In occasione dell’uscita del volume di Audre Lorde, Sorella Outsider, a cura di M. Giacobino con Marta Giannello Guida, Il dito e la luna, Milano 2014
da Commonware, 2 maggio 2014
Audre Lorde resta ancora pressoché sconosciuta in Italia, questa omissione delle traduzioni del suo pensiero nella nostra cultura femminista può essere riconducibile a razzismi e classismi che caratterizzano parte del femminismo stesso nostrano, o forse la parte più autorevole e visibile di un femminismo bianco privilegiato cattolico ufficialmente eterosessuale. Qual è l’importanza di tradurre il suo pensiero oggi in Italia?
Non posso rispondere sull’importanza di tradurre il pensiero di Lorde a nome di altre persone, né posso farlo per un movimento che non sono neanche sicura di conoscere. Posso rispondere per me, in base alla mia esperienza, di persona che frequenta il pensiero di Lorde da più di dieci, quindici anni; Da quando furono organizzati i primi corsi al Maurice di Letteratura Lesbica mi sono convinta che era un’autrice da tradurre e ancor più lo credo adesso che ho realizzato questo lavoro per il quale ho letto veramente tutto di lei e ci ho lavorato a fondo.
L’importanza di conoscere e tradurre il pensiero di Lorde a mio avviso risiede nel suo essere estremamente aderente alle realtà fattuali. Lorde ci spinge a prendere sempre coscienza di quelle che sono le nostre realtà di vita, di classe, anche (le realtà) economiche, e a non pensare in maniera astratta, che poi si finisce sempre per negare il punto di vista di chi pensa; Per negare una parzialità facendola diventare fittiziamente universale. E, poi, c’è il modo in cui lei unisce, in maniera molto coerente e molto onesta, la sua vita, il suo privato, il suo percorso dentro di se con il lavoro politico esterno. Questo è anche un altro aspetto che considero rispetto alla dell’Italia, la politica oggi è quel regno là, dove ci si sporca le mani, dove si fa solo compromesso, dove si hanno sempre sott’occhio altre priorità, altre urgenze; Lei invece su questo ci riporta veramente a un lavoro che unisce il privato, l’individuo, l’interiorità e la soggettività con il politico, ci indirizza cioè verso tutta una serie di pensieri, di iniziative che è possibile fare in campo strettamente politico ma – almeno per me è stato così – ci fornisce un grande aiuto anche per quanto riguarda la vita quotidiana.
Lorde è una donna che porta vitalità, positività, forza, una carica di idee, di cose su cui riflettere e di energie positive. Questa può essere una cosa che colgono tutti, non solo il movimento delle donne. Chiunque si prenda la briga di leggerla può cogliere delle cose. Per esempio, durante il lavoro mi sono fatta aiutare da un ragazzo per mettere insieme dei pezzi di video, lui non sapendo niente di Lorde e vedendo quel video diceva, “ma come è interessante questa qua” e così si è prenotato il libro. Sarà anche un uomo particolarmente illuminato, resta che è stato sensibile e recettivo a quello che Lorde ha da dire.
Come lei diceva prima, l’autrice fa riferimento a una soggettività che non è per forza donna più o meno biologica. Ci ha colpito la parte della narrazione sul potere dell’erotico di Lorde che nel libro lei in qualche modo definisce come facente parte di un piano femminile e ancora più in molte parti tipico del lesbismo, quindi questa preferenza delle donne per le donne. Tutto questo collocato in un sistema di oppressione caratterizzato da un mondo maschile. Prese queste parole, femminile e maschile, quale spazio può aprirsi nella narrazione dell’erotico per un femminismo che non sia fatto di un essenzializzazione di una divisione dell’individuo tra maschio e femmina, e quindi della dualità di genere, ma che non abbandoni l’idea dell’erotico?
Se non si distingue fra i generi penso che si finisca per sfocare la distinzione tra maschile e femminile, e non credo sia possibile farlo oggi. Io penso che nel mondo di oggi vivano donne e uomini e poi altre persone che hanno travalicato o abbattuto certi ruoli, però nel mondo attorno a noi le ruolizzazioni sono più che mai forti come anche il richiamo a un ritorno al genere è molto forte. Fatta questa premessa, Lorde sostiene che l’erotico è un potere femminile ma anche che la madre nera presente dentro di noi, che rappresenta la poeta, la radice della poesia, e insieme anche la radice dell’eros è al contempo presente anche dentro gli uomini.
