Claudia Bruno – Between Goddesses and Cyborgs: Towards a Shared Desire for Sustainability, in Breathing With Luce Irigaray, Editor(s) Lenart Skof, Emily A. Holmes, Bloomsbury, 2013

Claudia Bruno – Between Goddesses and Cyborgs: Towards a Shared Desire for Sustainability, in Breathing With Luce Irigaray, Editor(s) Lenart Skof, Emily A. Holmes, Bloomsbury, 2013

Orienti e Occidenti, alcune precisazioni

Nella fase più recente del suo lavoro, Luce Irigaray parla della contemporaneità come “età del respiro”, la terza fase della Storia (Irigaray 2006). Questo terzo tempo, che è il tempo dello Spirito e del superamento della genealogia come principio fondante della comunità, non ignora il rapporto con la “natura”. Al contrario, rende questo un passo indispensabile per la rifondazione della comunità stessa, una comunità in cui può esistere una relazione tra due soggetti differenti. Nel suo lavoroTra Oriente e Occidente, Irigaray suggerisce di pensare e recuperare le connessioni tra culture femminili nel mondo, per rendere possibile la coesistenza di “prospettive diverse, soggettività, mondi, culture” (Irigaray 1997, p. 19) . A partire da questa suggestione per una nuova concezione del mondo ri-fondata da un dialogo tra donne provenienti da diverse culture, ci si chiede se possa esistere un mondo capace di includere diverse culture della “natura”. Questo articolo cerca di rispondere parzialmente a tale domanda, prestando ascolto alle voci di due scienziate del nostro tempo, Donna Haraway e Vandana Shiva, includendo il confronto nella cornice teorica dell’ultima elaborazione di Irigaray. L’intento è proprio quello di offrire un contributo per cominciare a pensare a forme di “condivisione del mondo” (Irigaray 2009) senza cancellare la differenza sessuale. Certo, usare categorie come “Oriente”, “Occidente”, “Nord” e “Sud” rende necessaria una contestualizzazione. Lungi dal voler avallare qualsiasi tipo di essenzializzazione (Said 1978) – le categorie di “Oriente” e “Occidente” utilizzate da Irigaray sono interpretate qui in senso metaforico, e solo in parte corrispondono a zone geografiche circoscritte. Nell’elaborazione di Irigaray, il concetto di “Oriente” rappresenta le pratiche di meditazione e respirazione della tradizione indiana, il concetto di “Occidente” corrisponde soprattutto alla divisione cartesiana tra corpo e anima, fisicità e razionalità. Rispetto ai termini di “Nord” e di “Sud”, e quindi alla contrapposizione sociale ed economica tra poveri, ex-colonie e popolazioni non industriali da un lato, e ricchi, ex-colonialisti e popolazioni industrializzate dall’altro, la distinzione appartiene ed emerge con il discorso sul postcolonialismo e la globalizzazione, in cui possiamo collocare il pensiero di Vandana Shiva e, in qualche misura, di Donna Haraway. Così, nel corso dell’argomentazione, di fatto l’Oriente e l’Occidente di Irigaray andranno a sovrapporsi alla dicotomia Nord-Sud di Shiva, pur mantenendo le differenze teoretiche. Tuttavia, si tratta di coordinate che possono essere combinate in modo complesso e aprire a uno scenario più ampio per una migliore comprensione delle questioni in gioco.

 

Desiderio di sostenibilità

Nei discorsi di Haraway e in quelli di Shiva, possiamo trovare qualcosa – l’ho chiamato desiderio di sostenibilità – molto vicino al desiderio espresso da Irigaray per un gesto capace di “indicare un percorso verso una maggiore continuità, una lacerazione minore, una maggiore interiorità, concentrazione, armonia – in me, tra me e l’universo vivente, tra me e gli altri/le altre, che rispetti l’universo vivente e la sua temporalità” (Irigaray 1997 , pp. 25-26) . Questo gesto sembra risiedere proprio nell’incontro conl’altro – l’altra cultura, l’altra donna, l’altra natura – solo questo incontro può rendere visibile la relazione tra i diversi soggetti coinvolti. Per questo motivo, in molti sensi, potremmo dire che si tratta di qualcosa che incarna lo slancio che Irigaray chiama il “desiderio per l’altro” e il “desiderio dell’aldilà” nel suo Condividere il mondo (Irigaray 2009, pp. 78-84) – un desiderio che ha bisogno di essere condiviso per rendere possibile la costruzione di una dimora comune. Il desiderio di sostenibilità può anche essere inteso come il desiderio di un respiro consapevole, quello che la stessa Irigaray definisce il primo gesto di autonomia per gli esseri viventi (Irigaray 1997, pp 71-6), ma anche elemento indispensabile per una comunità non basata sullo sfruttamento. “Fin quando non impariamo a respirare da soli, non solo viviamo male, ma usurpiamo la vita degli altri per sopravvivere” (Irigaray 1997, p . 72). Sembra qualcosa di simile a ciò che è accaduto tra Orienti e Occidenti, economie e culture del Nord e del Sud del mondo. L’Oriente e il Sud rurale stanno respirando per gli altri, mentre l’Occidente industrializzato è impegnato a negare la sua dipendenza da questo respiro. “Una persona che non può smettere di parlare è qualcuno che non è in grado di ascoltare, qualcuno che non può prendersi cura del proprio respiro” (Irigaray 1993e, p . 124). Guardato attraverso questa lente, l’Occidente “sviluppato” appare come un gigante in apnea, un bambino ancora incapace di respirare.

