“Genesis”, Attraversare i confini, X/2, 2011, pp. 59-76
1. Una geopolitica femminista
L’incontro tra psicoanalisi e politica è innanzitutto un incontro tra femministe italiane e francesi, dunque una questione non posta a tavolino ma nelle relazioni tra donne in carne e ossa e i saperi che portano, che stanno mettendo in discussione. È un incontro consistente di luoghi, di cose fatte insieme, un incontro a vero titolo, perché comporta lo scioglimento di itinerari che precedono tale incontro.
La questione è interessante sotto diversi aspetti, si assiste infatti a un’innovazione sul triplice piano delle pratiche, della teoria e di una “geopolitica del femminismo”. Da una parte, l’intersezione tra psicoanalisi e femminismo permette di individuare alcuni nodi che orienteranno la politica femminista nei decenni successivi, dai nodi delle pratiche, delle forme della politica, al rapporto tra sapere e politica, con la rottura epistemologica che comporta. D’altra parte, le fonti mostrano come questa apertura riguardi in particolare donne francesi e italiane, e così si spiegherebbe perché tra Italia e Francia si sviluppi il cosiddetto pensiero della differenza sessuale. Due delle autrici, Antonella Nappi e Luisa Passerini, registrano come 1972 e 1973 siano anni in cui, tra Francia e Italia, si passa da un riferimento più cogente al femminismo statunitense – attraverso testi come Noi e il nostro corpo del collettivo di Boston, o il saggio di Kathie Sarachild sulla Feminist consciousness raising preparato nel novembre 1968 e già circolante prima della pubblicazione nel 1971 o ancora The Myth of vaginal orgasm (1971 e tradotto nello stesso anno in italiano)1 – a quello di una riflessione più “europea”, che mette a fuoco la «specificità del Movimento in Europa
(rispetto all’America)».2
A riprova di questa ricollocazione si può anche citare il testo di Carolyn Burke, che nel 1978 scrive un Report from Paris 3, dove registra l’incontro tra italiane e francesi – diverso da quelli presi qui in esame – a cui una donna americana vuole assistere per cogliere novità e innovazioni: si è aperto un flusso al contrario, rispetto
agli anni ’60, che dagli Stati uniti va verso l’Europa. L’anno è il 1972, il luogo è la Francia, con tre incontri che si svolgono nell’arco di quell’anno: il primo a La Tranche sur Mer in Vandea per una settimana (24 giugno-2 luglio), un secondo, in autunno, a Vieux Villez in Normandia per cinque giorni (27 ottobre-1 novembre), e un terzo nell’estate del 1973 a Chateau Coupigny nelle Ardenne. Si tratta di incontri in senso intenso: momenti di discussione e convivenza totale, che coinvolgono innanzitutto il corpo. In effetti, come accade nel femminismo di quegli anni, la relazione di scambio – fisica, intellettuale ed emotiva – è la posta in gioco del pensiero politico. Le fonti e le testimonianze di cui disponiamo coinvolgono esponenti
di rilievo del femminismo successivo – da Lea Melandri e Maria Schiavo a Luisa Muraro e Lia Cigarini, a Luisa Passerini e, a fianco e in dissonanza, Carla Lonzi. Le città di provenienza sono dunque Milano, Torino, Firenze e Roma – Melandri parla di una ventina di italiane,4 su un totale di duecento presenze circa.5 Per parte francese sono presenti alcune esponenti del MLF, Mouvement de Libération des Femmes, in particolare Antoinette Fouque, fondatrice dello stesso Movimento insieme a Monique Wittig e Josiane Chanel nel 1968.6 La presenza di Fouque all’incontro – ne è l’organizzatrice come punto di riferimento del gruppo Psychanalyse et politique – è di estrema rilevanza. L’esperienza farà storia. A ritroso, infatti, è possibile individuare in quello spazio-tempo l’inizio di un nuovo percorso – un evento, un momento in cui il già fatto e pensato non può più porsi in continuità con il momento successivo – i cui effetti abbiamo sperimentato nei decenni successivi.
2. I testi raccontano
L’incontro di La Tranche, in particolare, ricorre, raccontato o commentato, in alcuni testi composti in momenti diversi e che proprio per questo, pur sottolineando aspetti comuni, ne commentano e accentuano
alcuni tratti anziché altri.7 Nei due scritti – La Tranche: un incontro internazionale, una vacanza al mare e Nudità –8 la presa diretta è più evidente. Il senso che qualcosa di inedito sia accaduto appare sin dalle prime righe: forse scelto per altre esigenze, il nome del paesino di La Tranche rimanda, secondo alcuni, al mare che taglia la costa, che la interrompe e, insieme al titolo Nudità, trasmette la sensazione di una scoperta che cambia a mai più il già noto e il familiare, interruzione che spoglia dai costumi e dalle abitudini, che denuda e apre a una terra incognita, tutta da esplorare. Su cosa si esercita questa opera gioiosa di scoperta di nuovi spazi e di comportamenti e parole appropriate?