Teniamo conto che Lorde parla a un livello profondamente suggestivo ed evocativo; Lei è una poeta e quindi afferma di non sentire l’incombenza di dimostrare, di provare, rifacendosi ad un tempo anche a quella che è la storia della civiltà, a tutto un passato che dimostra che noi veniamo dall’Africa. Sostanzialmente, secondo Lorde, c’è una capacità di eros, che è anche capacità di visione e di partecipazione erotica, che è alla base di ognuno di noi, nel nostro passato, in un passato molto lontano racchiuso dentro di noi. Questa visione è stata negata negli uomini, probabilmente per motivi storici-culturali, ed è stata in fondo ricacciata nel femminile e chiusa in quasi tutti i suoi sbocchi, perché come sostiene Lorde, l’eros è stato legato unicamente al rapporto eterosessuale, chiuso nel rapporto del sesso, privato, tra un uomo e una donna in una camera da letto. Per Lorde invece l’eros è un’altra cosa. Quando lei ci parla dell’eros del lavoro, è chiaro che si va al di là dei generi. Perché se per me l’eros è una possibilità di vivere la gioia, sperimentare la mia capacità di gioia, di pienezza nel mio lavoro, provare gioia nel lavorare perché mi piace quello che faccio e credo in quello che faccio e perché mi piace lavorare con gli altri, è chiaro che siamo dinanzi a qualcosa che non è specificamente femminile.
Lorde chiaramente si rivolge alle donne, perché sono le donne che hanno creato il movimento in cui lei viveva e operava, ed erano le donne a dimostrarsi aperte e desiderose di questo tipo di discorso. Quando ci parla dell’educazione di suo figlio dice che vuole che lui abbia accesso al suo sentire, che vuol dire contemplare anche sentimenti come la paura, non vuole che egli soffochi tutte le sue paure e diventi più aggressivo di un altro soltanto perché deve essere forte in quanto maschio e dimostrarsi vincente in quanto maschio. Diciamo quindi che il discorso di Lorde è da un lato profondamente femminile, dall’altro fruibile anche da un uomo, se questo si dimostra capace di ascoltare questi termini che partono da una visione femminile del mondo. È difficile che un uomo si ponga in questa visione del mondo, se lo fa vuol dire che avrebbe probabilmente da guadagnare. Lorde dunque pur riaffermando i generi costantemente fa un discorso che conduce a rimettere in discussione tutto.
Lorde colloca sia il potere dell’erotico che la cura mutualistica in posizione centrale nel suo discorso contro il patriarcato; Delinea i meccanismi che hanno relegato queste due risorse ai margini del sistema produttivo basato sul patriarcato bianco. Questo discorso può essere visto in continuità con la relazione tra caccia alle streghe e capitalismo delineata da alcune pensatrici femministe materialiste? E’ presente anche in Lorde un parallelismo fra demonizzazione e marginalizzazione di discorsi, miti e saperi femminili e avvento del capitalismo?
Lorde non fa assolutamente questo discorso. E’ presente tutta una corrente di pensiero, non solo femminile, che sostiene giustamente come tutta una serie di fenomeni abbiano ricacciato ai margini il femminile e il sapere femminile. Un certo sapere femminile è stato represso perché in questo modo si è potuta creare la medicalizzazione di tutta una serie di esperienze – e che prima ad esempio erano proprie delle streghe . Le streghe possiamo dire sono state sostituite dai medici. Se tuttavia prendiamo come riferimento l’ Africa, la caccia alle streghe lì non c’era. C’è stata la schiavitù, la deportazione degli schiavi, c’è stata – e c’è tutt’ora – la mutilazione dei genitali femminili, ma non c’è stata la caccia alla stregoneria.
La caccia alle streghe in Africa sta arrivando ora?
