TECHNOCULTURES RESEARCH UNIT· 11 APRILE 2018·
In preparazione dell’evento di Giovedi 12 Aprile all’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, condividiamo la traduzione di questo saggio che precedeva di poco la pubblicazione del testo Staying With the Trouble e che ne contiene in nuce contenuti e brevi estratti. La traduzione è di Antonia Anna Ferrante. Qui, invece, è possibile consultare il testo originale.
Non c’è dubbio che i processi antropogenici abbiano avuto effetti sul pianeta, anche in inter/intra- azione con altri processi e specie, sin da quando le nostre specie possano essere identificate (poche decine di migliaia di anni); e tra questi processi l’agricoltura ha avuto effetti enormi (per poche migliaia di anni). Di sicuro, sin dal principio, i più grandi terraformers (terraformatori, ndt) e trasformatori del pianeta sono stati e sono tutt’ora i batteri e le loro parentele[1], anche in miriadi di tipi di inter/intra-azione (comprese le persone e loro pratiche, tecnologiche o di altro tipo).[2] La diffusione di piante che disperdono, semi milioni di anni prima dell’agricoltura umana, comportò una trasformazione planetaria, e così avvenne per numerosi altri eventi storici rivoluzionari nell’evoluzione dello sviluppo ecologico.
Le persone, presuntuosamente, si buttarono nella mischia perfino prima che loro/noi esseri fossimo definiti Homo sapiens. Penso che la questione della definizione rispetto all’Antropocene, Piantagionocene o Capitalocene dipenda da misure, tassi di velocità, sincronicità, e complessità. La domanda costante nel riflettere tali fenomeni sistemici dovrebbe essere, a che punto i cambiamenti di grado divennero cambiamenti di tipo, e quali sono gli effetti delle persone (non dell’Uomo) situate bioculturalmente, biotecnicamente, biopoliticamente, storicamente, rispetto a, e in combinazione con, gli effetti di altri assemblaggi di specie e altre forze biotiche/abiotiche? Nessuna specie agisce da sola, nemmeno la nostra, che è così arrogante da fingersi brava gente nella cosiddetta tradizione moderna occidentale; assemblaggi di specie organiche e attori abiotici scrivono la storia, sia dell’evoluzione di altri tipi.
Ma esiste un punto di svolta che cambia il nome del “gioco” della vita sulla terra per tutti e tutto? È più dei cambiamenti climatici; è anche un’ enorme quantità di rifiuti tossici, estrazioni, prosciugamento di laghi e fiumi sotterranei e non, semplificazione dell’ecosistema, vasti genocidi di persone e altri tipi di esseri, ecc, ecc, sistematicamente collegati ad altri schemi che minacciano il collasso di sistemi più grandi dopo il collasso di sistemi maggiori, dopo il collasso di sistemi maggiori. La ripetizione può essere una seccatura.
Anna Tsing in un recente saggio chiamato “Feral Biologies” suggerisce che il punto di svolta tra l’Olocene e l’Antropocene possa essere stato la distruzione della maggior parte dei rifugi dai quali diversi assemblaggi di specie (con o senza le persone) possono essere stati ricostruiti dopo eventi catastrofici (come desertificazione, disboscamento, oppure, oppure…).[3] Questo fa parte delle riflessioni del coordinatore del World-Ecology Research Network, Jason Moore, per il quale la natura a basso costo ormai è giunta alla fine; non si può svalutare la natura ancora a lungo per sostenere l’estrazione e la produzione all’interno e del mondo contemporaneo stesso, perché la maggior parte delle riserve della terra sono state prosciugate, bruciate, esaurite, avvelenate, sterminate, drenate in qualunque modo.[4] Grandi investimenti, immensa creatività e una tecnologia destituente possono bilanciare i conti, ma la natura a basso costo è veramente finita. Anna Tsing sostiene che l’Olocene era il lungo periodo in cui i rifugi esistevano ancora, addirittura abbondavano, per sostenere il ripopolamento diversificato culturalmente e biologicamente. Forse l’indecenza che merita un nome come Antropocene è proprio l’aver distrutto spazi e tempi di altre persone e altri esseri. Io, insieme ad altri, penso che l’Antropocene sia più un evento limite piuttosto che un’epoca, come il K-Pg tra il Cretaceo e il Paleogene.[5] L’Antropocene è caratterizzato da momenti di forte discontinuità; ciò che viene dopo non sarà mai come quello che già c’era. Credo che il nostro compito sia rendere L’Antropocene il più breve/sottile possibile e di coltivare reciprocamente in qualunque modo la prossima epoca affinché possano riprodursi i rifugi.
