè esso è congiunto con l’equilibrio del sangue e col rapporto privo di desiderio” (Fenomenologia dello Spirito, G. F. W. Hegel. (Ed. it. E. De Negri, Roma 2008) II vol. p. 17).
Ma le relazioni di madre e di moglie hanno la singolarità, da una parte come qualcosa di naturale appartenente al piacere, d’altra parte come qualcosa di negativo, che ivi scorge solo il suo dileguare; e d’altra parte ancora appunto per ciò quella singolarità è un alcunché di accidentale che può venir sostituito da un’altra. Nel domicilio dell’eticità ciò su cui si basano i rapporti della donna non è questo marito, non questi figli; ma un marito e dei figli in generale; non è la sensazione ma l’universale. La differenza della sua eticità da quella dell’uomo consiste appunto in questo, che la donna nella sua determinazione per la singolarità e nel suo piacere resta immediatamente universale ed estranea alla singolarità del desiderio; laddove questi due lati nell’uomo si staccano l’un l’altro e, possedendo egli come cittadino l’autocosciente forza dell’universalità, del desiderio acquista con ciò il diritto, mantenendosi in pari tempo libero. Poiché dunque a tale comportamento della moglie è mista la singolarità, l’eticità di esso non è pura; ma in quanto l’eticità è tale, la singolarità è indifferente, e la moglie è priva del momento del riconoscersi come questo Sé nell’altro.
In altre parole, la condizione di madre e moglie impedisce ad una donna di essere riconosciuta libera singolarità dall’uomo, e di riconoscere a sua volta egli come tale, perché la sua singolarità è definita come “qualcosa di naturale appartenente al piacere” che si contrappone in modo negativo all’uomo che si costituisce come un essere sociale e culturale, storico. In questo carattere naturale rivelato dal piacere ogni donna è intercambiabile, accidentale, può venir sostituita da un’altra che abbia la stessa funzione. Con una torsione del discorso questi caratteri, con cui viene descritta le vengono attribuiti come se per lei non fosse determinante “questo marito” e “questi figli” ma “un marito e dei figli in generale”. Non è determinante la sensazione ma l’universale. La sua funzione universale trapassa le sue sensazioni ed in questo sta la sua differenza dall’uomo: l’uomo è singolare nel desiderio, nella sensazione, riesce a vivere restandone libero perché d’altra parte è un cittadino autocosciente e non contamina l’universalità dei suoi diritti politici con la singolarità del piacere. L’uomo sa separare i due momenti in modo da restare singolare e universale, può godere e governare perché sa tenere ben separate le due funzioni. La moglie e la madre invece, escluse dalla cittadinanza restano fuori anche dalla singolarità del desiderio, non tendono che ad un marito e a dei figli in generale e pertanto il desiderio è loro indifferente. Mostri deformati da una funzione universale, dall’eticità impura e dal piacere disposto indifferentemente ad ogni figlio e ogni marito, esse non potranno mai riconoscere se stesse nel bel volto del cittadino autocosciente e desiderante.
Davanti a questi discorsi, che difficilmente turbano i compagni, che anzi facilmente mi sorridono, mi dicono di lasciar perdere questo ciarpame, come se credessi alle favole, e non so mai se è un buon segno, che fare? Gettare via Hegel? E anche Spinoza, Marx, Lenin, dappertutto si trova almeno un luogo comune sul “non comportarsi da donne”, fino alle offese formalizzate di Rousseau e Nietzsche. Occorre un’altra strategia, non è possibile respingere tutta la tradizione occidentale. Ciò che occorre è allora decostruzione e libero gioco dell’immaginazione per far venir fuori tutto il rimosso del sistema e rivendicarlo come materia nuova per discorsi inauditi. Compiere gesti di rivolta intellettuale, sapendo che non si tornerà più indietro a fidarsi del soggetto universale. Lunghi respiri profondi d’aria fresca e pulita, una ricerca serena di un canone, di una genealogia femmista.
Strategia n°1: Speculum Luce Irigaray… Rispetto al passo hegeliano in particolare …l’eterna ironia della comunità… (p. 199-209) e Il volume senza contorno (209-221)..
