Una recensione tradizionale si rivelerebbe un’impresa assai ardua fin da subito, già solo leggendo i nomi – del calibro di Donna Haraway, Melinda Cooper, Zoe Sofia e non solo – che si avvicendano nel susseguirsi dei capitoli del libro preso qui in esame. Quando, poi, scopri che dietro ad ogni singola parola del testo si cela l’agire di altre tre donne insieme a un’intera classe di appassionatǝ; che dietro ogni frase si cela un lavoro collettivo fatto di sguardi, risate, pensieri e passione, la creazione della suddetta recensione si complica ulteriormente. Eppure, un qualsiasi commento o presentazione risulterebbe incompleto se non approfondisse tale operare collettivo, se non apportasse a ciò il dovuto riguardo. Come, allora, potrebbe una mera recensione riuscire a dare il giusto lustro a tutto questo? Come potrebbe raccontare i contenuti del libro e il lavoro di creazione dello stesso? Probabilmente non può, almeno non totalmente. Eppure, quando la recensione in questione pianta le proprie radici in un sito come IAPh Italia, che da sempre è connesso al Master in Studi e Politiche di Genere, la domanda sorge spontanea: se non qui, dove? Il terreno risulta fertile quantomeno per provare a dare spazio al tesoro inestimabile che Conchiglie, pinguini, staminali è.
Si può, quindi, provare a cambiare prospettiva e provare a leggere quello che segue come la testimonianza di una persona terza che cerca di raccontare il saggio nei suoi vari aspetti. Affinché tale testimonianza potesse prendere corpo, non era sufficiente la lettura dell’opera, per questo serviva il dialogo che la qui presente autrice ha avuto modo di tessere con le curatrici del saggio: Angela Balzano, Elisa Bosisio, Ilaria Santoemma.
Conchiglie, pinguini, staminali. Verso futuri traspecie, uscito per DeriveApprodi nel 2022, è principalmente una antologia di autrici che – attraverso dei testi prima di oggi non disponibili in lingua italiana – si muovono in vari campi del reale analizzandoli da diverse prospettive. All’interno del volume è possibile leggere nove testi appartenenti a Melinda Cooper, Zoe Sofia, Luciana Parisi, Beth Dempster, Sarah Franklin, Donna Haraway, Noël Sturgeon, Stacy Alaimo, María Puig de la Bellacasa – secondo l’ordine dell’indice. Il libro nasce durante il modulo Scienze del master in Studi e Politiche di genere 2021 di cui le curatrici del volume sono coordinatrici. È durante le “pause caffè e sigaretta” – come scrivono nell’introduzione e ricordano nell’intervista – delle lezioni del modulo che le curatrici del volume maturano l’idea di dar vita a tale raccolta, sostenute e sollecitate dellǝ studentǝ e dalle loro riflessioni. Attraverso, così, uno scambio collettivo si apre uno spazio di traduzione e creazione che culmina con la presenza di un libro che rimedia a un’assenza e apre ad altre nuove possibilità di essere e di azione.
Gli argomenti trattati spaziano dall’economia alla fisica, alla biologia, alla tecnologia finanche al desiderio, e questo può far pensare che le riflessioni che ne nascano siano continenti isolati, elucubrazioni solipsistiche. In realtà i vari saggi dialogano tra loro in vario modo. Non semplicemente attraverso il richiamo concreto di autrici presenti nel volume col proprio saggio in altri testi dell’antologia – come nel caso di Donna Haraway, presente nel libro col testo Fabulazioni speculative per le generazioni della tecnocoltura, ripresa per altre sue teorie nel testo di María Puig de la Bellacasa – ma anche per lo sguardo con cui i vari campi del reale vengono analizzati: uno sguardo situato, transpecista, transfemminista. Uno sguardo, inoltre, direzionato verso uno specifico argomento, ovvero la messa in discussione del binomio produzione-riproduzione, che altro non è che uno dei principali temi affrontati proprio dal modulo Scienze.
Mi soffermerei su questo punto per mettere in luce proprio uno dei principali aspetti che questo libro si propone di evidenziare: quanto tale binomio faccia da sfondo ai vari campi del reale, in particolar modo quanto esso sia presente – in maniera più o meno manifesta – nei vari campi di produzione del sapere. Che tipo di sapere produciamo? Che tipo di sapere vogliamo produrre? È la primissima riflessione che – come le curatrici spiegano nell’intervista – anima il loro agire nella scelta dei testi da raccogliere per questa antologia, ma anche per la modalità stessa in cui questa antologia nasce e vive.
