Recensione di Carla Fronteddu su RecensioniFilosofiche – 08/01/2012
“Sono passati poco più di tre decenni dalla nascita di Louise Brown (la prima bambina nata attraverso la fecondazione assistita) e le biotecnologie legate alla generazione umana sono ormai vissute e rappresentate solo nella loro dimensione tecnico-pratica, spesso banalizzate nel campo delle offerte mediche disponibili”(p. 3)
È a partire da questa osservazione che Elena Colombetti individua la necessità di fare il punto su due aspetti:
il primo ha a che fare con il corpo, nonostante l’emancipazione della generazione dal suo processo naturale, infatti, questa ha comunque bisogno di una donna e del suo corpo; il secondo, invece, chiama in causa categorie filosofiche più profonde, la concezione dell’essere umano e delle sue relazioni, riflessioni sull’identità di genere e le teorie della giustizia, che sottendono la generazione extracorporea. Nel suo ultimo saggio Colombetti ha preso in considerazione questi due elementi muovendo da una prospettiva di genere, o più esattamente dalla riflessione di due importanti esponenti del pensiero femminista: Simone de Beauvoir, oggetto principale dello studio, e Shulamite Firestone. Analizzando i capisaldi teorici di queste due pensatrici, l’autrice ha cercato di mettere in luce i punti di contatto e l’influenza che potrebbero aver esercitato sull’interpretazione delle nuove biotecnologie e sulla comprensione del rapporto tra maternità e libertà.
In primo luogo Colombetti ha preso in esame la questione dell’alterità dei generi. Nei testi della De Beauvoir la relazione con l’altro da sé è, sulla scia di Hegel, di tipo dialettico-conflittuale, tuttavia, se è vero che le coscienze lottano le une contro le altre per affermare la loro essenzialità, hanno allo stesso tempo bisogno le une delle altre per svelare il mondo e per potersi riconoscere come trascendenze. Quest’ambiguità della coscienza, per De Beauvoir, ha storicamente acquisito nel rapporto tra i sessi un dinamismo peculiare: l’ineliminabile e reciproca opposizione della lotta per il riconoscimento, nella dialettica tra i sessi presenta una nota distintiva assente in Hegel: la donna non ha mai opposto all’uomo una speculare pretesa di riconoscimento, assumendo essa stessa il ruolo dell’altro e concependosi in relazione all’uomo. È a partire da questo ruolo assegnato e assunto che la donna si pone nei confronti dell’uomo non come soggetto, ma come un oggetto paradossalmente dotato di soggettività.
Il nodo teorico della definizione storico-culturale della donna è stato raccolto e radicalizzato dall’altro riferimento teorico dell’autrice, la femminista americana Shulamite Firestone. Quest’ultima, ne La dialettica dei sessi, riconduce lo sfruttamento delle donne all’innaturale divisione dei sessi: il concetto di Altro in cui la donna è stata rinchiusa non trascende la storia, ma è il frutto e la conseguenza di una lettura delle differenze sessuali, che ha strutturato una società divisa in oppressi ed oppressori. Date queste premesse la soluzione del problema della sottomissione femminile rende necessaria la riformulazione della questione procreativa. La categoria hegeliana dell’alterità, osserva Colombetti, è qui giocata e fatta derivare fondamentalmente dal dato biologico della sessualità, per questo occorre rivolgersi alla cultura, “non solo modificando il modo con cui si assegna il senso ad un dato letto in sé come meramente biologico, ma cambiando le condizioni per cui tale dato diventa significativo” (p. 33). La proposta di Firestone è appunto quella di eliminare la base biologica sfruttando le nuove tecnologie per vicariare all’esterno del corpo femminile le funzioni riproduttive.
Sebbene l’idea che la natura sia foriera di ineguaglianza sia costata a Firestone la critica di molte femministe, i suoi scritti hanno introdotto in modo pionieristico l’idea che si possa realmente e praticamente prendere le distanze dalla propria corporeità, attraverso la cultura e la tecnica. L’elemento più interessante de La dialettica dei sessi, secondo Colombetti, risiede appunto nell’idea della tecnologia come strumento di liberazione dalla natura del proprio corpo.
L’autrice individua nella riflessione della femminista americana un itinerario scandito da tre passaggi: 1) la formulazione, sulla scia di Simone De Beauvoir, di una sorta di disprezzo del soma femminile, senza che questo si traduca in un disprezzo della donna (la corporeità della donna in quanto tale è con le sue caratteristiche negativa e foriera di oppressione, mentre la donna è altro rispetto ad essa); 2) l’idea che, avendo messo a nudo le leggi della natura, si possa attraverso la tecnologia rivolgerle contro di essa per plasmarla in accordo con il progetto dell’uomo; data la premessa, infatti, andare contro natura non significa in alcun modo andare contro se stessi; 3) il piano rivoluzionario di cambiare la società attraverso la modificazione e l’abbandono delle determinazioni corporee. Quello che è accaduto negli anni successivi alla Firestone, sostiene Colombetti è che, pur avendo abbandonato la premessa iniziale, si è mantenuta l’idea di una disponibilità della corporeità umana, e femminile in particolare, neutralizzata a livello di strumento.