Proprio adesso, la terra è piena di rifugiati, umani e non umani, che non hanno rifugio.
Per questo, credo che un nuovo nome importante, in realtà più di uno, è giustificato: per questo, Antropocene, Piantagionocene, [6] e Capitalocene (un termine utilizzato da Andreas Malm e Jason Moore prima di me)[7]. Insisto sulla necessità di avere un nome per le forze e i poteri sin-chthonici e dinamici attualmente in corso di cui le persone sono parte, all’interno dei quali la processualità è centrale. Forse, ma solo forse, e con un grande impegno, lavoro e azione di collaborazione con altri terrestri, sarà possibile il fiorire di altri assemblaggi multispecie, incluse le persone. Sto chiamando tutto ciò Chthulucene – per il passato, presente e quel che sarà.[8] Questi tempo spazio reali e possibili non prendono il nome dal mostro misogino e razzista dello scrittore di SF H.P. Lovecraft, Cthulhu (notare il differente spelling), piuttosto prende il nome da diverse potenze tentacolari grandi quanto la terra, forze e collettività che si chiamano Naga, Gaia, Tangaroa (esplosa dalle acque di Papa), Terra, Aniyasu-hime, Spider Woman, Pachamama, Oya, Gorgo, Raven, A’akuluujjusi, e moltissime altre. Il “mio” Chtulucene, anche se con le problematiche radici grecizzanti, contiene una miriade di temporalità, spazialità e miriadi di entità-assemblaggi intra-attive – incluso l’oltre-umano, altr-umano, inumano e umano-come-humus. Anche reso in un testo in Inglese americano come questo, Naga, Gaia, Tangaroa, Medusa, Spider Woman e tutte le loro parentele sono solo alcuni dei migliaia di nomi appropriati alla SF che Lovercraft non avrebbe potuto immaginare e cogliere – ovvero, le reti prodotte in narrazioni speculative, femminismo speculativo, fantascienza, e fatti scientifici.[9] È importante quali storie raccontino storie, quali concetti pensino concetti. Matematicamente, visualmente, e narrativamente, è importante quali figure figurino figure, quali sistemi sistematizzino sistemi.
Tutti i migliaia di nomi sono troppo grandi o troppo piccoli; tutte le storie sono troppo grandi o troppo piccole. Come Jim Clifford mi ha insegnato, abbiamo bisogno di storie (e teorie) che siano grandi abbastanza per contenere le complessità e che restino aperte e assetate di sorprendenti connessioni vecchie e nuove.[10]
Un modo per vivere e morire bene come esserini mortali nello Chthulucene è unire le forze per ricostruire rifugi, rendere possibile il recupero e la ricomposizione parziale e solida, biologico-culturale-politico-tecnologica, che tenga dentro il lutto per le perdite irrecuperabili. Questo l’ho imparato da Thom van Dooren e Vinciane Despret.[11] Abbiamo già subito molte perdite, e ne subiremo ancora molte altre. Una nuova rigenerazione non può venire dai miti di immortalità o fallimento per esser gravida di morte e estinzione.[12] C’è tanto lavoro per Speaker for the Dead di Orson Scott Card. E ancora di più sul fare mondo di Ursula LeGuin in Always Coming Home.