2.1 Forme della convivenza tra donne
Antonella Nappi dichiara di arrivare a La Tranche munita di «aspettative congressuali di lavoro produttivo, ordinato e tradotto» che vengono «sgominate» nel giro di soli due giorni: («ma che casino! Non c’è neanche un ordine del giorno, ci hanno fatto venire fin qui per stare poi a parlottare come capita»), la sera del secondo giorno mi ero rassegnata a una vacanza […] il terzo giorno ho cominciato ad ascoltare.9
Il passaggio dalla forma congresso ad altre e nuove forme di convivenza apre la sospensione dell’ordine delle relazioni che si danno nel quotidiano: «eravamo in duecento, con una trentina di bambini… è stato come ritrovare i bei tempi dei campeggi da ragazzina […] una delle situazioni più nuove per una donna, sempre aggregata com’è a questo o quell’uomo».10 Una vacanza – un vuoto di forme già familiari alle politiche di movimento. In effetti nel secondo testo, Nudità, Nappi sottolinea che «il gruppo [Psychanalyse et politique] che aveva promosso il convegno non voleva arrogarsi la gestione della settimana».11 Si tratta di una disorganizzazione non casuale ma voluta: è un rischio voler negare anche solo per sette giorni la secolare divisione quotidiana che esiste tra le donne, la sfiducia, la concorrenza che ci mettono così spesso l’una contro l’altra; ed è ancora difficile non ridesiderare la tutela maschile quando sembra che “l’isterismo tipico delle donne” abbia il sopravvento.12 Questa esplorazione senza confini porterà a mutare la forma dell’incontro successivo, a Vieux-Villez, «interamente gestito da Politique et psychanalyse».13 Come registra Maria Schiavo, che partecipa a questo secondo incontro – spinta dai commenti su La Tranche di Lia Cigarini e di Sisa Arrighi – esiste un pensiero politico dietro l’allentamento delle forme organizzative consuete: si vedeva che le compagne francesi erano abituate a vivere insieme, oltre che a parlare. Strutturavano e destrutturavano (con un rigore che aveva un che di ossessivo) anche le minime situazioni del vivere quotidiano. Potevano anche interrogarsi a lungo sul perché alcune persone si mettevano a sedere insieme, piuttosto che altre, e spesso sulla scelta dei posti, in macchina come altrove, erano capaci di soffermarsi a discutere, ad analizzare con estrema attenzione la combinazione proposta, dietro cui trapelava, nascosto o manifesto, il desiderio.14 Nelle sue parole emerge la tensione primigenia in questa aurora del femminismo radicale: la libertà dello stare insieme è anche, nel suo farsi materia da pensare e analizzare, momento in cui la vigilanza si fa estrema. E in effetti la tabula rasa delle forme organizzative consuete non è un caos illeggibile. Luisa Passerini parla di «una sfida che promette di dare molto», riprende una frase pronunciata da Antoinette Fouque – «la perdita della testa per salvare il corpo» – e commenta: un corpo assai diverso da quello in cui si innestava […] il rapporto tra il femminismo italiano e quello statunitense; questo è un corpo che prende atto del conflitto e del potere, che accetta le sfide del caos e del “capo”.15
La destrutturazione della forma congressuale destruttura soprattutto la forma del leader – nel «Sottosopra» troviamo anche un testo di Rivolta femminile che esordisce con «Rivolta femminile non ha un leader e non l’ha mai avuto»16 – ma mostra la possibilità di una sorta di messa a tema pratica, critica e laterale, di questa tradizione. La figura che incarna questo spostamento, nei metodi e nel pensiero, è proprio Antoinette Fouque:
Apparve dunque Antoinette, sono tentata di dire, “à l’heure du cercle” che, come si sa, era il momento in cui nel Seicento la regina riceveva. Non dico questo per sottolineare negativamente il potere che questa donna aveva, ma per far comprendere quanto fosse autorevole all’interno del suo gruppo. In realtà, Antoinette aveva un’aria quasi dimessa. Era piccola, quasi claudicante. […] Sotto una permanente un po’ goffa, occhiali cerchiati di nero, a mascherina, aveva degli occhi molto belli, vivissimi, cui non sfuggiva niente – mi accorsi in seguito – di ciò che accadeva nel gruppo. Pur non essendo sempre presente, sembrava dar vita senza sforzo, animare liberamente ogni parola, ogni atto di ciascuna […] con le sue apparizioni e i suoi interventi persuasivi, discreti, simili a pacifici blitz. Il suo potere, in realtà, era tutto nella parola.17
La sfida, che nasce proprio dall’esperienza diretta e praticata nella sua radicalità, riguarda la constatazione che un’orizzontalità tra donne non è ovvia e, forse, non è nemmeno la forma che più rende giustizia all’esperienza delle relazioni tra donne: Una donna francese, di Politique et Psychanalyse, riconosce che nel gruppo c’è una leader, Antoinette Fouque – che «è il nostro capo» – ma che questa stessa contraddizione è oggetto di analisi.18
2.2 Eros e linguaggio
La convivenza tra donne, oltre che un assunto politico, è una passione, una situazione in cui si esprime il “desiderio”.
