Tratto da dwf, Questo sesso che non è il sesso 2, 2011, pp. 93-94
Adriana Nannicini, Sandra Burchi, Teresa Di Martino, Federica Giardini
Abbiamo una teoria femminista sul lavoro?
Abbiamo il vantaggio di una posizione descritta come “marginale”, ma che è possibile nominare e riconoscere come “eccentrica”
Sappiamo che superare l’individualizzazione che caratterizza tanti dei nostri lavori è già politica
Vogliamo la riapertura di un possibile rapporto tra politica e diritti
L’invenzione di forme di mutualità durevole resta un desiderio?
Ripensiamo delle modalità di lavoro realmente cooperative
Proviamo a ripristinare la solidarietà al posto della competitività come precondizione per affrontare la questione del lavoro tenendo conto del bene comune
Possiamo dire che la precarietà del lavoro è già condizione comune a una pluralità di generazioni?
Proviamo ad attivare un riconoscimento reciproco fra generazioni, riconoscimento essenziale per costruire alleanze
Abbiamo la certezza che il desiderio di lavoro delle donne c’è
Le donne dicono che non è tempo di rinunciare al piacere della produzione, è una parte costitutiva della realizzazione di sé, è il piacere di creare, il piacere del lavoro ben fatto
conoscono l’equilibrio instabile e faticoso tra lavoro retribuito e non retribuito, i corpi tesi alla ricerca del desiderio, la voglia di ritrovare una dimensione collettiva
conoscono il valore di identificazione che viene dal lavoro, ma sanno che non è l’unico valore
Nel quadro attuale del mercato la prima a saltare è stata la misura del rapporto fra tempo e denaro
La gratuità come “possibilità” e spesso anche come “condizione” lavorative e il proliferare di sistemi iperburocratici di valutazione, misurazione, classificazione convivono senza contraddizione visibile, perché?
È una rottura della regola e della misura
Sappiamo che sono proprio le competenze più difficilmente certificabili a orientare la capacità femminile
Sono le capacità di immaginare e di anticipare quel che non è ancora richiesto espressamente dal lavoro
Chiediamoci se si può interrogare il lavoro diversamente
Inventare nuove letture serve a tutte e a tutti
E allora cominciamo.