Io sono una compost-ista, non una postuman-ista; siamo tutt* compost, non postuman*. Il limite rappresentato dall’ Antropocene/Capitalocene significa molte cose, incluso che le distruzioni irreversibili e immense sono veramente in corso, non solo per gli 11 miliardi di persone che saranno sulla terra intorno alla fine del 21esimo secolo, ma anche per miriadi di altri esseri. (L’incommensurabile ma ragionevole numero di 11 miliardi di persone circa sarà contenibile solo se i tassi di natalità di bambini umani rimangono bassi; se aumentano ancora, va tutto a monte.) La soglia dell’estinzione non è una metafora; il collasso del sistema non è un thriller. Chiedete a qualunque rifugiato di qualunque specie.
Lo Chthulucene necessita almeno di uno slogan (certo, molti di più); mentre gridiamo “Cyborg per la sopravvivenza terrestre”, “Corri veloce, mordi duro” e “Taci e Allenati”, io propongo anche “Fate parenti non fate bebé!”. Fare parenti è forse la parte più difficile ed è anche la più urgente. Le femministe dei tempi nostri sono state leader nello svelare l’ipotetico legame tra sesso e genere, razza e sesso, razza e nazione, classe e razza, genere e morfologia, sesso e riproduzione e riproduzione e comporre persone (qui siamo in debito con le Melanesi, in alleanza con Marilyn Strathern e la sua parentela etnografica).[13] Se ci deve essere un’ ecogiustizia multispecie, che possa accogliere diverse persone umane, è assolutamente il momento che le femministe esercitino la leadership sull’immaginazione, sulla teoria e sull’azione per svelare i legami sia tra genealogia e parentela, sia tra parentela e specie.
I batteri e i funghi sono ricchi nel darci metafore; ma, a parte le metafore (buona fortuna per quelle!), noi abbiamo un lavoro da mammifer* da espletare, insieme ai nostri collaboratori e co-lavoratori sim-poietici, biotici e abiotici. Dobbiamo fare parenti sim-poieticamente e sim-chthonicamente. Chiunque e qualunque cosa siamo, abbiamo bisogno di fare insieme, di divenire insieme, comporre insieme – i legami terrestri (grazie per questo termine, Bruno Latour).[14]
Noi, persone umane di ogni dove, dobbiamo affrontare urgenze fondamentali e sistemiche; inoltre, fin qui, come sostiene Kim Stanley Robinson in 2312, stiamo vivendo nell’epoca de “l’esitazione” uno “stato di agitazione inconcludente” (che, in questo racconto SF, dura dal 2005 al 2060 – troppo ottimista?).[15] Forse l’esitazione è un nome più calzante sia di Antropocene che Capitalocene! L’esitazione sarà iscritta negli strati di roccia della terra, sicuramente è già scritta negli strati minerari della terra. Gli strati sim-chthonici non esitano; essi compongono e decompongono, due pratiche che sono minacciose e promettenti. In conclusione, l’egemonia umana non è una questione sim-chthonica. Come dicono Beth Stephens e Annie Sprinkle, artiste ecosessuali, fare compost è così eccitante!
Il mio obiettivo e di rendere il termine “parentela” qualcosa di altro e ulteriore rispetto alle entità collegate dalla stirpe e dalla genealogia. Distaccarci un attimo dalla famiglia potrebbe sembrare per un attimo un errore, ma dopo sembra essere corretto nello svolgimento del discorso (speriamo!). Fare-parentela è fare persone, non necessariamente intesi come individui o umani. Fui commossa al college dal gioco di parole di Shakespeare su kin/kind (parentela/gentilezza ndt.) – i più gentili non erano necessariamente parenti; praticare parentela praticando gentilezza (come categoria, cura, parenti senza legami di nascita, parentele acquisite, e molti altri eco) allarga l’immaginazione e può cambiare il corso del racconto. Marilyn Strathern mi ha insegnato che il termine “parenti” (in inglese relatives ndt) in Inglese britannico erano originariamente “relazioni logiche” e divennero “membri di famiglia” solo nel 17esimo secolo – questo è sicuramente tra gli aneddoti che più amo.[16] Uscite dall’Inglese, e le cose straordinarie si moltiplicheranno.
