Introduzione
Apparso tra i materiali condivisi della prima edizione tematica della rivista Jineoloji questo saggio di Silvia Federici mostra i passaggi con cui la rivoluzione femminista insieme alle lotte anticoloniali ha storicamente creato una sovversione delle categorie attraverso cui si danno le scienze sociali nel loro insieme. Secondo quanto elaborato dalla Jineoloji, un effetto devastante nelle scienze sociali, oltre che essere rappresentato dalla pretesa di neutralità e dalla pretesa fittizia di oggettività – rimarcata più volte nel corso del testo da Federici- è anche rappresentato dalla separazione dei saperi e dall’abbandono di una visione olistica che, parcellizzando funzionalmente la conoscenza in mille specialismi, non permette di intendere la scienza come una ricerca aperta che pone domande sul fondamento dell’universo e sulla nostra possibilità di coesistenza armonica con esso. Alla base di questa separazione sta anche la dicotomia conoscitiva di soggetto e oggetto: si pensi, su questa base, a come la società, intesa meramente come oggetto di studio inerte, sia diventata un orpello tematico della sociologia. Si pensi anche a come spesso anche i movimenti sociali vengano talvolta ipostatizzati negli studi universitari, descritti genericamente o superficialmente analizzati e non colti nel loro dinamismo sovversivo secondo un atto di traduzione pratica. Queste ricerche accademiche sono così funzionali al mantenimento dello status quo. Ma in realtà – lo scritto di Silvia Federici lo mostra bene- le teorie elaborate nel corso del tempo dalle scienze sociali sono sempre state una risposta a problemi pratici incontrati nel corso dell’esistenza e l’applicazione della teoria ha un rapporto osmotico con lo sviluppo dell’organizzazione in una data società. Le scienze sociali trasformano ancora oggi la società, laddove queste non siano legate a filo diretto con il potere. Nell’analisi di Federici emerge chiaramente il legame tra potere e conoscenza: quando questo è inestricabile, quando cioè il potere è legato alla conoscenza, ciò che si perde è la consapevolezza dei bisogni reali nel sociale. La Jineoloji, Scienza delle donne, base del confederalismo democratico, critica prima di tutto questo nodo e, nata nel contesto di ricerca e militanza delle donne curde, offre in ogni parte del mondo che incontra una nuova lente alle donne in lotta e alle femministe attiviste e ricercatrici, lente con cui guardare in modo critico alle metodologie usate, offrendo un serio obiettivo: la trasformazione dell’esistente, che tenendo un’attenzione antisistema, dia senso alle scienze sociali senza allontanarle dalla pratica politica votata al cambiamento radicale in ogni ambito della vita e della società. E i risultati pratici dei femminismi e delle ricerche che Silvia Federici ci espone nella sua analisi possono guidare con motivazione verso questa promettente direzione.
di Silvia Federici
La tesi che voglio presentare in questo scritto è che il femminismo, a partire dai primi anni ’70, ha completamente rivoluzionato il campo delle scienze sociali in un modo che ha pochi precedenti nella storia. Oggi negli Stati Uniti, la prospettiva di genere, o meglio la prospettiva femminista è stata integrata in tutte le discipline dove, in molti casi, ha rappresentato il più importante paradigma di svolta dell’ultimo secolo. In tutti i campi, dall’antropologia alla filosofia, alla storia, all’economia, le femministe non solo hanno fatto parte di queste discipline ma ne hanno criticato teorie e metodologie, hanno messo in questione i loro assunti, hanno forgiato nuovi limiti e oggetti di ricerca e in questo processo hanno prodotto una reale rivoluzione teoretica ed epistemologica. Più avanti, mostrerò come questa rivoluzione ha anche avuto effetti sulle scienze naturali.
