Giovanna Zapperi
Già pubblicato in Academia
Relazione introduttiva alla giornata di studi Carla Lonzi: critique d’art et féministe / art critic and feminist, organizzata dal gruppo di ricerca Travelling Féministe/Travelling Feminism alla Maison Rouge di Parigi, con interventi di Lucia Aspesi, Sabeth Buchmann, Chiara Fumai, Elisabeth Lebovici, Griselda Pollock, Dora Stiefelmeier, Franceso Ventrella e Giovanna Zapperi.
L’idea di questa giornata è nata a partire da una serie di domande che si sono poste per me in seguito alla pubblicazione della traduzione francese di Autoritratto di Carla Lonzi, dicui ho curato l’introduzione e le note al testo. Critica d’arte nell’Italia degli anni sessanta,poi figura emblematica del femminismo italiano, Carla Lonzi cristallizza una discontinuità radicale tra arte e femminismo in quanto decide di abbandonare la critica d’arte per l’impegno femminista. Nel 1970 Carla Lonzi fonda infatti Rivolta Femminile, uno dei primi collettivi femministi in Italia, insieme ad un’artista, Carla Accardi: la nascita di Rivolta è così legata all’arte in modo contraddittorio e questa contraddizione sarà il punto di partenza di questa giornata. Cercheremo infatti di rileggere l’esperienza di Carla Lonzi attraverso una serie di domande che riguardano l’arte, in quanto ambito sessuato, e il femminismo, la storia delle donne e quella del femminismo, oltre che le forme di scrittura edi produzione di sapere sperimentate dalle donne. Cercheremo di situare Lonzi in un contesto storico ed epistemologico più ampio che ci permetta di pensare l’attualità dei suoi scritti per un femminismo a venire. Se infatti l’interesse per Carla Lonzi è stato fino ad ora – con alcune eccezioni – essenzialmente limitato al contesto italiano, ci sembra sia venuto il momento di fare dialogare i suoi scritti con un insieme di teorie e di pratiche femministe transnazionali. Nel 1969, la critica d’arte italiana Carla Lonzi pubblica Autoritratto, un libro basato sul montaggio di una serie di conversazioni registrate con quattordici artisti (tutti uomini eccetto Carla Accardi) tra il 1965 e il 1969. Il libro è anche un addio: nel 1970, la nascita di Rivolta Femminile segna l’allontanamento definitivo dal mondo dell’arte. Lonzi, deceduta nel 1982 all’età di 51 anni, scrive nello spazio di un decennio una serie di testi e di manifesti contraddistinti da uno stile provocatorio; nel 1978, pubblica anche il suo monumentale diario con il titolo Taci, anzi parla. Diario di una femminista, e poco dopo, nel 1980, Vai pure, una conversazione durata quattro giorni con lo scultore Pietro Consagra, compagno di una vita, conversazione che pone fine alla loro relazione. Questi testi, che rappresentano alcuni dei documenti più significativi del femminismo italiano degli anni Settanta, sono attraversati da uno spirito di sperimentazione, in cui Lonzi reinventa la scrittura, la creatività e la produzione di sapere appropriandosi in uno spirito femminista di una serie di forme letterarie tradizionalmente “minori” come il diario, la conversazione o il manifesto.Carla Lonzi è venuta rapidamente ad occupare una posizione centrale nel femminismo italiano, e paradossalmente questa è una delle ragioni per cui Autoritratto è stato dimenticato così in fretta. Nonostante questo libro rappresenti una fonte straordinaria sull’arte in Italia degli anni Sessanta, Autoritratto non è mai diventato un testo canonico. Al contrario, deve essere sembrato incompatibile sia con le narrazioni storico-artistiche dominanti della cosiddetta arte italiana, sia con quelle forme di “packaging” culturale che hanno sotteso la promozione degli artisti italiani negli anni Settanta e Ottanta su scala internazionale. Pressoché assente dai discorsi della storia e della critica d’arte, la decostruzione radicale delle forme tradizionali della scrittura sull’arte operata da Carla Lonzi è rimasta a lungo negletta, considerata tutt’al più come un semplice prologo al suo successivo femminismo. Tuttavia, la recente riedizione italiana del libro, più di trent’anni dopo la pubblicazione originale, ha suscitato un grande interesse critico, in una sorta di“après-coup” che Lonzi condivide con molte donne (artiste, critiche, e scrittrici) della sua generazione.