Mi sono convinta nel profondo che le donne, io, non siamo solo una casta oppressa che si ribella […] non siamo solo compagne di una lotta di liberazione […] questo c’è tutto; ma per così dire lievitato, reso felice e potente dall’evidenza, che ho vissuto, che le donne per le donne possono essere creature di cui ci si può
fidare, a cui ci si può affidare, con cui si sta bene insieme.19
Da una parte, il linguaggio, la comunicazione avviene proprio attraverso l’esperienza di un’intelligenza che si potenzia per trasporto erotico, per passione. La comunicazione tra parlanti lingue diverse è resa sorprendentemente rapida dall’erotizzazione dei rapporti. Dice Nappi:
ho scoperto, in qualche modo, che si può, c’è bisogno di “innamorarsi” delle donne [e aggiunge a piè di pagina] lo scrivo tra virgolette perché è un termine troppo abusato, ma ciononostante non ne ho di più significativi […] L’intensità della relazione subentra alla pianificazione dei problemi e delle soluzioni pratiche […] il terzo giorno […] (grazie alla mancanza di traduzione ho quasi imparato il francese!).20
Il testo Nudità può essere letto come una declinazione ulteriore di questa erotizzazione: una sorta di restituzione di senso, di misura, o almeno il presagio di una possibilità, nel condividere di qualcosa che si espone per la prima volta. In aperta polemica con i movimenti di liberazione sessuale – «ciò che può sembrare liberatorio per gli uomini è certo molto differente per le donne», dato che tale liberazione non trova «corrispondenza in mutati rapporti sociali tra la popolazione»21– l’esperienza dell’esposizione del corpo tra sole donne fa segno alla possibilità di una relazione segnata dalla fiducia e dalla gioia, in una sorta di ritrovamento. All’«unico corpo visto dallo sguardo maschile, si contrappone un corpo collettivo capace tuttavia di individuazione», sottolinea Luisa Passerini,22 che sarà anche «pratica della vita in comune».23 L’intensità di questa presenza fisica e passionale apre a tutto ciò che può andare sotto il nome di sessualità: dalla revisione del caos femminile per mancanza di una conoscenza delle relazioni tra donne alla omosessualità femminile, dalla relazione con la madre, che è alla radice dell’oscillazione tra euforia e conflittualità nei rapporti tra simili,24 al riattraversamento dell’isteria stessa: “Le donne sono tutte isteriche”: per uscire da
questa definizione […] non serve tapparsi le orecchie e fingere che non sia; occorre invece passarci attraverso,25 fino al lavoro per liberare il corpo da scelte obbligate quali il parto, la contraccezione e l’aborto.26
3. In Francia. Antoinette Fouque et Psychanalyse et politique
Maria Schiavo, come abbiamo visto, dedica una buona parte della sua testimonianza alla qualità della presenza di Antoinette Fouque, fondatrice del gruppo Psychanalyse et politique, che si caratterizza all’interno del MLF per la presa di distanza dalle posizioni di Simone de Beauvoir27 – la cui opera viene letta come elaborazione teorica e politica dell’uguaglianza, ovvero la necessità di eliminare la differenza, la disuguaglianza tra donne e uomini, eliminandone le condizioni materiali e immaginarie. Di contro, afferma Fouque, l’indipendenza economica, l’uguaglianza professionale, la competenza intellettuale di una donna non comportavano una stima reale […] A ogni istante scoprivo l’inganno dell’uguaglianza, della simmetria, della reciprocità, che gli studi universitari avevano mantenuto per lungo tempo.28 In questa divaricazione si apre lo spazio per rivolgere l’attenzione alla psicoanalisi, verso la quale peraltro Beauvoir nutriva una nota diffidenza. Se non sono le condizioni materiali “oggettive” a determinare la disuguaglianza, qualcosa di profondo, di strutturale, va portato alla luce.
In quegli anni Fouque è in analisi con Jacques Lacan, il celebre e seguitissimo rifondatore della psicoanalisi freudiana, e – con una mossa che non è prevista dal setting analitico – gli dichiara di averne iniziata un’altra con Luce Irigaray.29 La stessa Fouque afferma che Lacan non avrebbe tenuto il suo seminario sul godimento femminile, Ancora,30 se non avesse avuto rapporti con il MLF.31 E in effetti i passaggi testuali
del seminario confermano questa influenza: dal riferimento a una certa «educazione sessuale» nel «discorso universitario» che dovrebbe avere «un miglioramento dei rapporti tra i sessi»32 alla polemica, in occasione
di un suo intervento a Milano, con «una signora dell’MLF locale» sulla sua affermazione che le donne non esistono;33 dal riferimento alle ricerche femministe sul «godimento clitorideo»34 alla trovata che formula
l’indirezione nel rapporto d’amore con un «amo a voi»,35 fino al godimento non fallico che viene riportato a figure della mistica, come Hadewijch di Anversa.36
3.1. Sovvertire la teoria con la politica, passando per le pratiche
Il gruppo di Psychanalyse et Politique, nato come gruppo di autocoscienza, dice Fouque, non ignora dunque la dimensione dell’inconscio, che si manifesta nella psicopatologia della vita quotidiana, nei lapsus, negli atti mancati. L’invenzione è di accostarla alla dimensione politica.37 Come possono andare insieme psicoanalisi e politica? Se la questione non è la lettura critica di quel che Freud ha potuto dire della femminilità,38 se la questione è la sovversione – e dunque un certo uso – del paradigma psicoanalitico per la politica femminista? Quali sono, con che tipo di questioni e contenuti si identificano?