Sezione I
Qui voglio sottolineare che è stata la rivolta femminista contro la discriminazione sessuale e contro la posizione sociale assegnata alle donne che ha dato a molte a noi la capacità non solo di entrare nelle scienze sociali ma di trasformarle. Sempre, quando un gruppo sociale oppresso si ribella, destabilizza la sua identità sociale e gli scienziati devono tenerne conto. Le rivolte degli schiavi nel 19° secolo e più avanti le lotte anticoloniali hanno trasformato l’antropologia mettendo una fine alla “scienza della razza”. Hanno fatto chiudere lo studio della fisiognomica e craniologia, che come ha evidenziato Comell West, ha sistematizzato l’ideologia razzista dell’Illuminismo. Un altro esempio è la Guerra delle Donne di Aba, una città al sudest della Nigeria, che nel 1929 hanno inaugurato il primo studio antropologico delle relazioni di genere nella terra Ibo. Questa guerra ha impressionato così tanto le autorità coloniali britanniche a causa della potenza organizzativa delle donne, fino ad allora considerata molto arretrata, e loro hanno commissionato alle antropologe Margaret Green e Sylvia Leith-Ross di studiare il ruolo delle donne nella regione.
Anche noi dobbiamo diventare soggetti politici e cambiare le categorie attraverso cui la nostra esperienza è stata definita o riconosciuta in quanto produzione di conoscenza. Come la sociologa francese Colette Guillaumin ha sottolineato, la sollevazione femminista ha distrutto “ la stereotipica immagine della donna e della donna costruita come “gruppo, realtà sociologica” degna di ricerca teoretica. Ma “cosa è più importante è che, dall’inizio, le donne che erano incaricate in questa ricerca, con la creazione di una nuova scienza sociale, gli Women’s Studies, inaugurano uno studio delle donne, nel quale essere sarebbero dovute essere il soggetto, piuttosto che l’oggetto di studio.”
È impossibile non constatare la creatività che questo programma ha apportato, portando allo sviluppo in pochi anni di migliaia di nuovi corsi, nuovi dipartimenti e programmi e “in generale un nuovo impegno formativo e intellettuale.”
Per secoli non siamo state viste e definite dall’esterno, in istituzioni dalle quali eravamo escluse, descritte, anche da autori famosi (da Aristotele a Freud) in modi che svalorizzavano le nostre esperienze e che ci caratterizzavano come esseri umani incompleti. “(ibid.)
Dal 1960 in poi, l’avvento del femminismo, l’esperienza che le donne come me hanno avuto, entrando nel mondo accademico, ci ha ricordato quello che Virginia Woolf ha descritto nel suo libro “Una stanza tutta per sè” (1929), per il messaggio che abbiamo ricevuto, dalle lezioni in classe alle librerie, di essere “assenti dalla storia” perché nessuno dei testi che abbiamo studiato menzionava la presenza delle donne in eventi storici, tutti scritti dagli uomini.
La creazione degli Women’s Studies ha rappresentato la fine di tutto questo. Non solo con questi studi siamo diventati soggetti di conoscenza, ma abbiamo esteso il processo della sua produzione all’impegno autovalorizzante che era l’obiettivo dei movimenti femministi. Non è un caso allora che, poi, le prime conoscenze che le ricerche femministe hanno prodotto riguardavano noi stesse, la nostra storia, il nostro corpo, la nostra lotta. Un libro molto importante in questo contesto è stato “Noi e il Nostro Corpo”, primo libro [a cura del collettivo delle donne di Boston ndr] cha ha messo in discussione tutti gli aspetti della salute e della sessualità femminile. Pubblicato nel 1971, è stato tradotto in 26 lingue ed è considerato un classico della letteratura femminista su questi argomenti.
Oggi dopo 40 anni di studi femministi, gli scaffali vuoti riportati da Virginia Woolf sono stati riempiti. Il ruolo delle donne in eventi storici e le prospettive femministe in assunzioni psicologiche, antropologiche ed economiche sono diventate oggetto di una vasta letteratura e (come effetto di ritorno) la nostra comprensione della realtà sociale è cambiata decisamente in modi che sembrano irreversibili e che rendono valida molta della letteratura datata anteriormente all’avvento del femminismo.
In modo schematico, possiamo dire che il femminismo ha dato tre importanti contributi alle scienze sociali. In primo luogo, ha cambiato le loro metodologie e i processi di produzione di conoscenza. Secondariamente, ha creato nuovi oggetti di conoscenza e (come abbiamo visto) una nuova disciplina, come quella degli Women’s Studies, e il genere è diventato il principio generatore di una nuova “scienza sociale”. In terzo luogo, ha trasformato il contenuto delle discipline sovvertendo le categorie e gli assunti usati, e ha reinterpretato il mondo da una prospettiva che non presume che “uomo” sia sinonimo di “essere umano” non escludendo così metà dell’umanità.