Penso che l’ampliamento e la ricomposizione della parentela sono concesse dal fatto che tutti i terresti sono imparentati nel significato più profondo, e ed è ormai tempo di praticare una migliore cura di diversi tipi di specie in assemblaggio (non le singole specie una alla volta). Parente è una di quelle parole che producono assemblaggi. Tutte gli esseri sono “carne”, acquisita, semioticamente e genealogicamente. Viene fuori che gli avi sono stranieri molto interessanti; le parentele sono sconosciute (all’infuori di quello che pensavamo fosse una famiglia o una gens), destabilizzanti, inquietanti, attivanti.[17]
Troppo per un piccolo slogan, lo so, eppure proviamoci! Tra un paio di centinaia di anni, forse le persone umane di questo pianeta potranno essere di nuovo stimate intorno ai due tre miliardi, e allo stesso tempo saranno parte dell’incremento di benessere per i diversi esseri umani e altri esserini come mezzo e non solo come fini.
Quindi, fate parenti, non fate bebé! È importante come la parentela generi parentela.[18]
[1] Qui traduciamo come parente, ma dobbiamo pensare questo legame non solo tra consaguinei o acquisiti, quanto piuttosto in termini radicali di relazioni di cura e affetto reciproco all’interno di reti di altre intimità (ndt.)[2] Intra-azione è un concetto da Karen Barad, Meeting the Universe Halfway (Durham, NC Duke University Press, 2007). Io continuo ad utilizzare anche inter-azione affinché possa restare leggibile per coloro che ancora non hanno compreso il cambiamento radicale che richiede l’analisi di Barad, ma probabilmente anche per le mie abitudini linguisticamente promiscue.
[3] Anna Tsing, “Feral Biologies” (paper for or Anthropological Visions of Sustainable Futures, University College London, February 2015).
[4] Jason Moore, Capitalism in the Web of Life (NY: Verso, 2015).
[5] E’ stato Scott Gilbert ad avermi fatto notare, durante il dibattito Ethnos e altri confronti all’Università di Aarhus nell’Ottobre del 2014, che l’Antropocene e il Piantagionocene dovrebbero esser considerati eventi limite come il K.Pg, non un epoca. Guardare la nota 6, sotto.
[6] In un dibattito per Ethos all’Università di Aarhus nell’Ottobre 2014, i partecipanti produssero collettivamente il nome Piantagionocene per le trasformazioni devastanti di diversi tipi di fattorie (di tipo umano), pastorizia, e foreste in piantagioni intensive e proprietarie, che funzionavano grazie al lavoro schiavistico e altre forme di lavoro sfruttato, alienato e solitamente spazialmente trasportato. Il dibattito trascritto sarà pubblicato come “Anthropologists Are Talking About the Anthropocene, ” in Ethnos. Guarda il website AURA. Gli studiosi hanno da molto compreso che il sistema delle piantagioni di schiavi era il modello e il motore per il sistema fondato su fabbriche di macchine avide di carbone che spesso è stato considerato un punto di svolta per l’Antropocene. Allevati nelle circostanze più dure, i giardini degli schiavi non solo provvedevano al fondamentale cibo a uso umano, ma anche al rifugio per piante, animali, funghi e suoli biodiversi. I giardini degli schiavi sono un mondo non esplorato, soprattutto se paragonati agli orti botanici imperiali, per il viaggio e la propagazione di miriadi di esseri. La generatività semiotica di materiale in movimento intorno al mondo per l’accumulazione di capitale e profitto – il rapido spostamento e riformulazione di plasma germinale, genoma, germogli, e tutti gli altri nomi e forme di parti di organismi, piante sradicate, animali e persone – è un’operazione definitiva del Plantationcene, del Capitalocene e dell’Antropocene presi insieme. Il Piantagionocene continua con ancor maggior ferocia nelle industrie globalizzate di produzione di carne, nel business delle monoculture, e nelle immense sostituzioni di coltivazioni di olio di palma al posto di foreste multispecie e dei loro prodotti che sostengono allo stesso modo esseri umani e non umani. Tra i partecipanti di Ethos ci sono Noboru Ishikawa, Anthropology, Center for South East Asian Studies, Kyoto University; Anna Tsing, Anthropology, University of California at Santa Cruz; Donna Haraway, History of Consciousness, University of California a Santa Cruz; Scott F. Gilbert, Biology, Swarthmore; Nils Bubandt, Department of Culture and Society, Aarhus University; and Kenneth Olwig, Landscape Architecture, Swedish University of Agricultural Sciences. Gilbert ha adottato il termine Piantagionocene come parola chiave per le sue riflessioni in Coda alla seconda edizione del suo popolare manuale, Scott F. Gilbert and David Epel, Ecological Developmental Biology (USA: Sinauer Associates, in corso di pubblicazione).