Psych et po era la mia preoccupazione sia di capire cosa c’era di inconscio negli impegni politici di allora, sia di stanare il potere della psicoanalisi, non solo nelle istituzioni e nelle scuole, ma anche nella scoperta dell’inconscio e nella sua teorizzazione. Ritenevo vitale che l’una interrogasse e conoscesse l’altra e viceversa. In breve, c’era dell’inconscio nella politica e della politica nell’inconscio.39
Il primo elemento di questo peculiare e inventivo rapporto tra due saperi si trova nell’attenzione che viene prestata alla presa di parola: il punto di partenza è sì la forma dei gruppi di autocoscienza, ma la parola non viene separata dallo sfondo su cui si staglia, tutto ciò che non è volontario e che pure si manifesta: una presa di parola su fondo di inconscio. Questa assunzione è politica per due motivi almeno. Da una parte, fa attenzione alle condizioni e agli effetti materiali e contestuali – come mi sento a prendere parola, dove, con quali ricadute e ascolto, con quali asservimenti o rivolte rispetto al codice discorsivo dominante; dall’altra, questo sfondo rimanda a un ordine disciplinare, il sapere psicoanalitico che si sta costruendo in quegli anni, non solo come disciplina specialistica ma anche come strumento di analisi politica del movimento del maggio Sessantotto che, ancora una volta, non accusa il colpo di una parola pubblica femminile. L’esperienza della Sorbona [va ricordato che le prime uscite pubbliche di Fouque e Wittig si tengono durante le assemblee del Sessantotto] ha insegnato assai rapidamente, a Monique e a me, che se non ponevamo le nostre domande, in territorio libero, saremmo state asservite o escluse […] Volevamo lanciarci alla scoperta di ciascuna, a cominciare da noi stesse. Ci eravamo imbarcate nella causa marxistaleninista- maoista ma andavamo controcorrente.40
Insomma la psicoanalisi è uno dei discorsi della rivoluzione in corso e, al contempo, offre gli strumenti per “destrutturare” quel che lì poteva avvenire alla parola di una donna. Si tratta di un uso politico di quel che potremmo definire un “conflitto di interpretazioni”? Niente affatto. Proprio per la centralità del sapere acquisito attraverso le pratiche, attraverso cioè il sapere che risulta, soltanto, da comportamenti effettivi – la teoria che si produce incessantemente con l’azione41 –, la psicoanalisi diventa utilizzabile, in parte, attraverso una effettiva e concreta presa di posizione, quella femminista. Quando Fouque entra in analisi, con Lacan e Irigaray contemporaneamente, esprime la specificità del suo rapporto con il sapere analitico, la presa in prestito delle sue risorse, attraverso un gesto che ne sovverte l’ordine: la relazione con una analista segnala la priorità, l’ineliminabilità, della relazione tra donne. A rigore di testimonianza, la psicoanalisi non è uno strumento che viene meramente adottato, con il rischio di piegare contenuti e urgenze del femminismo a quelli della psicoanalisi (come invece denuncerà Carla Lonzi).42 È a partire da questa priorità
che si delineano le linee di intervento e discussione degli anni successivi.
La critica all’ugualitarismo, se da una parte si radica nell’esperienza dell’«inganno dell’uguaglianza» di condizioni materiali – condizione necessaria ma non sufficiente –, dall’altra si esercita su un’esperienza già politica: la pretesa uguaglianza della presa di parola nelle assemblee del Sessantotto. Come descrive Schiavo, l’uso della parola tra donne reinventa il legame necessario con il corpo, con il contesto delle parlanti, con i ritmi dell’ascolto e della parola profferta. A partire dall’esperienza delle relazioni tra donne – «territorio libero» da esplorare e risignificare – emerge poi il nodo della relazione tra madre e figlia, relazione che la psicoanalisi freudiana e lacaniana utilizza, sotto il termine di isteria, ma di cui non si sa al di fuori degli effetti dello stesso discorso analitico. È questa esperienza, che ha l’audacia di rischiare il caos fusionale previsto dalla psicoanalisi, che rende possibile risalire alle condizioni strutturali che determinano la gerarchia tra i sessi, ovvero l’analisi delle strutture e dei blocchi delle relazioni tra donne, che le irretiscono in una parola mai pienamente pubblica e politica.
Infine, si apre anche la vicenda dell’omosessualità femminile, non solo erotizzazione dei rapporti tra donne, non solo sfida all’omosessualità maschile che informa qualsiasi ordine della convivenza, fin nelle stesse relazioni eterosessuali, non solo “omosocialità” delle donne tra loro. Si pone qui un nodo che avrà risvolti conflittuali.43
4. In Italia
L’attenzione alla materialità del linguaggio, all’ancoraggio nel corpo, alle manifestazioni dell’inconscio, riserva irriducibile di smentite agli ordini discorsivi e relazionali, il rimosso della relazione tra madre e figlia, si sviluppano in modo vario, differenziato e talora drasticamente conflittuale nelle pratiche e teorie del femminismo italiano.