Sezione II: Cambiare metodologia alle scienze sociali
A livello metodologico, l’apporto che le femministe hanno dato alle scienze sociali è stato di stabilire che ogni teoria sociale che si presentava sotto il punto di vista di un soggetto universale, astratto, non sessuato, era inevitabilmente falsa, e teoreticamente inaccettabile, perché in una società capitalista gerarchicamente costruita attorno a ripartizioni di genere gli uomini e le donne hanno esperienze radicalmente differenti. Così, ogni punto di vista universalista, nasconde larga parte della realtà sociale e può solo rappresentare il punto di vista di quelli che hanno più potere e che confermano le ineguaglianze.
Sulla stessa scia, le femministe hanno sfidato i miti dell’oggettività e della neutralità – sempre definito come i segni di un vero approccio scientifico- per entrambi rifiutando la dicotomia tra conoscenza e interesse e rendendo visibili le politiche nascoste in molti testi e teorie. Importanti in questo contesto sono stati i lavori della storica della scienza Londa Schiebinger, che nel suo classico Nature’s Body (1993) ha mostrato che il genere è stato un fattore decisivo nello strutturare istituzioni scientifiche e pratiche che hanno modellato le priorità scientifiche e che molte teorie, incluse alcune delle più accreditate, sono state il prodotto di pregiudizi di genere piuttosto che di evidenza scientifica. È esemplare il caso, citato da Schiebinger, del botanico zoologista svedese Carl Linnaeus, le cui scelte delle categorie dei ‘Mammals’ (nel suo lavoro The System of Nature, 1735-1770) come il tratto comune che connette animali e umani è stato probabilmente motivato più dalla sua campagna di convincere le donne della classe media in Europa ad allattare i loro bambini, più che da considerazioni scientifiche.
Contro l’ideale scientifico di neutralità le femministe hanno difeso i principi della conoscenza partecipata (cito qui un importante articolo di Maria Mies) e la conoscenza situata (Donna Haraway), che presume che noi siamo – e quindi dobbiamo essere- interessate ai temi e alle conseguenze della nostra ricerca e che la migliore difesa contro il pregiudizio è di riconoscere e nominare i nostri interessi e le esperienze e gli obiettivi che fanno da cornice e limitano la nostra prospettiva. In questo senso, possiamo dire che il sapere femminista non ha mai avuto paura di presentarsi come politico, – nel significato storico della parole, dove politico esprime una preoccupazione di confronti della polis, per le dimensioni sociali e le implicazioni che impariamo. Questo carattere politico e di attivismo degli Women’s Studies è spesso stato nominato come un’accusa. Ma non dobbiamo farci intimidire da queste critiche e dobbiamo preoccuparci di far siì che la trasformazione (a livello accademico) dagli Women’s Studies o Feminist Studies ai Gender Studies non re rinstauri la “neutralità” e la mancanza di posizionamento che è stata tipica delle ricerche delle scienze sociali che noi abbiamo già rifiutato.
Quaranta anni di attività femminista nelle scienze sociali ha dimostrato la forza di questa posizione, perché l’impegno della valorizzazione dell’esperienza femminile, che ha motivato le ricerche femministe, invece di ridurre l’efficacia degli studi sociali, l’ha ravvivata, portando ad una riconfigurazione delle discipline.
Gli studi femministi, per esempio, sono stati pionieri dell’interdisciplinarietà perché “il tentativo di capire la nostra storia e le origini della nostra oppressione ci hanno forzato a trascendere le divisioni disciplinari che sono tipiche della vita accademica e che combinano politica con sociologia e psicologia, per capire come differenti relazioni e strutture sociali si condizionano e influenzano reciprocamente.
Inoltre, i gender studies hanno creato una comunità di conoscenza che ha reso possibile la creazione di forme intersoggettive di validazione o invalidazione delle nostre teorie, e ci aiutano a stabilire principi cognitivi,etici,e sociali che guidano il nostro lavoro. All’interno di questa comunità, che dà valore alla cooperazione, a nuove generazione di femministe che hanno iniziato a ripensare i paradigmi originari del femminismo, interrogando le assunzioni epistemologiche delle analisi femministe, mentre davano alle femministe accademiche il supporto necessario per fare ricerca in un ambiato dove gli studi di genere continuano ad essere sfidati.
