di Veronica Maio
Il video è partito.
Se solo avessimo registrato il nostro incontro alla campeggia! Faceva fresco, tirava vento e avevamo tutta la pelle intirizzita.
Io sono alla regia. Gli altri corpi iniziano a muoversi nello stanza che abbiamo sgombrato da tutto l’arredamento. C’è solo un’ampia cerata che compre il pavimento. Siamo chiusǝ in questa casa da diverse settimane e alla fine, un po’ per gioco, un po’ per necessità, abbiamo provato a ripercorrere l’esperienza di quel workshop fatto qualche estate fa al presidio di Venaus, in Valsusa.
Ora sdraiatevi per terra e guardate un punto del panorama. Io mi fisso sulla porzione di montagna boscosa sottostante l’autostrada sopraelevata. Chiudete gli occhi e immaginate ora un animale, figuratevi i suoi movimenti nell’ambiente. Ecco che mi appare un cervo che saltella lungo le pendici della montagna e che sparisce al di là dell’autostrada.
Invito le altre persone ad iniziare a muoversi, anche se l’imbarazzo sta riempendo tutta la stanza sgombra. Siamo tuttǝ nudǝ, gli occhi bendati, ma ognunǝ porta la sua mascherina fp2, prima di entrare nella stanza ci siamo lavatǝ il corpo e disinfettatǝ le mani, abbiamo lasciato la finestra spalancata per arieggiare l’ambiente. Faccio partire la musica, un ritmo avvolgente. Inizio a condurlǝ nello spazio, chiedendo di porsi in atteggiamento di disponibilità al contatto. Finalmente, dopo settimane chiusǝ nelle nostre camere. L’aria comincia a farsi elettrica.
Ora, mantenendo gli occhi chiusi, cominciate ad alzarvi lentamente e a muovervi nello spazio. Rimanete in contatto con l’animale che vi siete immaginate. Lentamente, cominciate a cercarvi. Muoversi nella natura ad occhi chiusi è come soffrire di vertigini ad oggi passo, non sai se sfiorerai dell’erba soffice, dei rami che ti potrebbero graffiare o qualche insetto che potrebbe iniziare ad arrampicarsi sul tuo corpo esposto al vento e al sole non così caldo. Ogni contatto è una scarica elettrica. Ambiente e persone iniziano a fondersi: i peli e i fili d’erba si confondono, una zolla di terra umida e calda sembra una bocca.
Piano piano lǝ partecipanti smettono di sussultare quando si incontrano e scontrano camminando bendati nella stanza e cominciano a indugiare nei contatti: un fianco rimane qualche secondo vicino a un braccio, alcune dita percorrono tutta una schiena. La musica contribuisce ad avvicinarlǝ. Solo la telecamera può vedere le emozioni di queste scoperte così materiali. Ricerco nella memoria il contatto che avevo stabilito con il mio cervo. Comincio anche io a camminare nella stanza insieme a loro, anche io nuda ma con una borsa di tela a tracolla. Ne estraggo un barattolo e vi ci intingo un pezzo di amarena. Afferro una mano con la mia e ci strofino questa amarena viscosa e bagnata. I brividi dell’altra persona mi scuotono tutta. Comincio a rovesciare il mio barattolo di aloe sui corpi che mi vengono incontro, e li accarezzo con foglie, pezzi di frutta, rami. Comincio a sparpagliare un po’ di terra sulla cerata per terra. Aloe e terra iniziamo a mescolarsi per terra e sui nostri corpi, che cominciano ad avvinghiarsi, a prendere possesso di tutto lo spazio.
Dalla nostra pelle iniziano a svilupparsi miliardi di protuberanze tattili che prendono contatto con l’aria che entra dalla finestra, con carne, con terra, liquidi inebrianti. Abbiamo finalmente rotto la bolla di isolamento in cui ci eravamo rinchiusǝ per settimane. In questa danza ci ritroviamo connessǝ al di là del nostro sguardo, al di là di ogni schermo; solo contatto, odori, vibrazioni, come quel pomeriggio in montagna.
Immagine in evidenza
Mark Ramos & Ziyang Wu, Networked Ecosystem (2021)