L’analisi del binomio produzione-riproduzione compare in Conchiglie, pinguini, staminali già nel saggio scelto per aprire tale antologia: Stagnazione secolare: la paura di un futuro non-riproduttivo di Melinda Cooper. Interessata all’interazione tra le nuove pratiche di governo conservatrici e quelle neoliberiste, Cooper, in questo testo, si propone di analizzare il nesso tra la stagnazione economica e il rallentamento della crescita popolare, evidenziando il continuo uso che se ne fa all’interno della ricerca economica nonostante l’inconsistenza di tale rapporto. Il paese preso in esame – in particolar modo nella sua struttura economica e sugli studi aventi questa per oggetto – è il Giappone, con alcuni sporadici riferimenti all’America. La produzione di capitale diviene – o, per meglio dire, è – una questione riproduttiva: la riproduzione risulta essere, così, propagandata come la panacea ai mali socio-economici (del Giappone). La confutazione di tale tesi da parte dell’autrice passa attraverso la dimostrazione che, piuttosto che dalla riproduzione, le crisi economiche dipendono dallo spostamento di risorse tra i redditi dei lavoratori e i profitti delle imprese. Come Cooper scrive in conclusione al suo contributo «è questa equazione [tra logica non-riproduttiva del capitale finanziario e il desiderio non riproduttivo della popolazione in eccedenza] a ispirare l’attuale rinascita della teoria della stagnazione secolare, dobbiamo destabilizzarla se vogliamo evitare che il nazionalismo riproduttivo sia l’unica risposta alla crisi economica» (M. Cooper, 2022, p.61). È proprio su questo “dobbiamo” che vorrei soffermarmi.
In quell’unico verbo troviamo il manifestarsi di altri due nodi di pensiero che permettono un più diretto dialogo tra i vari testi contenuti nell’antologia in esame. Innanzitutto, vi è qui la manifestazione di un soggetto. Come, infatti, tengono a mettere in evidenza le curatrici del testo, nelle riflessioni presenti nel libro – o che da questo possono nascere – è importante comprendere che un soggetto c’è e ci deve essere proprio per far sì che tali teorie non rimangano un puro allenamento intellettuale, ma coinvolgano colei che scrive tanto quanto colei che legge verso un’azione tanto teorica quanto pratica. Il soggetto qui presente non è uno, non c’è un IO, ma sempre e prima di tutto un NOI. “Noi dobbiamo”. Si manifesta qui un altro aspetto comune alle pensatrici del libro, ovvero l’importanza di un impegno concreto, una costante messa in opera delle proprie posizioni: «Il nostro non è un obiettivo postmoderno alla Lyotard in cui non si capisce se c’è un soggetto, se c’è una responsabilità politica: sembra che non ci sia più nessuno, ma la lotta chi la fa se non c’è più nessuno? Può sembrare ci sia sempre una mancanza di una possibilità di azione» [estratto dell’intervista].
La lotta, la possibilità di azione, la responso-abilità politica del soggetto si concretizza qui nell’esistenza del libro in analisi e si pone come ulteriore nodo di connessione dei brani. La presenza di un soggetto è strettamente connessa alla possibilità di azione e questa possibilità di agire può e deve essere sostenuta dagli strumenti giusti: questo è il nodo che si materializza con l’esistenza di Conchiglie, pinguini, staminali.
Come sostengono le stesse curatrici del testo durante l’intervista, nel nesso teoria-prassi, che qui viene delineandosi, vi è la risignificazione di uno sguardo inizialmente situato all’interno della tradizionale filosofia politica, ma che è andato oltre i confini di questa, che ha riconosciuto e superato i limiti che tale disciplina si era autoimposta, incasellandosi. Il confine teorico in cui la filosofia politica sembra essersi rinchiusa nel suo trattare questioni come, per esempio, la soggettività, si espande proprio grazie all’importanza che assume il nesso teoria-prassi. Il mito della caverna – presente nella Repubblica, Libro VII – sembra proprio parlare di questo. L’impegno pratico è proprio del filosofo che, rientrato nella caverna dopo aver visto la verità, non si crogiola delle proprie scoperte, ma le apre a un sapere collettivo, condividendole con gli altri e le altre, sollecitando, poi, a un agire comunitario. Questo impegno pratico del filosofo è un impegno etico e politico. Esso sancisce quella che Foucault, in uno scritto apparso in Le Debat del novembre 1983, definisce morale antica, una morale che guarda all’etica come l’espressione della propria libertà, come la realizzazione continua del proprio stile di vita: tale concezione sancisce l’estetica dell’esistenza foucoultiana. Foucault ripropone, così, una soggettività che riconosca sé stessa nella sua stessa possibilità di agire e nel suo stesso agire: «quando ci rifacciamo – spiegano le curatrici durante l’intervista – all’estetica dell’esistenza foucaultiana è a questo che ci riferiamo, a una diretta implicazione nella realtà, non per forza in un senso immanente, ma sicuramente in un senso di possibilità di liberare determinate frontiere dell’agency che sono sicuramente etiche, politiche».
