L’ultimo splendido libricino di Luisa Muraro (Autorità, collana Gemme, Rosenberg&Sellier) prosegue nell’opera di scuotimento del buonismo generale iniziato con il molto discusso Dio è violent… Parlo di scuotimento, perché, si sa, l’autorità è una parola, una pratica, addirittura un modo di vivere molto difficile da metabolizzare nel mondo contemporaneo. Quasi impossibile, fino ad ora. Muraro aveva già guidato la Comunità filosofica Diotima a rompere il tabù di cui è fatta oggetto l’autorità, attraverso la ricerca di una sua altra radice capace di scongiurare gli esiti nefasti della sovrapposizione di significato tra autorità e potere. Ne era uscito il libro di Diotima, Oltre l’uguaglianza. Le radici femminili dell’autorità (1995); libro imperfetto fin che si vuole e degno delle obiezioni che ha ricevuto, ma tuttavia molto tempestivo e acuto nell’indicare una via di liberazione dal grave problema della disgregazione dei legami sociali, dovuta anche al senso malinteso dato alla parola “uguaglianza”. Perfino Zygmunt Bauman – meglio tardi che mai – si trova ora costretto a scrivere Le radici del male, un libro in cui il “male” dei nostri tempi è identificato con la scomparsa della percezione delle “dissimmetrie”, delle qualità differenti di capacità, merito e sapienza, svaporate nel fumo del buonismo illuminista del “diritto” all’uguaglianza. Un malinteso fatale.
Il lavoro di Luisa Muraro porta ora a una sua perfezione il tema “autorità” attraverso alcune potenti mosse filosofiche, tra cui un’ulteriore radicalizzazione rispetto al lavoro fatto da Diotima.
Nella radicalizzazione si fa aiutare dal linguista Benveniste che assicura al lemma un campo semantico dispiegabile intorno al senso di “promuovere all’esistenza”, marcandone così la qualità generatrice di vita. Con Diotima, ci si era fermate al senso latino di augere, che significa far crescere, aumentare. Ma questo, mentre da un lato stabilisce una genealogia femminile del fare autorità, dall’altro, la stringe indubbiamente su di un motivo materno-nutritivo. Un senso che espone troppo l’autorità all’obiezione della ricaduta nell’incarnazione appropriativa e saturante, soprattutto da parte delle donne. In altre parole, rendeva facile far ricadere l’autorità nell’essere una rigida posizione individuale, e non un’energia realizzatrice e circolante nelle relazioni, come in effetti è. La radicalizzazione operata da Luisa Muraro, sottolineandone l’efficacia generativa, rende ora possibile pensarla e praticarla nelle relazioni anche incarnandola provvisoriamente, senza timore dell’appropriazione, poiché è rivolta all’esistenza di altro da sé. Pure mantenendo la genealogia femminile, dato il campo semantico del “mettere al mondo”, l’autorità può riprendere il suo essere “forza misteriosa” che attraversa alcune, alcuni ma non tutti, e che può legare in una benefica relazione di fiducia. L’analogia è con la fiducia dai tratti gioiosi che, nell’infanzia, lega il bambino e la bambina alla propria madre. L’impronta di quella fiducia si rende disponibile anche a chi sa già parlare e desidera che venga al mondo il desiderio altrui, o a chi desidera trovare in altre, in altri l’orientamento per il proprio desiderio.
Una delle mosse filosofiche tra le più belle di Luisa Muraro è quella di collocare proprio nell’infanzia l’inizio della capacità generativa della relazione d’autorità: l’infans, chi non sa ancora parlare, dall’interno di questa relazione impara a parlare, cioè a pensare, cioè a venire nel mondo attraverso il linguaggio. Come a dire che l’autorità mette e rimette in condizione di pensare facendo capitare il meglio di ogni trasformazione possibile con la sola forza della parola, detta e offerta in una relazione potente e “senza i mezzi del potere”. Spostare nel territorio dell’infanzia l’esperienza della generatività dell’autorità, permette a Luisa Muraro di fare un’altra mossa: portare finalmente alla luce, oltre alla sua misteriosità da mantenere tale, anche la sua fragilità.
La natura fragile dell’autorità si evidenzia nel fatto che è tutta affidata alla forza delle relazioni e alla capacità di discernere quelle che la possono far esistere irradiandola anche al contesto di vita in cui si mostrano queste stesse relazioni. Si può sperimentare frequentemente quanto offendere o aggredire una relazione di autorità (dunque, di fiducia) produca un effetto di desautorazione e disgregazione di tutto il contesto in cui la relazione aggredita portava orientamento. Quando questo accade si diffonde una certa sofferenza e si rompono, senza rimedio, legami sociali e politici, poiché non si possono imporre fiducia e autorità, anche se sono proprio loro a tenere ordinati i contesti.
La forza dell’autorità costituisce anche la sua fragilità. E con questa indicazione, Luisa Muraro riesce a dislocare decisamente l’autorità dal potere e a ridefinirla come esperienza generativa dei legami sociali. Soprattutto, fa circolare in questi la libertà necessaria a mettere al mondo il proprio meglio, e forse la vita umana stessa.