Per esempio, Mary Daly aveva pubblicato proprio in quegli anni Gin/Ecology che era un discorso sul trattamento che il patriarcato aveva riservato alle donne e il modo in cui questa visione patriarcale si rifletteva poi nel mito e nella religione; Nella sua analisi Daly parla di questi grandi momenti di oppressione, di sadismo che il patriarcato ha inflitto alle donne: la caccia alle streghe, la mutilazione genitale, il modificare i piedi alle cinesi e anche del modo in cui l’industria ginecologica si è appropriata del corpo delle donne.
Lorde risponde a Mary Daly dicendo di essersi immedesimata molto in ciò che lei riportava, tuttavia si è anche resa conto che l’autrice, nella parte del suo libro in cui lasciava spazio al mito, parlava esclusivamente di dee eurocentriche. Trattava delle dee greche, delle leggende che hanno in qualche modo avuto origine nel bacino mediterraneo e una diffusione esclusiva in Occidente ma non era presente la mitologia africana. Aggiunge Lorde che arrivando ad un capitolo del libro che trattava delle mutilazioni genitali Daly espone questa pratica come uno dei grandi fenomeni del sadismo perpetrato dal patriarcato nei confronti delle donne, in cui a praticarlo sono altre donne. Daly spiegava come mentre per esempio nella ginecologia le ostetriche sono state cacciate e sostituite dalla professione medica del ginecologo, che è stata per anni solo maschile, in Africa, le donne sono state le prime a tramandare questo tipo di sadismo perpetrato dal patriarcato sul corpo delle donne. A quel punto del libro, Lorde si è arrabbiata perché Daly ha mostrato dell’Africa solo un esempio di rapporti di violenza fra donne, in cui delle donne anziane operano queste mutilazioni sulle giovani, ma non ha preso in considerazione i tanti esempi di dee e di mitologia africana in cui le donne sono vincenti ed esprimono il rapporto tra di loro come vincente. L’obiezione che Lorde pone a Daly è di assumere nella sua trattazione l’Africa solo per quell’aspetto e non per la sua mitologia ad esempio, parla dell’Africa e dei/lle africani/e quando si tratta di mettere in luce l’aspetto più deteriore di quella civiltà, tralasciando invece le cose positive. In questo modo, lo stesso scritto di Daly assume a sua volta uno sguardo un po’ patriarcale o quanto meno un po’ paternalistico e colonialistico. Guarda al difetto della civiltà che non è la propria ma non ne vede gli altri aspetti.
Quindi Lorde in questo è più attenta alla rivendicazione della propria origine?
Lorde compie un’operazione che ha un suo rigore, una sua coerenza: lei parla negli anni Settanta-Ottanta, periodo in cui è una delle pochissime e in certi momenti l’unica donna afro-americana e lesbica ad aver assunto un’immagine pubblica e a parlare in un vuoto di discorso. Non sarà stata l’unica ma comunque erano in poche.
Lei fa la sua scelta, di fare riferimento a un mondo, ad un sapere che è la sua africanità. Teniamo presente che è un’intellettuale di New York ma nel momento in cui dichiara che ha bisogno di miti e leggende come ogni essere umano, di immagini a cui ancorare il suo pensiero, li prende dalla cultura africana e non dal patriarcato bianco. Soprattutto perché il sapere, i miti, l’immaginario africano esistono ma sono sempre stati ignorati dal mondo in cui è vissuta.
Lorde non parla di caccia alle streghe ma della necessità per le donne nere di rivalutare queste radici e anche quelle forme di vita che lei stessa andava riscoprendo in Africa; Dichiara di non essere un’antropologa ma ritrova delle tracce di rapporti tra donne, forme relazionali diverse, che poi verrano indagate da recenti studi nati nell’ambito dei gender studies e transgender, ovvero che in molti Paesi colonizzati l’omosessualità e tutte le disforie di genere molto spesso non erano demonizzate prima dell’arrivo dei colonizzatori. In tanti popoli esisteva la possibilità di vivere una situazione di genere diversa, uomini che si sentivano donne e viceversa venivano non solo tollerati ma spesso anche considerati più vicini al sacro perché erano persone che facevano esperienze fuori dal comune; Avevano accesso a livelli di esperienze che una persona che sta dentro il suo genere non ha.