[7] Attraverso uno scambio di mail personali con Jason Moore e Alf Hornborg alla fine del 2014, sono venuta a sapere che Malm aveva proposto il termine Capitalocene in un seminario a Lund, Svezia, nel 2009, quando ancora era uno studente universitario. Inizialmente ho utilizzato il termine indipendentemente in seminari pubblici a partire dal 2012. Moore sta curando un libro intitolato Capitalocene (Oakland CA: PM Press, in pubblicazione 2016) che avrà saggi di Moore, Malm, io stessa e Elmar Altvater. Le nostre reti di collaborazione si rinsaldano.
[8] Il suffisso “-cene” prolifera! Rischio di sovrabbondare nell’uso, ma siamo in ostaggio del significato profondo del –cene/kainos, letteralmente, la temporalità del viscoso, fibroso, grumoso “adesso”, che è passato, ma anche no.
[9]Os Mil Nomes de Gaia/I mille nomi di Gaia era la conferenza internazionale generativa organizzata da Eduardo Viveiros, de Castro, Déborah Danowski, e i loro collaboratori nel Settembre 2014 a Rio de Janeiro. Molte delle discussioni della conferenza, alcune in Portoghese altre in Inglese, possono essere viste qui. Il mio contributo fu condiviso attraverso skype ed è disponibile qui.
[10] James Clifford, Returns: Becoming Indigenous in the Twenty-first Century (Cambridge MA: Harvard University Press, 2013).
[11] Thom van Dooren, Flight Ways: Life and Loss at the Edge of Extinction (New York: Columbia University Press, 2014). Vinciane Despret, “Ceux qui insistent,” in Faire Art comme on fait societé, ed. Didier Debaise, et al. (Paris: Réel, 2013). Per la ricchezza di saggi a cura di Vinciane Despret, tradotti in inglese, guarda Angelaki 20, no. 2, fine pubblicazione 2015, Ethology II: Vinciane Despret, a cura di Brett Buchanan, Jeffrey Bussolini, and Matthew Chrulew, prefazione a cura di Donna Haraway, “A Curious Practice.”
[12] Orson Scott Card, Speaker for the Dead (NY: Tor Books, 1986).
[13] Marilyn Strathern, The Gender of the Gift: Problems with Women and Problems with Society in Melanesia (Oakland CA: University of California Press, 1990).
[14] Bruno Latour, “Facing Gaïa: Six Lectures on the Political Theology of Nature,” Gifford Lectures, 18-28 February, 2013.
[15] Kim Stanley Robinson, 2312 (London: Orbit, 2012). Questo straordinario racconto SF ha vinto il premio Nebula.
[16] Marilyn Strathern, “Shifting Relations” (paper per Emerging Worlds Workshop, University of California at Santa Cruz, 8 February, 2013). Fare parentela è una pratica che sta crescendo in popolarità, e cominciano a diffondersi nuovi nomi. Guarda Lizzie Skurnick, That Should Be a Word (NY: Workman Publishing, 2015) per “kinnovator,” (parentinnovatore ndt.) una persona che mette su famiglia in modalità non convenzionali, alla quale io aggiungo “kinnovation”. Skurnick propone anche “clanarchico.” Queste non sono solo parole; sono indizi e spinte a fare un terremoto nel produrre parentele che non siano limitate agli apparati della famiglia occidentale, eteronormativa o non. Penso che i/le bebé dovrebbero essere rari, allevati, e preziosi; e la parentela dovrebbe essere abbondante, imprevista, durevole e preziosa.