4.1 La Libreria delle donne di Milano. Sovversione epistemologica e politica del desiderio
Per alcune donne provenienti da Milano, l’esperienza che si sviluppa a contatto con Psychanalise et politique, apre a nuove vie di analisi e di azione. Se il gruppo francese dichiarava «non si fanno invenzioni a partire dal nulla, non esiste la generazione spontanea»,44autorizzandosi così al rapporto con il sapere psicoanalitico, in Italia risuonava forte l’affermazione del gruppo Rivolta femminile: «Non vogliamo d’ora in poi tra noi e il mondo nessuno schermo […] dietro ogni ideologia intravediamo la gerarchia dei sessi».45
La prima risposta a questo dilemma si traduce nell’abbandono della pratica dell’autocoscienza. Primo luogo sociale, dotato di un’intenzione politica, in cui le donne possono parlare apertamente della loro esperienza, l’autocoscienza è una pratica dominante fino al 1974. Il testo Donne è bello del gruppo Anabasi la racconta come quel percorso che permette di passare dalla percezione di una menomazione personale al senso che si tratti di un fatto sociale e politico.46 Tale pratica è caratterizzata da elementi ben identificati: il piccolo gruppo, l’assunzione dell’autenticità del racconto personale, l’identificazione reciproca e l’efficacia liberatrice della parola scambiata.47
Dopo gli incontri con le francesi, si comincia a registrare la contraddizione implicata dalla pratica del piccolo gruppo, che sembra isolare il femminismo dalle questioni politiche che coinvolgono un numero più ampio di donne, da una dimensione sociale o collettiva. La decisione dell’abbandono dell’autocoscienza è espresso dalle donne della Libreria di Milano attraverso una passione: la noia. Noioso, cioè incapace di mantenere la tensione, il desiderio di scambio, è l’effetto dell’accostamento della presa di parola di tutte e ciascuna. L’apertura che si dà è un nuovo rapporto con la cultura, o meglio con l’uso di saperi già costituiti.
Entrando in risonanza con le tesi di Politique et psychanalyse, i saperi possono diventare una riserva di elementi teorici da decostruire e riutilizzare per dare voce alla costruzione ed espressione della singolarità femminile, ovvero «usare gli strumenti teorici che la cultura offriva ed escogitare una pratica politica che li convertisse al significarsi della differenza umana originaria di essere donne».48
Tornano così i temi della genealogia tra madre e figlia, del godimento femminile, come ricerca di una misura diversa da quella offerta dai codici sociali esistenti, che si addensano nella proposta di una politica del desiderio e di un ordine simbolico della madre,49 e che si connotano per la particolare forza attribuita alle pratiche: dalle genealogie femminili all’affidamento, dal rifiuto della rappresentanza all’autorità
femminile. Per quanto riguarda il nodo emerso agli incontri francesi, la tensione tra omosocialità femminile e lesbismo, tra le esponenti di un femminismo della differenza – che dicono di La Tranche «lì circolava un
intenso erotismo. Non era lesbismo, ma sessualità non più imprigionata dal desiderio maschile»50 e che lo connettono alla relazione di desiderio per la madre51 – si trova traccia di un’elaborazione più definita nello
scambio di alcuni anni dopo tra Teresa de Lauretis e Luisa Muraro.52
Nella lettera privata che mi ha scritto il 12 settembre 1989, in risposta a una versione manoscritta di questa introduzione, che le avevo inviato […] Muraro scrive:
«è sbagliato (s’intende, per me, per noi) che il non dire la scelta (etero o omosessuale) sarebbe una major cause of opacity nel dibattito in corso. Perché?
1) per la ragione, abbastanza ovvia ma non da trascurare, che molte diversità tra donne e anche questa, sono indotte o sono sovradeterminate da un ordine sociale non autonomo 2) per la ragione che noi lavoriamo esclusivamente per la libertà femminile, che è l’unica cosa che può costituire uno scopo comune a tutte le donne, […] e questo ci rende relativamente indifferenti alle possibili conseguenze e possibili usi della libertà. Che una donna liberamente ami nessuno o l’intera umanità, che faccia l’amore con le sue simili, con gli uomini, con nessuno, con i bambini o gli animali… sono conseguenze, ciascuna degna di attenzione e rispetto, ciascuna essendo fonte di esperienze e conoscenze preziose per il potenziamento della libertà femminile. Come parli tu del lesbismo, sembra quasi che fai di questa scelta sessuale un principio o una causa o un fondamento della libertà. Se così tu pensassi, ti direi: no, il principio della libertà femminile è di natura simbolica. Non è un comportamento reale, per quanto valido e prezioso per il rafforzamento delle donne nella società. Sono riuscita a spiegarmi?».53
La risposta di de Lauretis è «ci penserò».54
4.2 Lea Melandri e la pratica dell’inconscio
In Non credere di avere dei diritti si menziona anche la nascita della pratica dell’inconscio.55 Intrapresa da alcune presenti agli incontri francesi, tra le quali Lia Cigarini, è a Lea Melandri che si deve la raccolta dei documenti e il lavoro di pensiero che sviluppano e tratteggiano questa pratica. Anche Melandri parla dell’incontro con il gruppo di Fouque e subito mette in evidenza la necessità di «riportare all’interno dei rapporti fra donne la pratica analitica».56 La declinazione del rapporto tra femminismo e psicoanalisi si formula con ulteriore precisione:
È una scelta politica la cui ragione è facile da indicare: nella lotta per la nostra liberazione troviamo un nodo problematico, la sessualità, il corpo. Se si decide di non passare oltre con trovate ideologiche, è inevitabile fare i conti con la psicoanalisi […] L’unica innovazione portata in partenza è questa: il rapporto analitico
non farà riferimento né esplicito né implicito all’istituzione psicanalitica, si situa invece nel movimento delle donne, cioè in un contesto di rapporti tra donne, che è la nostra politica.57
Non dunque una reciproca interrogazione tra politica e psicoanalisi, come intendeva Fouque, e neanche, per certi versi, una rielaborazione attraverso pratiche femministe, bensì più esplicitamente una priorità della politica delle donne. Una priorità che deve essere tanto più forte, quanto più forte è la frequentazione della pratica psicoanalitica vera e propria. Si tratta dunque di una pratica di parola che accentua quanto rilevato da Schiavo a La Tranche: scavare dentro il racconto delle vite per vedere ciò che trapela ma che non viene detto, la necessità di approfondire il rapporto inconscio-coscienza, di analizzare la conflittualità ma anche le fantasie, i desideri, le paure che emergono dalla frequentazione di donne tra loro.58
L’iniziativa parte da due gruppi milanesi: il gruppo di analisi – che diventerà il gruppo n. 4, autore di Più donne che uomini, il «Sottosopra» del 1983, manifesto che porta a compimento il pensiero della differenza sessuale in Italia – e il gruppo di pratica dell’inconscio che si evolverà in un gruppo su sessualità e scrittura, quale precedente per la Libera Università delle donne e la rivista «Lapis».59Melandri racconta come le iniziatrici dei due gruppi siano Lia Cigarini e lei stessa e riporta la discussione di avvio sul metodo con cui affrontare l’intreccio tra psicoanalisi e politica.60 Per entrambe, la pratica dell’inconscio si presenta come un’istanza antisistematica, più attenta ai gesti che alle formulazioni esaustive: si inaugura un’idea di politica che potremmo definire oggi una politica della singolarità e dell’esperienza, distinta da una politica collettiva su grandi temi esteriorizzati.