Il nesso teoria-prassi si riposiziona, così, all’interno di un contesto di lotta transfemminista, transpecista, che guarda tanto all’umano quanto all’alterità. Vi è qui la continua pulsione ad andare oltre, a non lasciarsi incasellare né nella teoria né nella prassi; vi è un continuo superare i confini per poi chiedersi “come e cosa sta nel mezzo?”. Anche Foucault, quindi, appare come trasformato, riposizionato. Il suo pensiero viene collocato in quello spazio occupato dal trattino tra teoria e prassi e ripensato in un senso di diretta implicazione nella realtà in quanto soggettività incarnate, in virtù del nostro essere sia pensiero che azione, sia res congitans che res extensa. Tale implicazione sancisce, prima di tutto, una possibilità di azione e di pensiero che non sia propria ed esclusiva dell’umano. La necessità di tenere conto di questo nuovo modo di pensare e vivere la soggettività risulta fondamentale nella lettura di Conchiglie, pinguini, staminali. «Sturgeon, Cooper [ma anche le altre] vengono da una scuola che mantiene fortissima la presenza di questo soggetto che però è sempre aperto, è sempre relazionale, non sparisce mai, non è mai solipsista», spiegano durante l’interista le curatrici.
Noël Sturgeon è un’altra delle autrici dell’antologia ed è presente nel volume in esame con un saggio dal titolo Valori familiari tra pinguini. Autrice di saggi quali Environmentalism in Popular Culture: Gender, Race, Sexuality, and the Politics of the Natural e Ecofeminist Natures: Race, Gender, Feminist Theory and Political Action, si propone di situare la propria ricerca nel mezzo della connessione tra i movimenti sociali e la giustizia ambientale con particolare attenzione alle rappresentazioni di questi nella cultura pop. Non è un caso, quindi, se l’analisi che Sturgeon si propone di portare avanti nel saggio qui analizzato si focalizzi sulla narrazione che due film di discreto successo in particolare e i mass media in generale fanno e hanno fatto dei pinguini. I film di riferimento sono La marcia dei pinguini e Happy feet, ma l’esame di questi è solo un momento all’interno di una più ampia analisi della figura del pinguino così come è stata utilizzata tanto dai conservatori tanto dalla comunità LGBTQ+. Ciò che apparentemente può sembrare paradossale è che entrambe le parti hanno assunto la figura del pinguino ad “esempio positivo” per le proprie istanze, o – ancora meglio – entrambe le parti hanno fatto del pinguino una figura legittimante l’uno o l’altro punto di vista. Il pinguino smette di essere, perde la sua possibilità di agency, ripiegandola a favore dell’una o altra posizione. Il fulcro del lavoro di Sturgeon sta proprio nel mettere in evidenza quanto l’ambiente naturale venga ripiegato e condizionato dalle istanze riproduttive umane: «le dinamiche familiari e riproduttive umane agiscono con tutta evidenza un’importante influenza sulle questioni ambientali» (N. Sturgeon, 2022, p.168).
A questo punto verrebbe da chiedersi dove sia la responsabilità dell’uomo rispetto alla vita di quella stessa alterità che ha preso a modello legittimamente, ma verso il cui habitat non mostra interesse. Le forme di società che costruiamo, le vite che viviamo, le risorse che decidiamo di utilizzare hanno un impatto sull’ambiente, in questo caso specifico hanno un impatto sul modo di vivere e sul luogo in cui vivono i pinguini. Dov’è in questo la nostra responso-abilità politica? D’altronde, come le stesse curatrici tengono a sottolineare, la responsabilità del soggetto è strettamente legata alle pratiche di cura che questo mette in atto. Pensare con (la) cura è proprio il titolo del testo di María Puig de la Bellacasa che chiude il volume.
Proprio in questo testo il soggetto risulta sempre coinvolto nella sua relazione con l’alterità, nel suo agire tanto quanto nel suo pensare, nel suo produrre sapere. La stessa produzione di saperi è un atto relazionale che richiede cura; la cura stessa è relazionale di per sé: «cura e relazione condividono una risonanza ontologica» (M. Puig de la Bellacasa, 2022, p.239). La nozione di pensare-con di Haraway viene nel testo approfondita in quanto modalità di cura. Non si pensa mai da soli, ma sempre in relazione, in un lavoro di continua manutenzione. Con Puig de la Bellacasa adottiamo una visione triplice della cura: una cura che sia conoscenza di sé, conoscenza dell’alterità e creazione di nuovi possibili. Tale conoscenza non è un mero accumulo di nozioni decontestualizzate, ma di un sapere che tenga conto sempre del punto di vista da cui si parte, un sapere che richiede una certa consapevolezza, potremmo dire. La cura, infatti, come scrive Puig de la Bellacasa, richiede innanzitutto consapevolezza della vulnerabilità che io sono e della vulnerabilità dell’alterità con cui mi interfaccio. Ciò implica che «coloro che sono diventati nostri argomenti di studio, dunque i destinatari della nostra cura, possano ribattere» (M. Puig de la Bellacasa, 2022, p.260).