[17] “Gens” è un’altra parola, di origine patriarcale, con la quale le femministe si scontrano. Le origini e le conclusioni non si determinano reciprocamente. La parentela e la gens provengono dallo stesso ceppo della storia delle lingue Indo europee. In momenti di interazione fiduciosa e comunitaria, si può leggere Gens. A feminist manifesto for the study of Capitalism, di Laura Bear, Karen Ho, Anna Tsing, and Sylvia Yanagisako. La scrittura è forse troppo arida (sebbene le pallottole dei post aiutino), e non ci sono esempi preganti per rendere questo Manifesto seducente per i lettori più esigenti; ma i riferimenti danno enormi risorse riflettere su tutto ciò, la maggior parte dei quali frutto di lunghe etnografie, intimamente impegnate e profondamente teorizzate. Più nel dettaglio leggere Anna Tsing, The Mushroom at the End of the World: on the Possibility of Life in Capitalist Ruins (Princeton NJ: Princeton University Press, 2015). La precisione dell’approccio metodologico in Gens; a feminist Manifesto for the Study of Capitalism è rivolto a quei sedicenti marxisti o altri teorici che osteggiano il femminismo, e che inoltre non affrontano l’eterogeneità dei mondi della vita reale ma che si ostinano in categorie come i Mercati, l’Economia, o la Finanziarizzazione (o, aggiungerei, Riproduzione, Produzione e Popolazione – in breve, le categorie considerate adeguate agli standard liberali e alla politica socialista non-femminista). Andate voi e i vostri parenti a fare la rivoluzione sui libri ad Honolulu!
[18] La mia esperienza è che coloro che io ho a cuore come “la nostra gente”, a sinistra o qualunque altro termine possiamo usare senza che gli venga un colpo, sentono neo-imperialismo, neo-liberismo, misoginia e razzismo nella parte “non bebé” del “fate parenti non fate bebé” (chi può biasimarli?). Immaginiamo che la parte “fare parenti” sia la più facile ed eticamente e politicamente più solida. Non è vero! “fate parenti” e “non bebè” sono entrambe difficili; entrambe richiedono la nostra migliore creatività emotiva, intellettuale, artistica, e politica, individualmente e collettivamente, attraverso differenze ideologiche e territoriali, tra le altre differenze. Quello che intendo è che “la nostra gente” in parte, possano essere paragonati ad alcuni cristiani che negano i cambiamenti climatici: credenze e dedizione sono troppo radicate per permettere di ripensare e riprovare. Per la nostra gente rivisitare ciò che era patrimonio della destra e dei professionisti dello sviluppo come l’”esplosione di popolazione” può sembrare come avventurarsi nel lato oscuro.Ma la negazione non ci aiuterà. So che “popolazione” è una categoria che produce lo Stato, il tipo di “astrazione” e di “discorso” che riproduce la realtà per tutti, ma non fa bene a tutti. Penso anche che studi di ogni tipo, epistemologicamente e affettivamente comparabili ai diversi studi per il rapido cambiamento climatico, mostrino che 7-11 miliardi di esseri umani hanno richieste che non possono essere soddisfatte senza un immenso danno a tutti gli essere umani e non umani sulla terra. Questa non è solo una questione causale; l’ecogiustizia non ha un approccio univoco preferenziale per la cascata di stermini, immiserimento ed estinzioni sulla terra oggi. Ma attribuire la colpa al Capitalismo, all’imperialismo, al Neoliberismo, alla Modernizzazione o qualunque cosa “all’infuori di noi”, per l’attuale catastrofe dovuta alla pressione umana, neanche funzionerà. Queste questioni richiedono un lavoro difficile, inesorabile; ma richiedono anche gioia, gioco, e respons-abilità per affrontare gli altri imprevisti. Tutte le parti di queste questioni sono troppo importanti per la Terra per consegnarle nelle mani della destra o i professionisti dello sviluppo o chiunque altro nei campi del business-come-al-solito. Ecco