I punti che emergono dalle trascrizioni degli incontri di lavoro ci rimandano agli sviluppi del loro lavoro politico. In particolare, infatti, Cigarini mette l’accento sulla dimensione duale della relazione e sollecita una riflessione sull’autorità dell’analista, che è fatta di silenzio più che di interpretazioni, e di come questa “speciale” relazione si svolga comunque all’interno del gruppo, che può riappropriarsi del senso di questa disparità discutendo dei risultati emersi dall’analisi. Melandri, per parte sua, sottolinea i rischi implicati dall’accentuazione del rapporto duale rispetto a quello di gruppo, che suggerisce di tenere separati, e registra la difficoltà di tradurre i vissuti personali più profondi in una comunicazione allargata.61 In effetti, mentre Cigarini sarà autrice, insieme ad altre, dell’idea di un ordine simbolico femminile, basato sulla relazione e sulla scoperta di una dimensione generativa e non mortificante della disparità; Melandri svilupperà la sua ricerca su due assi principali: l’inassimilabilità delle passioni profonde da parte della politica e il rapporto
tra storia individuale e dimensioni collettive.62
4.3 Carla Lonzi e Rivolta femminile. Dalla cultura agli interlocutori, passando per una tabula rasa
Sebbene Carla Lonzi e il gruppo Rivolta femminile siano coinvolti nella temperie d’esperienza di questi primi anni ’70, come emerge dai loro scritti, rimane fermo il rifiuto della psicoanalisi come strumento politico – «Facciamo atto di incredulità verso il dogma psicoanalitico che attribuisce alla donna in tenera età il senso di partire in perdita per una angoscia metafisica della sua differenza»63 – e il mantenimento della pratica dell’autocoscienza. L’autocoscienza, in Rivolta femminile, accentua il riferimento, non tanto al gruppo, ma alle relazioni duali e al momento di riconoscimento e restituzione che lì può avvenire – «Non parlare con me se hai “fatto autocoscienza”. L’autocoscienza è l’altra»64 –, valorizza la dimensione di autenticità che viene ricercata e tuttavia viene tenuta ben distinta da altre forme di espressione dell’intimo. È piuttosto, come afferma il secondo Manifesto di Rivolta femminile, avventura: «Avventura e ideologia sono incompatibili. La mia avventura sono io»,65 un io che si confronta con il mondo da una posizione critica incarnata, praticata –
un logorare i legami inconsci con i canoni culturali e i relativi valori. Attraverso le tracce scritte, che permettono di collocare in modo più ravvicinato gli intrecci tra partecipazioni diverse a questo periodo di volta, è possibile valutare le ragioni di questa dissonanza. Il primo testo è l’intervista di Michèle Causse a Carla Lonzi nel 1976. Causse è parte del progetto delle Editions des femmes, create da Antoinette Fouque, ed è tra le partecipanti all’incontro che si svolge a Parigi nel 1977 al centro culturale italiano – con Dacia Maraini e Maria Antonietta Macciocchi, Julia Kristeva, Luce Irigaray e Hélène Cixous.66 L’intervista a Lonzi mostra una certa lettura della pratica dell’autocoscienza che è insieme distruzione e costruzione di un nuovo punto di partenza.