Sezione III. Sovversione e/o ricostruzione del Mondo delle Discipline
La ragione per cui gli studi femministi hanno generato molto antagonismo è chiaro se consideriamo l’estensione con cui loro hanno sfidato il potere accademico e scientifico. Nessuna scienza sociale è sfuggita a questa rivisitazione. La Filosofia, “Regina di tutte le scienze”Philosophy, che ha storicamente l’obiettivo di provvedere a criteri per le altre discipline e di definire quale sia il senso dell’essere umano. Si veda, per esempio, il lavoro della filosofa australiana Genevieve Lloyd, The Man of Reason (1984) che, acon un potente viaggio attraverso la storia della filosofia with a powerful journey through the history of philosophy, ha argomentato che la “ragione filosofica” da Platone a Descartes in poi si è formata attraverso l’esclusione di tutte le aree di esperienza relative al femminile come la riproduzione, la sessualità, la parentela, e ha categorizzato le donne come un tipo inferiore di essere umano, perlopiù caratterizzato da caratteristiche negative. Un’altra studiosa femminista, Carol Pateman, ha rivisto i principi liberali della filosofia politica argomentando che il “contratto sociale”, presunto come l’origine della società civile “social contract,” presumably the origin of the civil society, era essenzialmente un contratto sessuale che ha istituzionalizzato la subordinazione delle donne all’uomo. In cambio, Carolyn Merchant, in Death of Nature (1980), ha mostrato che la descrizione fatta da Francis Bacon nello studio scientifico della natura è stato ispirato dalle immagini prese dalle Camere di tortura delle streghe. (Bacone nel suo lavoro insiste per esempio, che lo scienziato deve seguire la natura alla sua stanza, strapparle i segreti, ridurla alla schiavitù)
Nell’antropologia, le femministe hanno sfidato le classiche celebrazioni dell’uomo come creatore dello strumento e (la molto popolare tra gli antropologi) teoria della complementarietà dei sessi. Entrambe servivano a giustificare una ineguale divisione sessuale del lavoro e a coprire i meccanismi della mascolinità dominante. Antropologhe come la francese Paola Tabet, hanno rovesciato questa storia, documentando gli sforzi che molti uomini hanno fatto in società di diverse parti del mondo per limitare l’accesso alle donne agli strumenti e alla loro fabbricazione, in modo da escluderle da molti compiti e confinarle ad attività che richiedono più tempo e che sono più svalorizzate. L’antropologa femminista ha anche argomentato che, a causa della loro partecipazione ai lavori della riproduzione, le donne sono state le inventrici della cultura, le produttrici del linguaggio, gli agenti della transizione dal cibo crudo a quello cucinato e dalla vita nomadica alla vita sedentaria, che hanno segnato l’inizio della ‘civilizzazione’ urbana.
In sociologia, le studiose femministe hanno sfidato il concetto della famiglia come l’unità base di analisi, mostrando che così si sottovalutano le differenti posizioni e gli iniqui livelli di potere che le donne e gli uomini mantengono all’interno di essa, e che nasconde che “tutte le decisioni prese nella famiglia, sulle spese, procreazione, migrazione, hanno una dimensione di genere”. Le sociologhe hanno anche introdotto il concetto di violenza di genere come un oggetto di studio relegato alla non-esistenza, prima dell’emersione del femminismo
Le ricerche femministe spesso emergendo da dibattiti dentro i movimenti femministi, hanno anche sfidato alcune delle categorie economiche più importanti come il concetto di lavoro sottolineando la fallacia della sua identificazione con il lavoro salariato, una misura che esclude dall’analisi economica il lavoro non-pagato che le donne svolgono a casa, nonostante questa sia senza fubbio la più importante attività nel sistema capitalista, dal momento che non solo questa riproduce le nostre vite ma anche, ogni giorno, riproduce la forza lavoro. Più in generale il nostro lavoro teoretico ha posizionato il centro delle poltiiche di economia globale nella questione della riproduzione sociale, come la più importante a determinare le relazioni sociali e la trasformazione sociale.