qui la necessità di una parentela stramba – non natalista e fuori categoria!Dobbiamo trovare modi di celebrare i bassi tassi di nascita e decisioni intime e personali per rigenerare vite generose (incluse parentele innovative e durevoli – kinnovating) senza fare altri bambini – urgentemente e specialmente, ma non esclusivamente, in regioni, nazioni, comunità, famiglie e classi sociali, ricche, consumiste e che esportano miseria. Abbiamo bisogno di incoraggiare la popolazione e altre politiche che affrontino questioni demografiche spaventose attraverso la diffusione di parentele altre da quelle natali – incluse politiche di immigrazione non razziste, ambientali, e di supporto sociale per nuovi arrivat* e nativ* allo stesso modo (educazione, abitazioni, salute, creatività di genere e sessuale, agricoltura, pedagogie per allevare creature altrimenti umane, tecnologie e innovazioni sociali per mantenere i più anziani in salute e produttivi, ecc..)L’inalienabile diritto (che parola per una questione così delicata! – in inglese right è il termine utilizzato per la destra ndt.) al far nascere o meno un bebé non è in questione per me; la coercizione è sbagliata ad ogni livello su questa questione, e tende a ritorcersi contro in ogni caso, questo vale anche per coloro che sono inclini a supportare leggi e abitudini coercitive (e io non sono tra queste). D’altro canto, cosa accadrebbe se il nuovo normale divenisse l’aspettativa culturale per la quale ogni bebé avesse tre genitori impegnati per tutta la vita (che non siano necessariamente amanti tra loro e che non mettessero al mondo altri bambini oltre a quello, sebbene loro possano vivere in case con più bambini e più generazioni)? Cosa accadrebbe se pratiche serie di adozione per i più anziani divenissero comuni? Cosa accadrebbe se le nazioni preoccupate per il basso tasso di nascite (Danimarca, Germania, Giappone, Russia e l’America bianca) riconoscessero che la paura degli immigrati è un grande problema, e che i progetti e le fantasie di purezza razziale spingano ad un risorgente pronatalismo? Cosa accadrebbe se ovunque le persone cercassero kinnovazioni non nataliste per gli individui e i collettivi nei mondi queer, decoloniali, indigeni invece che nei paesi ricchi e che espropriano ricchezza Europei, Euro-Americani, Cinesi e Indiani?Come promemoria che attualmente le fantasie di purezza razziale e il rifiuto ad accettare immigrati come pieni cittadini produce politiche nel mondo “progressista” e “sviluppato”, guarda Danny Hakim, “Sex Education in Europe Turns to Urging More Births”. Rusten Hogness ha scritto in un post di Facebook del 9 Aprile, 2015, “Cosa c’è di sbagliato nelle nostre immaginazioni e nella nostra capacità di prenderci cura l’un l’altro (allo stesso modo di umani e non umani) se non troviamo modi di rispondere alle questioni sollevate dai cambiamenti di distribuzione di età senza fare ancora altri bambini umani? Dobbiamo trovare modi di celebrare giovani persone che decidono di non avere bebé, non aggiungere nazionalismo sul già potente mix di pressioni pro-nataliste”. Il pronatalismo in tutte le sue forme deve essere messo in discussione quasi ovunque. Mantengo il “quasi” come un ricordo delle conseguenze del genocidio e dell’ esilio per le molte e persone – una tragedia tutt’ora in corsa. Il “quasi” è anche un colpetto per ricordare contemporaneamente l’abuso di sterilizzazione, mezzi di contraccezione, inappropriati shockanti e inimmaginabili, e alte pratiche misogine, patriarcali, e razziste/etniciste fondate sul solito business in giro per il mondo. Per esempio, guarda Kalpana Wilson, “The ‘New’ Global Population Control Policies: Fueling India’s Sterilization Atrocities,” Different Takes Winter 2015.
Nel rischio, ci dobbiamo sostenere reciprocamente alla grande, proprio per farcela a rischiare.