Eleonora Mineo, Il cibo come oggetto filosofico. Uno studio, IAPh Italia 2015

Eleonora Mineo, Il cibo come oggetto filosofico. Uno studio, IAPh Italia 2015

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Mangiare è un universale e l’universale, si sa, piace alla filosofia.
Ma allo stesso tempo ha a che fare con il corpo, che piace meno alla filosofia, se non come corpo pensato, astratto, che però non mangia.

Il mangiare oltrepassa la questione biologica e si apre alla dimensione del senso. È un gesto carico di significati, ed il cibo è la materia di questo gesto.
La filosofia, da Platone a Nietzsche, ha sempre fatto i conti con il cibo, ma allo stesso tempo vi ha accordato un’importanza marginale. L’ipotesi proposta è che questo scarso interesse sia riconducibile alla separazione tra corpo e ragione che ha segnato la filosofia fin dai suoi inizi, e che ha relegato in secondo piano tutti quegli aspetti della vita umana legati alla corporeità. Come le donne ben sanno, questa separazione non è senza conseguenze.
L’approccio filosofico ha permesso di interpretare il cibo attraverso l’utilizzo di alcune categorie – soggettività, relazione, natura – che appartengono alla storia del pensiero occidentale, gettando una luce particolare su un argomento apparentemente ordinario, seguendo come filo conduttore la messa in gioco del confine.

  1. Il primo confine è quello che il soggetto cerca di stabilire tra sé e l’esterno: un confine mobile, costantemente negoziato e rielaborato.
  2. L’analisi della soggettività fa emergere l’inevitabile presenza dell’altro all’interno della relazione con il cibo, a partire dal corpo materno fino alla comunità alimentare alla quale l’individuo sente di appartenere e che contribuisce a definire. Allo stesso tempo, in questo processo, si attuano dei processi di identificazione che spostano l’alterità ancora una volta verso l’esterno, istituendo nuovi confini.
  3. A minacciare lo statuto dell’umano è anche il confronto con l’animale: come in altri ambiti, anche in relazione al cibo l’uomo ha elaborato strategie e cercato elementi che potessero indicare in maniera definitiva il suo specifico rispetto all’animale. La donna, la cui posizione nella storia ha spesso coinciso con quella dell’animale, si colloca in maniera peculiare nei confronti della questione, con effetti rilevanti dal punto di vista politico.

Come sostiene Derrida, infatti, la questione non è, né mai lo è stata, “mangiare o non mangiare, mangiare questo e non quello, il vivente o il non vivente, l’uomo o l’animale”, quanto – nella nostra relazione con il cibo, ma non solo – “la migliore maniera, la più rispettosa e la più riconoscente, la più adatta così a rapportarsi all’altro e a rapportare l’altro a sé.” (J. Derrida, Bisogna ben mangiare)

 

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