Strategia n°2: Sputiamo su Hegel. Scritti di rivolta femminile. Carla Lonzi
Strategia n°3: Le filosofie femministe di Adriana Cavarero e Franco Restaino
Da quest’ultima ho preso essenzialmente la mia via per scrivere qualcosa su questo desiderio umano, addirittura antropogeno a me negato, se non nella misura del servo che lavora con abnegazione (non ho neanche fratelli, e poi non credo affatto nella possibilità di rapporti senza desiderio).
Se il femminismo italiano degli anni ‘70, attraverso la centralità delle pratiche del separatismo e dell’autocoscienza produceva il significante Donna, rivendicando il diritto e il desiderio immediato di esistenza simbolica, il femminismo francese e la teoria psicanalitica nei risvolti lacaniani si proponeva di uscire fuori dall’economia binaria, una struttura oppositiva, duale e gerarchica, un sistema bipolare per cui posto l’uomo (maschio) come soggetto, la donna risulta oggetto, posto il primo come il Sé, la seconda risulta l’Altro. A queste si possono annoverare altre dicotomie, tra cui cultura/natura, ragione/passione, mente/corpo, pubblico/privato, e la distinzione oppositiva tra biologico/antropogeno sembra rientrare appieno in tale economia binaria. Un linguaggio così strutturato permette l’autorappresentazione del sesso maschile, decidendo al contempo la rappresentazione del sesso femminile a sé funzionale, posizionandola come altra dall’uomo e per l’uomo. E’ interessante notare come ciò che verrà chiamato economia binaria è pienamente formulato già nell’introduzione al Secondo Sesso:
Il rapporto tra i due sessi non è quello di due elettricità, di due poli: l’uomo rappresenta insieme il positivo e il negativo al punto che diciamo “gli uomini” per indicare gli esseri umani, il senso singolare della parola vir essendosi assimilato al senso generale della parola homo. La donna invece appare come il solo negativo, al punto che ogni determinazione le è imputata in guisa di limitazione, senza reciprocità (Il secondo sesso, Introduzione).
Tornando ai tentativi di andar fuori dall’economia binaria, fuori è “Lachora di Platone, materia informe e inintellegibile a cui egli dà il nome di madre, e il “continente nero” con cui Freud indica il lato incomprensibile della psiche femminile”. Per un’autorappresentazione femminile bisogna andare alla ricerca di “un punto cieco della rappresentazione”, “un vuoto del discorso”, “una zona irriducibile alle forme del logos”. “E non è un caso che per l’immaginario filosofico essa prenda nomi femminili”. (Cavarero, Corpo in figure, Feltrinelli, 1995).
Nel discorso del Medesimo c’è dunque qualcosa che lo eccede e che sta fuori dal suo dominio. Il sistema (filosofico) è caratterizzato da un interno che corrisponde alla sfera dell’intellegibile dove regna l’economia binaria che mette in forma, concettualizza, rappresenta, genera i significati e li controlla. L’esterno corrisponde invece alla sfera oscura e inintellegibile di ciò che sfugge al lavoro della significazione e tuttavia prende nomi femminili: matrice, materia, madre e non di meno natura data, essere dato. Il femminile è quindi duplice in riferimento al sistema: c’è il femminile interno, descritto da Hegel nella figurazione dell’Eticità e ripreso nel tema di Antigone, e Kojève si sofferma essenzialmente su questo, accettando il posizionamento del femminile nella famiglia e dando modo allo spirito di cercare altrove un riconoscimento politico superiore al sangue. L’altro femminile, quello esterno al sistema filosofico, ossia quello che sfugge alle rappresentazioni dell’economia binaria e non vi rientra che obliquamente per prenderne i nomi, sembra essere il luogo della sostanza, la Vita, in cui la scienza assoluta interviene a sostenere che il corpo ha da essere cosciente. Ho lavorato essenzialmente su questa figura della Vita, il primo momento dell’autocoscienza hegeliana che precede i momenti di desiderio, lotta per il riconoscimento, signoria e servitù. La Vita viene qui presentata come l’atto di dissoluzione delle figure individuali che produce la sussistenza della sostanza, la quale si articola nelle figure individuali solo in quanto vita universale, accomunando le figure nella finitezza. Questo ritmo di dissoluzione e articolazione è chiamato da Hegel figurazione e assoggettamento, due processi che in termini successivi alla speculazione hegeliana possono indicare da un lato la produzione caotica e spontanea di figure contigue all’animalità, dall’altra i dispositivi di controllo in cui tale spontaneità viene catturata e disciplinata.