Quello che Lorde ci racconta dell’Africa si può ricondurre a studi fatti inseguito, ci parla di forme di vita e di relazione delle donne africane che seppur taciute esistevano soprattutto in Africa occidentale – sua patria elettiva – ad esempio tante forme di matrimonio, tra le quali era anche possibile un’unione tra due donne, ovvero se una donna non si voleva sposare poteva condividere la propria vita con un’altra donna che poteva a sua volta anche avere dei figli che risultavano poi di entrambe.
Oppure c’erano le co-mogli, ossia donne che invece vivevano in un regime di poligamia, che non sempre è un regime punitivo. La sua posizione è questa, invita gli europei a ragionare sul loro passato mentre lei lo fa sul suo.
Nelle traduzioni in italiano degli scritti in prosa c’è una declinazione al femminile di gran parte di nomi e aggettivi, quelli generalmente neutri resi al maschile nella lingua italiana. In che misura questo si riflette nell’originale inglese?
Lorde è molto precisa quando scrive; Una delle cose che fa abitualmente è specificare di chi sta parlando e a chi si sta rivolgendo. Ad esempio, scrive spesso “noi donne nere”; Io nel tradurre non mi sono mai trovata nell’ambiguità.
Spesso nelle traduzioni quando ci si trova davanti a un concetto generale lo si esprime al maschile ma con Audre Lorde questa ambiguità non mi è mai capitata e nei rari casi in cui ho capito che lei parlava degli esseri umani in senso generale ho usato il maschile, quando invece parlava di “noi donne nere” non ne potevo parlare al maschile. A volte poi passa da una terza persona plurale alla prima plurale e questo inizialmente poteva creare confusione ma ho reso tutto con il “noi” perché è evidente che il soggetto di cui parla è appunto “noi donne nere”.
Ho spesso nei suoi scritti ritrovato cose che a me personalmente che non sono nera sono servite comunque moltissimo come possono servire ad un uomo, anche se indubbiamente sono presenti anche discorsi ad esempio sulla mancanza, sulle ambiguità dei rapporti tra donne che servono indubbiamente di più alle donne ed ad esse sono rivolti in modo specifico. Credo comunque di essermi posta al massimo due o tre volte questa domanda durante la traduzione perché per il resto era sempre chiaro di chi si stava parlando.
Pensando a questa chiarezza che ha Audre Lorde nella scelta di definire il soggetto, come si possono coniugare scelte così definite con la capacità di parlare a qualsiasi genere e provenienza?
Ovvero come si coniuga l’importanza del genere, per motivi di scelta e fattualità di quello che vivi, con l’importanza di altri pensieri che spesso vengono posti in conflitto tra loro come se non potessero parlarsi?
Il fatto che Lorde si definisca in diversi modi vuol dire che rifiuta in modo categorico un’identità singola, è un modo per smontare identità e definizioni univoche perché lei si sente tante cose e tutte quelle cose contemporaneamente e non vuole concentrare la sua lotta politica solo su una di queste.
In questo senso Lorde ha già demolito il principio fortemente identitario proprio del femminismo bianco degli anni Settanta e Ottanta e del femminismo della differenza che è assolutamente fermo su questo punto dal momento in cui afferma “noi siamo donne e basta”. Nell’essere donne tuttavia abbiamo delle cose in comune e altre no, Lorde afferma che ci sono momenti ad esempio in cui l’oppressione di donne bianche e nere è comune e altri in cui invece ci sono delle differenze. E questo accade sempre, negarlo e far passare le proprie cause per le cause di tutte, significa commettere un arbitrio, una prepotenza. Lorde smonta questo discorso a livello di sesso e di razza. Non parla mai invece di transgender, non affronta direttamente questa tematica probabilmente perché gli anni in cui questa inizia a svilupparsi in modo forte coincidono con il periodo in cui si ritira dal discorso politico, aveva una malattia molto grave e smette di combattere a un certo livello per andare dove le è più semplice vivere, perché non ce la faceva più. Non si ritira però mai completamente ma i suoi scritti arrivano fin lì quindi probabilmente non affronta certe tematiche perché non vengono portate alla ribalta prima di quel momento. Rileggendola, però, io non vedo un’esclusione, non penso che non ci sarebbe spazio per quel tipo di identità nel suo discorso. Ci sarebbe.