Infine, le ricostruzioni storiche fatte dalle studiose femministe hanno trasformato la nostra conoscenza del mondo da cui veniamo e in cui viviamo, non solo rendendoci consapevoli degli eventi come attori sociali sino ad ora sconosciute, ma mostrando che guardare alla storia da una prospettiva femminista non può essere un’azione ridotta alla mera aggiunta di un capitolo in più rispetto a ciò che già esiste. Come sottolineo in tutta la mia opera, il processo di guardare alla storia da una posizionamento di genere ci forza a ripensare tutto da capo e interamente. Infatti, il mio studio sul ruolo delle donne e la riproduzione nello sviluppo delle relazioni capitaliste mi ha portata a scoprire l’importanza delle streghe del sedicesimo e diciassettesimo secolo, un fenomeno che sia gli storici marxisti che quelli liberali, hanno tradizionalmente ignorato.
Come ho detto prima, gli effetti del femminismo non sono solo stati limitati alle scienze sociali, come le autrici di Feminism in the Twentieth – Century (2001) hanno ben mostrato, le accademiche femministe hanno solo concettualmente riorganizzato il campo delle scienze naturali. Come scritto nell’introduzione al mio libro, le biologhe femministe hanno riconcettualizzato le relazioni di potere e le dinamiche di gruppo tra primati, che spesso erano influenzate da precomprensioni di genere che riguardavano il comportamento umano. Altre biologhe, per esempio Emily Martin, ha sfidato i criteri della fertilità che presume “una attività potente, un’autoproduzione spermatica, che fertilizza un uovo passivo”e ne ha reso possibile una visione più coattiva dell’intero processo. Le storiche femministe della tecnologia hanno sottolineato la loro dimensione di genere ricercando il contributo che le donne hanno dato ad essa. La medicina, anche, inclusa la psichiatria, è stata profondamente influenzata dagli studi femministi, per il fatto che hanno denunciato i molti modi con cui, in tutte le specializzazioni, si è contribuito allo sviluppo di una cultura misogina (per esempio attraverso il concetto della “donna isterica”) che ha sistematicamente trattato i disagi delle donne prendendo come modello gli standard del corpo maschile.
Conclusioni
I risultati pratici della rivoluzione femminista nelle scienze sociali sono ora visibili in tutti i campi. Non solo molte donne stanno entrando nelle scienze e iniziando un processo di radicale riforma che ha profondamente cambuato le loro pratiche e i loro paradigmi,.La vita e le politiche sociali anche sono state influenzate da questo contributo femminista. Ora, per esempio, – mentre nel mondo accademico ci sono ancora resistenze maschili ad una prospettiva di genere- le teorie dei movimenti sociali e i report delle agenzie internazionali – anche se in questo caso con propositi molto diversi- hanno reso il genere mainstreaming perché le donne sono un soggetto politico che non può piùessere ignorato o invisibilizzato in una falsa prospettiva universalizzante nascondendone lo sfruttamento e mantenendo una divisione sociale tra uomini e donne. È molto incoraggiante vedere che importanti teorici come per esempio Raul Zibechi in modo crescente sottolineano nei loro lavori il contributo delle donne alla riproduzione sociale e nella lotta per il cambiamento.
Accademiche, e attiviste femministe hanno influenzato le regolazioni di governo in aree come la violenza domestica, la salute, e hanno cambiato le pratiche mediche, assicurando di fatto per esempio che le prove cliniche debbano sempre includere le donne. Cosa trovo importante, comunque, è la trasformazione avvenuta nel campo dell’educazione. In un numero crescente di paesi, la maggioranza degli studenti sono ora donne. Questo non sarebbe stato possibile se le femministe non avessero dato alle donne un nuovo senso di sicurezza, e soprattutto se noi non avessimo dimostrato la nostra capacità di rivoluzionare la produzione di conoscenza e le relazioni sociali.
*tratto da Jineoloji, 1.st Issue su jineolojidergisi.org, traduzione di Alessia Drò
**Su Iaph per approfondire si veda anche l’intervista a Federici, Neoliberismo, riproduzione, comunità. Un dialogo con Silvia Federici tra biografia, politica e pensiero.