Autoritratto è basato, si diceva, sul montaggio di una serie di conversazioni che Lonzi ha registrato nel corso degli anni, poi trascritto e infine assemblato. Ogni singola conversazione risulta così frammentata e ricomposta in un insieme non-lineare in cui Lonzi cessa di porre domande o di discutere del lavoro degli artisti, ma prende la parola parlando per sé, con la sua voce. Lonzi costruisce così la finzione di una conversazione ininterrotta in cui il suo ruolo è essenzialmente partecipatorio. Una volta distrutta la continuità originale delle conversazioni, l’autrice compone un testo in cui le varie voci, per così dire, dialogano le une con le altre. Lonzi aveva chiesto agli artisti di fornire le immagini per illustrare il libro; la conversazione ininterrotta è infatti inframezzata da una serie di illustrazioni, rifacendosi apparentemente alla tipica relazione tra testo e immagine che compone i testi di storia dell’arte. La maggior parte di queste immagini tuttavia sono fotografie che ritraggono gli artisti nella loro vita privata, li vediamo durante l’infanzia,circondati dai loro affetti, in momenti di convivialità o durante viaggi, mentre solo una piccola parte è costituito da riproduzioni di opere d’arte. Di conseguenza, la loro presenza attraverso le pagine del libro fornisce un elemento soggettivo all’interno delle discussioni che formano il testo. Lonzi disfa in modo quasi letterale le pratiche e le poetiche della scrittura sull’arte egemoniche al tempo: abbandona l’autorità dell’interpretazione per potere partecipare al momento creativo, mentre la sua focalizzazione sulla soggettività e sugli scambi non-gerarchici rimette in questione il ruolo centrale dell’immagine – del visuale – in quanto fondamento epistemico della critica formalista. Lonzi, che aveva lavorato come critica d’arte per più di un decennio, aveva registrato la sua frustrazione nei confronti delle convenzioni della critica d’arte sin dal 1963, quando pubblica un articolo fortemente polemico, intitolato « La solitudine del critico », in risposta a quelle che lei considerava le forme dominanti della critica d’arte, basate sul distacco, sul paternalismo e sull’autorità. Nel corso degli anni 1960, Lonzi comincia ad interessarsi più agli artisti (alle persone) che alle loro produzioni, mentre il sentimento di alienazione nei confronti del mestiere di critica non fa che crescere. La partecipazione diventa allora una modalità che le permette di oltrepassare il ruolo dell’osservatrice passiva, la spettatrice esclusa dal processo creativo che Lonzi identifica in modo ambivalente sia con il critico d’arte che con la donna. Autoritratto emerge così come la ricerca di una voce autoriale femminile che si definisce in opposizione alle pratiche correnti della scrittura sull’arte. Inoltre, l’assemblaggio di Autoritratto (registrazione, trascrizione e montaggio) provoca un complesso processo divenire soggetto all’interno del contesto fortemente maschile dell’arte nell’Italia degli anni Sessanta. Nel libro Lonzi rigetta l’autorità, la coerenza e l’unità del critico d’arte, opponendovi una dispersione della sua voce all’interno di una narrazione collettiva, dialogica e non-lineare. Da questo punto di vista, il libro dialoga per così dire sia con suoi scritti femministi, in cui la soggettività e l’autorappresentazione si pongono come questioni cruciali, che con l’ambito più ampio delle revisioni femministe della storia dell’arte. Come leggere la percezione, da parte di Carla Lonzi, di una discontinuità radicale tra la critica d’arte e il femminismo? La traiettoria di Lonzi ci obbliga a confrontarci con la questione del legame represso tra arte e femminismo nel contesto italiano: Rivolta Femminile è nata dall’iniziativa congiunta di Carla Lonzi, una critica d’arte, e di Carla Accardi, un’artista, sulla base del loro rifiuto di posizionarsi esclusivamente e professionalmente nel mondo dell’arte. Per Lonzi era impossibile conciliare l’attività di critica con il successivo impegno femminista, un fatto che ha contribuito a rappresentare la sua produzione come drammaticamente biforcata. Il femminismo di Lonzi nasce proprio dal rifiuto radicale delle nozioni dominanti di creatività, in particolare l’idea che l’arte stessa possa essere una pratica liberatoria per le donne. Rivolta Femminile considerava illusoria la possibilità di concepire l’arte come una forza di liberazione per le donne poiché il patriarcato aveva già colonizzato la creatività e la cultura. A partire dalle questioni sollevate dalla mia lettura di Autoritratto, vorrei tratteggiare una serie di ipotesi da sviluppare in futuro e allo stesso tempo provare ad indicare alcune direzioni per esplorare gli scritti e l’attività di Lonzi da una prospettiva femminista. Una prima questione riguarda la non-linearità di Autoritratto, che per molti versi fa eco ai temi che Lonzi svilupperà in seguito negli scritti femministi. Si potrebbe affermare che il libro rappresenta una storia alternativa, frammentaria e soggettiva dell’arte nell’Italia degli anni Sessanta, una storia del e nel presente. Il libro rifiuta le modalità dominanti della critica d’arte, a partire dal rifiuto della nozione di un tempo lineare e omogeneo che possa contenere artisti, movimenti ed eventi storici. Inoltre la temporalità e la narrazione non-lineare di Autoritratto fanno eco alla percezione che Lonzi aveva del femminismo come un’interruzione nel continuum del tempo storico (che è anche il continuum dell’oppressione delle donne). In