Le femministe che si affannano a dimostrare l’utilità della psicoanalisi per la liberazione delle donne […] traggono questa preoccupazione da un’identificazione culturale […] Il mio primo bisogno come femminista è stato quello di fare tabula rasa delle idee ricevute, una tabula rasa dentro di me per privarmi delle garanzie
offerte dalla cultura, convinta che le certezze acquisite nascondono un veleno paralizzante […] strada all’autocoscienza, al discorso in prima persona. L’autenticità di questi testi è che riposano su un vissuto […] e dunque ho affermato tutto sul vuoto […] su questo vuoto, che era me stessa, potevo finalmente ascoltare la mia voce interiore […] È soltanto dopo aver ascoltato la propria voce interiore che si possono avere tutti gli interlocutori possibili […] qualcuno che puoi ascoltare senza lasciarti determinare […] avendo appiglio in te stessa […] non è più “cultura”, sono interlocutori.67 Autocoscienza dunque come tabula rasa dei miti – il mito essendo il valore «che viene attribuito a una cosa da chi non la fa»68 – che ciascuna porta dentro di sé. Nel testo, che verte per l’appunto sul Mito della proposta culturale,69 Lonzi, in un dialogo serrato con alcuni scritti di Lea Melandri e il suo lavoro sulla psicoanalisi, conclude:
Secondo la mia esperienza si sta male fra donne quando questa scelta di autonomia è ambigua, quando l’uomo è presente, ma nascosto da una connivenza ideologica. Si comincia a stare bene fra donne quando il problema è ammesso, segno che il bisogno di autonomia non si presenta più come un dover essere, un dover dimostrare, ma come ricerca di sé e della coscienza di sé.70
Figura di questa autonomia è, in risonanza con i percorsi sulla sessualità femminile del periodo, «la donna clitoridea», che Rivolta femminile puntualizza con grande realismo:
La donna clitoridea non è la donna liberata, né la donna che non ha subito il mito maschile – poiché queste donne non esistono nella civiltà in cui ci troviamo – ma quella che ha fronteggiato momento per momento l’invadenza di questo mito e non ne è rimasta presa.71
Non è infine un caso che il percorso di liberazione nominato con la figura della donna clitoridea rimandi anche all’esperienza della sessualità tra donne: sviluppo di una sessualità non specificamente procreativa, ma polimorfa […] con ogni prevedibile e imprevedibile fluttuazione nell’assetto eterosessuale dell’umanità.72
5. In breve
Un incontro che si presenta come un evento, un momento spartiacque nella politica degli anni ’70, con le sue promesse di sviluppi e di conflitti. Nella messa a confronto tra il sapere psicoanalitico e la politica del femminismo emergono alcuni precisi punti. Si può lavorare politicamente utilizzando se stesse come materia prima – è il notissimo «il personale è politico».73 Non si tratta però di un’impresa individuale, che avviene piuttosto e necessariamente in relazione. La presa di parola in relazione è pratica per eccellenza, che tiene conto del legame, non pacificato, tra corpo e parola, e dunque esercita l’attenzione non solo sul detto, sull’esplicito, ma anche su quel che si mostra pur non passando attraverso l’espressione verbale. Nel rifiutare l’assunzione di istanze politiche già costruite, le donne partono dall’esperienza singolare di ciascuna, con la pretesa però che questa esperienza sia lo strumento per intervenire, non sulle condizioni, bensì sulle strutture stesse di un ordine che produce la subalternità femminile. Alla radice di questi effetti si trova la (im)possibilità della relazione tra donne, a partire da quella tra madre e figlia. Una relazione che si genera e si esprime attraverso il corpo e, in particolare, nella sua intensità passionale, il desiderio. Si apre dunque il lavoro sulle tante esperienze del corpo e del desiderio femminile, dalle forme coatte della sessualità fondate sul primato maschile – piacere vaginale, parto-aborto – alla liberazione dell’amore di una donna per un’altra. Il godimento, o meglio, il “desiderio femminile” diventa così l’esperienza che è al contempo la più corporea e la più carica di politica, là dove porta a mettere in questione le “misure” dei saperi e degli ordini di convivenza, i valori che pretendono di organizzare la vita comune. Ultimo tratto, conseguente e di particolare interesse, oggi che torna l’idea di un sapere “oggettivo” e quantificabile, è la pratica che inverte o riconnette in modo inedito il rapporto tra teoria e politica: non il mito di una maggiore cogenza della prima, non uno scambio tra due piani ugualmente legittimi, bensì l’esperienza condivisa che cerca risorse per poter esprimere con sempre maggiore ricchezza e precisione le proprie urgenze.
1. Kathie Sarachild, Feminist Consciousness Raising and “organizing” e Ann Koedt, The
Myth of vaginal orgasm, entrambi in Voices from Women’s Liberation, a cura di Leslie Barbara
Tanner, New York, Signet, 1971, pp. 154-157 e 157-166; Antonella Nappi, Movimento a più voci. Il movimento degli anni Settanta attraverso il racconto di una protagonista, Milano, Fondazione
Badaracco-Franco Angeli, 2002; Luisa Passerini, Corpi e corpo collettivo. Rapporti internazionali
del primo femminismo radicale italiano, in Il femminismo degli anni Settanta, a cura di Teresa
Bertilotti e Anna Scattigno, Roma, Viella, 2005, pp. 181-197, p. 185.
2. Una compagna di Milano, La Tranche un incontro internazionale, una vacanza al mare,
in Libreria delle donne di Milano, Esperienze dei gruppi femministi in Italia, in «Sottosopra»,
Milano, Libreria delle donne di Milano, 1973, pp. 18-19, p. 18. Maria Schiavo attribuisce questo
testo e il successivo, Nudità, ad Antonella Nappi, nel suo Movimento a più voci, p. 59.
3. Carolyn Greenstein Burke, Report from Paris. Women’s Writing and Women’s Movement,
in «Signs», 3 (1978), pp. 843-855.
4. Lea Melandri, Una visceralità indicibile. La pratica dell’inconscio nel movimento delle
donne degli anni Settanta, Milano, Fondazione Badaracco-Franco Angeli, 2000, p. 63.