Questa relazione con l’alterità, sancita sulla base di un implicarsi della cura, comporta anche un nuovo modo di produrre sapere. Si torna, così, all’interrogativo iniziale: che tipo di sapere produciamo e come? A questo punto potremmo cercare di rispondere che il sapere che ci troviamo a produrre sia un sapere situato, che sia cura, ma soprattutto – e di conseguenza – che sia elaborato insieme.
Così nasce un libro – quello qui in esame – che va oltre i confini delle pagine, per apportare coinvolgimento nel lettore che si sente, così, libero di com-pensare con chi ha dato vita al libro – autrici, curatrici e studentǝ compresǝ. Si costituisce una relazione che è creazione, stravolgimento e meraviglia. Nel costruirsi del libro, nell’avvicendarsi degli incontri, nell’atto di traduzione collettiva, la visione dei testi si arricchisce, muta e si perfeziona. Il risultato di tale processo non è la mera produzione di un prodotto – come spiegano le curatrici – ma uno scambio che sia «un apporto geniale – nel senso de L’Amica geniale – ovvero che aggiunge qualcosa all’interno della tua visualizzazione di un testo, al tuo immergerti specifico in quel testo» [estratto dell’intervista].
Ogni parola di Conchiglie, pinguini, staminali suggerisce questo andare oltre, spinge ad andare oltre. Oltre i confini materiali del libro, oltre i confini del sapere accademicamente delineati, oltre i confini del proprio corpo, della propria pelle per dar vita a qualcosa di nuovo. Tale specifico andare oltre non può non evocare un fenomeno caratterizzante proprio la sopracitata celebre saga di Elena Ferrante. In L’amica geniale più di una volta i confini dei corpi si dissolvono, qualsiasi tipo di margine perde la propria forza nell’atto denominato smarginatura. Quest’ultima sembra manifestarsi come una forza che provoca nausea e azzera la fisionomia della persona. Essa, però, ha anche un potere rivelatorio: apre, chi la prova, a una nuova consapevolezza di sé e di ciò che vive. Si perdono i confini individuali per fondersi con l’alterità e raggiungere una nuova consapevolezza. Il fenomeno della smarginatura si manifesta svariate volte nel corso del romanzo e coinvolge più di un singolo personaggio, ma è particolarmente proficuo qui ricordare che una delle due protagoniste della saga, Elena, si trova a vivere tale fenomeno maggiormente nei momenti di scrittura – non a caso durante un atto di creazione. «Lavorammo per giorni. Il testo discese da cielo in terra attraverso il fracasso della stampante, si concretizzò in puntini neri deposti su carta. […] Le nostre teste urtarono l’una contro l’altra, a lungo, e si fusero fino a diventare una sola» (E. Ferrante, 2014, p.294).
Il momento di creazione di una nuova realtà pare coincidere sempre col perdersi dei confini propri e dell’alterità. Corpi che vanno oltre i propri confini, che sono sempre in relazione e grazie a questa loro ontologica apertura permettono di dar vita a qualcosa di nuovo che coinvolga questo stesso tutto in cui siamo immersi. Quella che abbiamo di fronte è una produzione senza confini che rimanda ai sistemi simpoietici analizzati da Beth Dempster nel testo I sistemi simpoietici e i sistemi autopoietici.
Questo andare oltre i confini della pelle non sancisce solo il particolare tipo di relazione a cui abbiamo accennato, ma delinea una nuova consapevolezza di sé: non vi è un netto distacco tra il fuori e il dentro. La nostra pelle, come i nostri corpi nella loro totalità, è una frontiera di scambio con alterità non-umane da sempre, con tutto un mondo di microrganismi che la abitano, che ci abitano. «La domanda sui confini della pelle – spiegano le curatrici durante l’intervista – serve a uscire dall’antropocentrismo. Oltre al “fuori/esterno”, c’è un dentro che non ci appartiene in senso stretto e che apre a zone non umane in un corpo-territorio inteso fino a poco fa solo come umano».
Il volume contiene altri saggi che non saranno approfonditi in questa sede ma che, come quelli qui citati, parlano attraverso l’analisi di dinamiche del presente di un futuro che è già qui ed è transpecie. In Conchiglie, pinguini, staminali si incarna tutto questo e molto di più. Siamo dinanzi a un orizzonte di possibilità sempre prontǝ a darsi, in attesa che qualcunǝ le colga, le renda manifeste; qualcunǝ che lo faccia attraverso questo com-pensare che è sempre una relazione di cura.