Sputiamo su Hegel (scritto nel 1971), Lonzi descrive il soggetto femminista come l’emergere improvviso di un Soggetto Imprevisto, un soggetto che non ha bisogno né di passato né di futuro. Come Lonzi scrive nel passaggio che conclude il testo : « Non esiste la meta, esiste il presente. Noi siamo il passato oscuro del mondo, noi realizziamo il presente » (p. 48). Un secondo punto che resta da esplorare è quello del rifiuto del formalismo che confluisce nella sua rottura con l’attività di critica d’arte et con la scelta femminista. Sabeth Buchmann, che sfortunatamente ha dovuto annullare all’ultimo momento la sua partecipazione oggi, si era proposta di sviluppare questo tema guardando anche ad altre esperienze coeve, come quella di Lucy Lippard. Certamente i modelli formalisti nella critica d’arte erano allora dominanti su scala internazionale e Lonzi aveva sviluppato la propria versione del formalismo che si riallacciava ai suoi studi all’università di Firenze con Roberto Longhi, uno dei più importanti storici dell’arte dell’epoca. Tuttavia se Autoritratto rigetta la centralità della visione come principio fondante della critica d’arte formalista, Lonzi non rigetta le nozioni di autenticità e di verità in rapporto all’arte e all’artista, che derivano direttamente dal suo vocabolario formalista. Inoltre queste idee, che occupano un ruolo essenziale in Autoritratto, saranno al centro degli scritti femministi, in particolare in riferimento alla sua elaborazione della differenza sessuale e dell’autenticità della donna intesa come forza di liberazione. Un’altra possibile riflessione potrebbe prendere le mosse dal rapporto complicato che Carla Lonzi aveva con le artiste e che portò in particolare alla rottura violentissima con l’amica Carla Accardi. Durante la sua carriera di critica d’arte, Lonzi non si è mai interessata al lavoro delle artiste, con l’eccezione di Carla Accardi, cui la legava una profonda amicizia sin dall’inizio degli anni 1960. Tuttavia anche in seguito, il femminismo separatista di Carla Lonzi la induce a rigettare in blocco la cultura come costruzione patriarcale. Il suo richiamo ad una deculturizzazione radicale come modalità specifica di lotta femminista significava un rifiuto senza compromessi di ogni produzione creativa in quanto prodotto del patriarcato, anche se questo rifiuto non era esente dalle contraddizioni. Di conseguenza Lonzi continua ad ignorare le artiste durante tutti gli anni Settanta, accusandole di inautenticità e di complicità con il patriarcato, o peggio di trarre profitto dall’oppressione delle donne (Taci, anzi parla, pp. 1174-75); si interesserà invece moltissimo alle scrittrici del passato, in particolare negli ultimi anni della sua vita.4/ L’ultimo punto che vorrei sollevare riguarda il fatto che nonostante il distacco dal mondo dell’arte, le riflessioni attorno all’arte attraversano l’insieme dei suoi testi femministi. L’esempio più evidente del suo costante interesse per l’arte è il breve manifesto scritto nel 1971 e intitolato Assenza della donna dai momenti celebrativi della manifestazione creativa maschile, firmato collettivamente Rivolta Femminile. Questo testo sviluppa l’idea della donna come spettatrice passiva dell’opera d’arte, un’idea che certamente deriva sia dal suo ruolo di critica d’arte che dal tipo di arte, perlopiù astratta e non figurativa, che Lonzi difendeva nei suoi scritti. Per Rivolta la posizione spettatoriale coincide con la passività e l’esclusione e per questo corrisponde al ruolo assegnato alle donne. Tuttavia,l’identificazione di Lonzi con la spettatrice appare a tratti ambivalente poiché per lei essere esclusa dal processo creativo significa anche possedere un certo potere: “La critica è potere” recita il titolo del suo ultimo articolo di critica d’arte, nel 1970. Inoltre, contrariamente alle teorizzazioni pressoché contemporanee nel mondo anglo-sassone, i testi di Lonzi non accennano mai alla donna come oggetto dello sguardo maschile. Essa occupa al contrario la posizione spettatoriale, colei che guarda passivamente e leggitima la creatività maschile. Mi sembra che questo aspetto meriti particolare attenzione,soprattutto in quanto introduce una prospettiva diversa rispetto alle posizioni femministe emerse nell’arte dell’epoca, in cui l’attenzione era focalizzata sui temi dello stereotipo e dello status del corpo femminile come oggetto dello sguardo maschile.