Recensione a cura di Vittoria Gravina
Questo saggio è il risultato della rielaborazione della prima ricerca dottorale in Italia dedicata interamente all’opera di Elena Ferrante.
In Elena Ferrante. Poetiche e Politiche della soggettività pubblicato per Mimesis (2020) nella collana De Genere, Isabella Pinto, autrice del volume, indaga il rapporto tra soggettività e narrazione usando come strumento la scrittura di Elena Ferrante.
Il saggio si presenta diviso in tre sezioni. Nella prima parte, denominata Mitopoiesi, l’autrice decide di analizzare come Ferrante, in opere come L’amore molesto, I giorni dell’abbandono, La figlia oscura e La spiaggia di notte, riscriva i miti recuperando e storicizzando il concetto femminista di “genealogia femminile”. Questa operazione ha molto in comune con il femminismo della differenza e il lavoro di Adriana Cavarero sulle riscritture dei miti in chiave femminista. Ferrante a questo aggiunge un lavoro sulle versioni minori dei miti, sapendo bene che «fra le pieghe della Storia esiste sempre un’altra storia, soprattutto se il soggetto è donna» (Norcia 2020, 8), e per questo rielabora, rilegge e scompagina le versioni ufficiali dei miti, riscoprendo, nelle versioni minori, altre forme di vita.
È in questa prima parte che Pinto rileva come l’autrice arricchisca questo dispositivo mitopoietico con una «sapiente fantasia di memoir» (de Rogatis 2016, 294) ossia con una parziale sovrapposizione tra lei che scrive e le tre narratrici dei romanzi.
Nella parte centrale del volume, Diaspora, l’autrice si concentra invece sul ciclo de L’amica geniale nel quale Pinto legge il racconto come un’occasione per narrare esperienze fuori dal canone, normalmente taciute, che qui trovano spazio e ascolto. Come nota l’autrice romana è proprio grazie al concetto di “smarginatura femminile” e di quella mancanza di coincidenza alla norma che Ferrante può mettere in scena personalità diasporiche che, per usare l’espressione di Pinto, «abitano, costruiscono e raccontano temporalità postumane».
Infine, nell’ultima parte, Performatività, l’autrice prende in esame le opere ferrantiane più autobiografiche quali La frantumaglia e L’invenzione occasionale, suggerendo come Ferrante porti all’estremo il rapporto di omonimia tra autore, narratore e personaggio promuovendo un suggestivo continuum tra realtà e finzione che trova le sue radici nella “naturcultura” di Donna Haraway. «Questo tipo di scrittura», spiega Pinto, «diffrange l’autorialità a partire da un’operazione di taglio simbolico della soggettività». Questo proprio perché in Ferrante manca ogni interesse verso una verità assoluta. Ciò che conta, ciò di cui bisogna far tesoro, è quella polifonia di sguardi, quella pluralità di voci che il patriarcato tende a uniformare.
Come rileva Pinto un espediente usato dall’autrice per compiere questa operazione è il recupero del cosiddetto “tremendo delle donne”, un aspetto centrale nell’immaginario di Ferrante, usato proprio per diffrangere l’eccedenza femminile e per restituire complessità ai personaggi femminili.
A chiudere il volume la preziosa Postfazione di Federica Giardini, filosofa, docente e direttrice del Master in Studi e Politiche di Genere di Roma Tre, che riflette su come l’opera di Ferrante «apra mondi» e risignifichi parole, esperienze e altre vite possibili contro la tendenza comune a ridurre la bellezza della complessità a uno schema unico e definito e di come altrettanto faccia la scrittura di Pinto in un continuo dialogo con il testo e con il lettore.
Questo studio offre interessanti sollecitazioni, soprattutto perché esce a poca distanza dall’ultimo romanzo di Elena Ferrante, La vita bugiarda degli adulti, che Pinto nella parte denominata Bonus Track analizza portando alla luce l’ultima linea di sperimentazione di Ferrante che trova nella magia e nella menzogna suoi assi portanti.
Visto il successo recente dello sceneggiato tratto dalla tetralogia de L’amica geniale, è apprezzabile, a mio avviso, che non vi sia alcuna spettacolarizzazione della figura che si cela dietro lo pseudonimo di Elena Ferrante, cosa non facile visto che il saggio della Pinto ha per tema il rapporto tra soggettività e letteratura e dunque prende in esame il concetto di autorialità.
Forse ha davvero ragione Elena Ferrante quando durante un’intervista spiega che secondo lei i libri non hanno alcun bisogno degli autori una volta scritti, perché «se hanno qualcosa da raccontare, troveranno presto o tardi lettore; se no, no» (Ferrante 2007, 10-11).
Isabella Pinto, Elena Ferrante. Poetiche e politiche della soggettività, Mimesis, Milano 2020, pp. 254. Edizione cartacea 22 euro, epub 14,99 euro. http://mimesisedizioni.it/libri/narrativa-linguistica-studi-letterari/degenere/elena-ferrante.html