Se capisco bene quello che vuoi dire: come faccio a conciliare questa idea identitaria che io mi figuro di me stessa, mi vedo, mi muovo, combatto, mi riconosco come donna con il fatto che stiamo smontando i generi o decostruendo i generi. É così?
Sì, in maniera provocatoria, visto che spesso continua a emergere questo tema in maniera dialettica mentre a me non sembra che le due cose non possano parlarsi…
Certamente possono parlare, anche perché se l’essere umano non ha la capacità di vivere su più livelli e di far interagire dentro di sé una molteplicità di significati, una molteplicità di verità, allora è un cretino.
Noi non possiamo, a meno che non aderiamo a un’ideologia assolutamente dogmatica, sapere la verità e non possiamo pensare che la verità sia una e univoca, noi sappiamo che le verità sono sempre molteplici e comunque in continua ridefinizione. Io posso essere contemporaneamente una donna ed essere una che, per esempio, vorrebbe e tende a ridefinire il genere donna. Il fatto stesso che io nel mio genere non mi ci ritrovo più di tanto e rimetto in questione la mia identità, voglio ridefinirla a mio modo, vuol dire che io sto ridefinendo il genere.
Dopo di che Lorde non rifiuta mai la parola donna, certamente non la rifiuta, però non vedo perchè dovrebbe. Se tu mi dici che nell’essere umano la definizione tra uomo e donna non è ferma, immutabile e sostanziale ti posso dare ragione se però mi dici che non esiste non ti do ragione. E poisostanziale che vuol dire? Essenziale che vuol dire? Tu sei in grado di definirmi essenziale e culturale? Sei in grado di definire che cosa saresti tu se fossi nata in un altro contesto culturale? E se non fossi stata osservata con il tuo sguardo di adesso, insomma attraverso lo sguardo di una te stessa diversa? Io non sono in grado.
Nel momento in cui andiamo avanti probabilmente abbiamo bisogno di riconoscere una nostra essenzialità, anche temporanea e molteplice, e d’altra parte riconosciamo che siamo prodotti di un contesto culturale, siamo entrambe le cose, siamo tante cose diverse.
Audre Lorde diceva: io dentro di me sono tante cose e dentro di me c’è la madre nera che è il caos e mi terrorizza. Allora quando riconosciamo questo, mettiamo in discussione le basi di ogni certezza, di ogni dogma, quando riconosciamo che dentro di noi la nostra realtà di individui è così complessa che è difficilissimo affrontarla, allora non è che poi poniamo dogmaticamente il nostro essere donna.
Sì certo, eppure colpisce come attorno alle questioni di decostruzione del genere accostate a definizioni di genere, spesso, ci si areni; Mi è capitato pochi giorni fa durante un approfondimento su alcuni brani di M. Wittig, che hanno generato quasi spavento, come se Wittig non riconoscesse il soggetto donna, punto.
Wittig è una contemporanea di Audre Lorde. É iper-femminista ed è lesbica. Wittig afferma il lesbismo in contrapposizione con il femminismo etero che nega il lesbismo; Poi lei dice: io non sono una donna perché la donna è un costrutto culturale.
La prendo per buona perché nessuna di noi sa dire che cosa saremmo se non fossimo immerse in una qualche cultura, però lei lo fa in modo molto polemico perché sostiene che la donna sia definita dall’esterno, un po’ quello che dice Audre Lorde: “Il mio potere di donna consiste nel definire me stessa e non farmi definire dall’esterno”.