Il tema della corporeità viene approfondito dall’autrice nel secondo capitolo. De Beauvoir, ne Il secondo sesso, ci presenta una donna intimamente e insanabilmente frantumata, incapace di raccogliere in unità la sua identità. “Se la cultura (dimensione umana) e la società modellata sul modello maschile condannano la donna al ruolo dell’Altro, la natura sembra a sua volta chiuderla in una servitù iscritta nel suo stesso corpo. Su questo De Beauvoir non ha mezzi termini ed indica nella maternità, vissuta ma anche semplicemente possibile, “la schiavitù”” (p. 55). Colombetti osserva giustamente che “leggere la fisiologia come asservimento alla specie non è un dato, ma già una precisa interpretazione alla luce di un’idea dell’identità umana separata dalla sua identità corporea” (p. 56). Inoltre, rispetto alla descrizione debeauvoiriana della maternità come “dramma che si svolge nell’intimo della donna”, Colombetti sottolinea la contraddizione “per cui colei che ha richiamato la necessità dell’esistenza altrui per poter mantenere il senso della propria, […] non riesca a leggere la maternità in questi termini” (p. 58).
Scorrendo la storia che ci separa dagli scritti di De Beauvoir e Firestone, osserva Colombetti, assistiamo ad uno strano fenomeno: “quello che in Firestone sembrava ancora utopistico, “la riproduzione artificiale”, diventa prima possibile e poi prassi su larga scala, dall’altro la visione della maternità e della scienza cambiano profondamente, mentre poco a poco l’utopica fiducia nel ruolo salvifico delle scienze si ridimensiona fino a venire apertamente contestato da alcune pensatrici” (p. 121). In conclusione al suo saggio, dopo aver preso in esame la proposta etica di De Beauvoir, che nella categoria di progetto indica il senso dell’esistenza umana, la sua possibilità di successo o di fallimento, Colombetti porta alla luce la eco del pensiero della filosofa nell’odierna concezione delle tecnologie riproduttive. Secondo De Beauvoir solo una maternità che sia interamente l’esito di un progetto appartiene alla donna e acquista un senso umano. Il primo passo che la filosofa addita come necessario è quello della liberazione dalla maternità: separare la sessualità dalla maternità attraverso la contraccezione e, in caso estremo, l’aborto. Tuttavia, su questa linea, osserva Colombetti, la maternità non diventa propriamente un progetto: la libertà, infatti, è messa in campo solo nel versante negativo del rifiuto. Oggi, al contrario, le possibilità tecniche raggiunte sembrano promettere la collocazione della maternità nella sfera della progettualità aprendo la possibilità di un superamento della liberazione dalla maternità, verso una liberazione della maternità. È qui, che secondo l’autrice, troviamo più fortemente l’eco di De Beauvoir: la percezione delle biotecnologie come risposta ad un progetto di maternità reso, per motivi diversi, difficoltoso. Certamente non si tratta di un progetto chiuso, perché la procreazione extracorporea coinvolge più agenti, sottraendo al privato sfere intime dell’esistenza, ma anche questa dimensione sociale della tecnica, osserva Colombetti, ben si coniuga con la convinzione della filosofa francese che il proprio progetto non si sviluppa mai in un vuoto di significati. In questo quadro di liberazione della maternità, tuttavia, avverte l’autrice, si perde il pensiero critico sulla donna e sulla maternità stessa. “Tale abbandono, per quanto sottilmente celato, nasce dalla fragilità teorica di una morale che si basi solo sulla libertà individuale, sulla volontà del soggetto” (p. 127). L’esito di questa rimozione è un vuoto di riflessione sull’azione normalizzante delle biotecnologie, su come questa normalizzazione mini proprio la pretesa di scelta libera. Tra le questioni che rimangono accantonate si colloca la dimensione relazionale della persona. Se prescindiamo dalla relazione e partiamo da individui isolati compiamo, secondo Colombetti, almeno due errori: in primo luogo, banalmente, pensiamo ad un essere umano che non esiste, in secondo luogo pensare ad un individuo a prescindere dalle sue relazioni porta inevitabilmente ad uno scontro tra progetti di vita. La questione morale, conclude Colombetti, si gioca su un doppio versante: quello della libertà e quello del contenuto della libertà, che deve coniugarsi con altre dimensioni dell’essere umano. “Nell’epoca delle biotecnologie, dove anche la maternità è diventata biotech, c’è bisogno di uno sforzo addizionale per coglierla non come l’esito di un processo produttivo, ma come una relazione significante e originante tra esseri umani” (p. 137).
Indice
Presentazione di Laura Palazzani
Introduzione. Recuperare il passato per capire il presente
1. Identità e relazioni
La donna come Altro
Alterità come contrapposizione
Genderizzazione dell’alterità
Conflitto e malafede
Un’opposizione radicale
Trasformando le radici
Relazioni e famiglia (è possibile amare?)
Cultura tecnologica e rivoluzione
2. La relazione con il proprio corpo
Il corpo che sono, il corpo che non sono
La generazione come violazione e alienazione
Soggetto, corpo e società: l’erotizzazione del sociale
3. Il progetto come categoria unica di senso
Il periodo morale. Ambiguità e libertà
Volere se stessi liberi
Volere gli altri liberi
L’arte di vivere
Progetto e giustificazione
4. Da Simone e oltre Simone
Progettarsi madri
Dalla liberazione “dalla” maternità alla liberazione “della” maternità
Ripensando la relazione
Identità, narrazione e relazioni