Al centro di questo saggio, come anticipato sopra, c’è il confronto tra due diversi approcci femministi al concetto di “natura” – quello offerto da Vandana Shiva, fisica e ambientalista indiana, e l’altro, quello di Donna Haraway, biologa molecolare e storica della scienza, californiana. Shiva è tra i fondatori dell’approccio dell’ecologia profonda, vicina ai movimenti delle donne del Sud del mondo, punto di riferimento per il movimento globale per la salvaguardia dei beni comuni. Haraway, tra le teoriche che maggiormente hanno ispirato il femminismo occidentale contemporaneo, nota soprattutto per la figura del cyborg, insegna all’Università di Santa Cruz, in California. Entrambe addentro alle più attuali querelle del discorso scientifico mainstream, incarnano tutta la parzialità positiva delle loro prospettive di partenza, due diversi modi di “essere fedeli al loro genere”. Testimoni della stessa epoca, rappresentano mondi diversi, culturalmente e geograficamente – l’ impegno per la conservazione della biodiversità nella Doon Valley indiana e le ambizioni di progresso nella Silicon Valley. Agire e pensare la “natura” – per ognuna – dipende principalmente dai confini che le loro culture di riferimento attribuiscono al concetto di “sacro”. Da qui, diversi modi di percepire i corpi, diverse strategie per recuperare la relazione con il mondo materiale. Se per Shiva, dovremo tornare al principio femminile della sakti – l’energia auto-generativa che prende in prestito dalla cosmologia indiana, Haraway suggerirà l’ipotesi di una tecnoscienza femminista incentrata sulla figurazione del cyborg. Due prospettive a prima vista incomparabili, ma allo stesso tempo legate indissolubilmente dalla condivisione di un mondo solo, quello contemporaneo, di uno spazio comune, quello globale nato da molteplici e imprescindibili sconfinamenti. La dimora comune diventa allora proprio la misura della sostenibilità, intesa come dimensione propria di una conoscenza incarnata, che situa pensieri nell’esperienza dei corpi, soprattutto in relazione alle nuove politiche di appropriazione esercitate su organismi ed ecosistemi, e scaturite dalle recenti applicazioni delle tecnologie genetiche e dalla regolamentazione del controllo sui processi vitali. Cercare il filo di un dialogo tra le voci che abitano lo spazio sconfinato e comune del presente ha a che fare con la continua ricerca di senso tra i racconti di un tempo eccentrico e le immaginazioni di futuri possibili, una ricerca che trova realizzazione nel rendere visibili le relazioni che intercorrono tra universi solo in superficie separati.  Ecco che il desiderio di sostenibilità trova allora forma nell’intuizione che ri-fondare la comunità può avvenire solo recuperando il rapporto con la materia e tenendo conto della differenza nelle sue variegate manifestazioni. In questo senso, la “democrazia della Terra” teorizzata da Shiva e il “Manifesto dei compagni di specie” elaborato da Haraway, rappresentano due tentativi cosmopolitici sincronici di superare il modello della famiglia patriarcale tradizionale attraverso un ripensamento radicale dell’ordine relazionale tra umani e non umani.

Il saggio completo è disponibile in inglese all’interno del libro Breathing With Luce Irigaray, Editor(s) Lenart Skof, Emily A. Holmes, Bloomsbury, 2013 

http://www.bloomsbury.com/us/breathing-with-luce-irigaray-9781441145765/