A me, tuttavia, sembra molto chiaro quello che dice Wittig; A chi di noi non è capitato di non sentirsi donna osservandone altre con cui non ha nulla in comune? E’ la dialettica tra le differenze che fa andare avanti e le differenze stanno anche dentro di me, la dialettica è importante; Io posso riconoscere di avere degli aspetti deteriori in me e come li gestisco? Come li supero? Come li uso? Audre Lorde diceva che le cose negative le posso usare, nel momento in cui le ri-conosco. Quindi non so se alcune si definiscono in un femminismo vecchio stampo e non vogliono più proseguire il discorso. Io ad esempio, mi sono trovata con delle ragazzine molto giovani anni fa che mi dicevano: “Ormai non c’è più differenza tra maschio e femmina, noi ci comportiamo uguale”; a me, molto maternalisticamente, veniva da dire “Vediamoci tra dieci anni e ne riparliamo, magari avrai vissuto altre esperienze…”, In effetti poi il mondo stringe sulla definizione di genere.
Io non credo che sia uguale, credo che siamo in un momento in cui esiste moltissima ampiezza, nella gamma che possiamo mettere in pratica. Io posso nascere biologicamente donna e vivere in un modo socialmente al 100% femminile, o posso vivere in modo molto meno femminile, posso essere lesbica, posso essere transgender, posso essere uomo e aver avuto dei figli prima da donna, posso fare delle cose che prima non erano possibili.
C’è un pensiero, un’ideologia, per cui non esiste più differenza quindi è tutto uguale; Ma abbracciare consapevolmente l’idea di decostruire i generi o il fatto che prima di me qualcuno abbia decostruito il genere, non vuol dire che adesso sia facile. Vivere dentro una messa in discussione del genere non vuol dire che allora la strada sia spianata.
No, anche perché è stato fatto solo a livello teorico. Quando vedo dei giovani maschi per la strada non è che li vedo tanto decostruiti. Posso immaginare che a un certo livello culturale, ci siano persone che avendo vissuto certe condizioni possono vivere in maniera poco definita, che possano godere di … ma sono casi minimi.
Sì, tutto questo poi si intreccia con la classe, con la razza; Queste possibilità si intrecciano con tante altre condizioni…
Certo, se nasci in una borgata dove, non so, le donne a quattordici anni si fidanzano e a sedici fanno figli è più difficile uscire da determinati schemi che non se nasci nella Milano bene…
Audre Lorde ha il pregio di essere fortemente concreta, non si perde in spiegazioni. Cose molto complesse ci vengono date così, come intuizioni, immagini; E sta a noi coglierle, questo è proprio un procedimento poetico.
Questo aspetto della sua scrittura a me personalmente è piaciuto moltissimo, perché una poeta come Audre Lorde scrive delle cose folgoranti buttate lì, in tre frasi si resta folgorate si ha da pensare per un bel po’, e questo è bello. Non c’è in lei un’impazienza di dover spiegare, non è accademica, in nessun senso.
Lorde è stata anche un’insegnante, ma molto atipica. E’ stata insegnante nella sua vita adulta, negli Stati Uniti in cui c’è però un sistema scolastico diverso, una scuola può assumere un docente anche solo per un semestre; Lorde ha iniziato così ad insegnare poesia, è diventata insegnante e faceva corsi di poesia contro il razzismo, insegnava anche ai giovani colleghi come comportarsi in determinate situazioni per evitare il razzismo, quali erano i parametri di razzismo da non assumere e debellare. Insegnava anche lingua e letteratura.
Lorde ha sempre sostenuto di non aver mai studiato, che da giovane non sapeva come si faceva a studiare, che non aveva niente da dare ai suoi studenti tranne se stessa, e lei è stata un’ottima insegnante. Insegnare è il modo migliore per imparare, è vero, è solo quando tu devi spiegare a un altro qualcosa, devi far passare e trasmettere a un altro qualcosa, che allora fai veramente un lavoro per renderlo tuo. Quando preparo un intervento, faccio un lavoro tale che mette in luce nuovi punti, è un apprendimento.
Lorde era un’ottima insegnante in questo, ma non era accademica. L’accademico è quello che parla nel silenzio, che gli altri lo sentano, lo seguano, non importa. L’accademico è quello che già col tono di voce ti comunica che lui ha il diritto di parlare e tu puoi solo stare zitta, Lorde invece dialogava.
Devo dire, inizialmente in certi momenti lei mi sembra ingenua, questo è il rischio di tutte le persone che credono onestamente in quello che fanno, perché non sono ciniche, non fingono, non antepongono considerazioni mondane all’essenza di quello che stanno facendo. Poi basta poco per capire che sotto questa ingenuità c’è un pensiero molto forte e consapevole.
Colpisce molto anche una certa frase di Audrie Lorde: “Voglio ampliare talmente tanto il concetto di vittoria, fino al punto che non posso perdere”. In qualche modo richiama ad un paradigma queer di “fallimento come scelta”.
Io non voglio discutere tanto di questa frase, mi piace lanciarla così, perché ha fatto pensare tanto. Per quanto riguarda il queer, Lorde dice in qualche modo l’opposto: “Io voglio vincere, perché voglio eliminare il fallimento, ma voglio vincere nei miei termini”, è questo che la rende così interessante. Perchè io devo essere un fallito per dare torto a un sistema?
Questa frase è interessante perché ci pone di fronte ad una molteplicità di significati. In una frasetta racchiude una molteplicità di letture, di livelli. Perchè non possiamo semplicemente abbassare il livello dell’aspettativa. Qui non è dispiegato solo il discorso contrario, Lorde sta parlando della morte, sta parlando della sua vittoria o non vittoria sulla malattia, che significa morire. Lei compie tutto un percorso, ed è uno dei motivi per cui noi siamo qui a parlarne, che assume ampiezza ed intensità di visione nel momento in cui sa di avere il cancro. Invece di deprimersi, ignorarlo, fingere di non averlo, invece di lanciarsi in una spirale di cure ossessive, chiudendosi rispetto a tutto il resto, lei dice: “Io improvvisamente mi trovo la morte davanti, cosa faccio? Decido come voglio vivere il tempo che mi rimane. Io ho bisogno di esaminare immediatamente le mie priorità. Quindi è importantissimo per me sapere come voglio vivere quello che mi rimane da vivere. Innanzitutto voglio combattere la morte, quindi voglio curarmi, perché io voglio vivere bene, voglio stare bene, voglio lavorare, voglio amare, voglio passarmela bene, voglio fare un lavoro utile per tutte le persone a cui posso essere utile, voglio avere tutto, tutto quello che mi è materialmente possibile avere in questa vita che mi rimane.”
Lorde prende in mano la sua malattia, si cura in maniera personale, definisce lei stessa le sue cure, sceglie delle cure che non sono quelle che le vengono prospettate – pensiamo alle nostre vite iper-medicalizzate. È forse in conseguenza a questo atteggiamento di fronte alla malattia che lei vive molto di più dei due-tre anni di vita che le avevano prospettato nel 1984, morirà infatti 1992.
Lorde fa un grande lavoro su se stessa, dice “Io voglio fare tutto, voglio continuare a stare con le persone con cui sto, a fare la mia vita, i miei viaggi, curandomi”.
Da allora lei scrive tutti i testi compresi nel libro, tranne due o tre pezzi. Questo vuol dire che Lorde ha avuto una grande accelerazione, intensificazione della vita, nel momento in cui la maggior parte degli esseri umani si rannicchia in un angolo e fa resistenza, lei invece si è aperta. È in sè un percorso molto particolare, ed è probabilmente questo il motivo per cui siamo qui a parlare di lei, questo le ha dato una forza, una capacità di affrontare le cose, una limpidezza, una chiarezza tali che ha reso il suo pensiero particolarmente intenso e fruibile da noi, particolarmente chiaro e incisivo.
Quando Lorde parla della vittoria, lei sta parlando proprio del cancro, sta parlando della sua morte, e devo dire che quando si affronta il pensiero della morte, in quel momento c’è chi non dismette le sue bugie, tuttavia molte rivelazioni possono venire quando la tua “morte ti guarda”, perché è il momento in cui tutte le cose poco importanti o poco vere tendono a cadere. Questo è il contesto molto forte in cui quella frase va collocata. Per vittoria, Lorde intende “quello che per me è la definizione di vittoria, vincere per me” che non vuol dire solo darsi lo zuccherino, dirsi “brava” perché ho fatto tutto fino adesso, ma è proprio la luce attraverso la quale noi esaminiamo il percorso che facciamo, le scelte che compiamo.