5. Schiavo, Movimento a più voci, p. 59.
6. Fouque fonderà nel 1973 le Editions des Femmes a Parigi, luogo politico che rappresenta
anche una figura di passaggio nella storia interna dello stesso MLF. Cfr. Maité Albistur, Daniel
Armogathe, Histoire du féminisme français. Du moyen age à nos jours, Paris, Editions des
femmes, 1977.
7. Schiavo, Movimento a più voci; Libreria delle donne di Milano,Esperienze dei gruppi
femministi in Italia; Libreria delle donne di Milano, Non credere di avere dei diritti, Torino, Rosenberg
& Sellier, 1987; Melandri, Una visceralità indicibile; Passerini, Corpi e corpo collettivo;
Dal movimento femminista al femminismo diffuso. Storie e percorsi a Milano dagli anni ‘60 agli
anni ‘80, a cura di Anna Rita Calabrò, Laura Grasso, Milano, Fondazione Badaracco-Franco Angeli,
2004 (seconda ed.).
8. Libreria delle donne di Milano, Esperienze dei gruppi femministi in Italia.
9. Una compagna di Milano, La Tranche, p. 18.
10. Ibidem.
11. Una compagna di Milano, Nudità, in Libreria delle donne di Milano, Esperienze dei
gruppi femministi in Italia, pp. 19-20, p. 19.
12. Una compagna di Milano, La Tranche, p. 18.
13. Libreria delle donne di Milano, Non credere di avere dei diritti, p. 42.
14. Schiavo, Movimento a più voci, p. 60.
15. Passerini, Corpi e corpo collettivo, p. 191.
16. Rivolta femminile, Per l’identificazione di Rivolta femminile, in Libreria delle donne di
Milano, Esperienze dei gruppi femministi in Italia, pp. 24-25, p. 24.
17. Schiavo, Movimento a più voci, pp. 61 e 65.
18. Melandri, Una visceralità indicibile, p. 60.
19. Una compagna di Milano, La Tranche, p. 19.
20. Ivi, p. 18.
21. Una compagna di Milano, Nudità, p. 19.
22. Passerini, Corpi e corpo collettivo, p. 190.
23. Ivi, p. 191.
24. Calabrò, Grasso, Dal movimento femminista al femminismo diffuso, p. 72.
25. Una compagna di Milano, La Tranche, p. 18.
26. Passerini, Corpi e corpo collettivo, p. 191.
27. Françoise Picq, Libérations des femmes. Les années mouvement, Paris, Seuil, 1993.
28. Antoinette Fouque, I sessi sono due, Parma, Pratiche, 1999, Introduzione di Lia Cigarini,
p. 29.
29. Schiavo, Movimento a più voci, p. 62.
30. Jacques Lacan, Il seminario. Libro XX. Ancora. 1972-1973, Torino, Einaudi, 2011, nuova
edizione a cura di Antonio Di Ciaccia.
31. Fouque, I sessi sono due, p. 40.
32. Lacan, Il seminario. Libro XX. Ancora. 1972-1973, p. 46.
33. Ivi, p. 55.
34. Ivi, p. 70. La donna clitoridea e la donna vaginale è il titolo del celebre testo di Rivolta
femminile, in Lonzi, Sputiamo su Hegel e altri scritti, pp. 61-113.
35. Ivi, p. 99. Amo a te è il titolo di un’opera di Luce Irigaray. Allieva di Jacques Lacan, poi
allontanata dall’École freudienne da lui diretta, Irigaray utilizza la psicoanalisi in particolare nel
suo Speculum. Dell’altra donna. Così commenta Antoinette Fouque: «Mi ricordo della fascetta
editoriale su ogni esemplare di Speculum di Luce Irigaray: “il MLF riceve le sue prime giustificazioni
teoriche”. Che umiliazione, che offesa! Che bisogno avevamo di giustificazione? Quanto alla
teoria non avevamo cessato di produrla contemporaneamente all’azione, per sei anni», Fouque, I
sessi sono due, p. 156.
36. Ivi, p. 71. Questo filo di ricerca si trova in particolare nell’opera di Luisa Muraro: v.
ad esempio, Guglielma e Maifreda. Storia di un’eresia femminista, Milano, La Tartaruga, 2003;
Lingua materna e scienza divina. La filosofia mistica di Margherita Porete, Napoli, M. D’Auria,
1995; Le amiche di Dio. Scritti di mistica femminile, Napoli, M. D’Auria, 2001.
37. Fouque, I sessi sono due, p. 35.
38. Cfr. Tilde Giani Gallino, Psicanalisi e femminismo in Glossario. Lessico politico della
differenza, a cura di Aida Ribero, Torino, Centro Documentazione pensiero femminile, 2007, pp.
209-215.
39. Ivi, p. 35.
40. Fouque, I sessi sono due, pp. 34-35.
41. Ivi, p. 156.
42. Cfr. infra e Carla Lonzi, Sputiamo su Hegel e altri scritti, Milano, et.al edizioni, 2010
(edizione originale, Scritti di Rivolta femminile, Milano 1971-1974).
43. Cfr. infra e il testo fondativo di Monique Wittig, Il corpo lesbico, Roma, Edizioni delle
donne, 1976.
44. A proposito di una tendenza, in Libreria delle donne di Milano,Esperienze dei gruppi
femministi in Italia, p. 86.
45. Rivolta femminile, Manifesto, in Carla Lonzi, Sputiamo su Hegel e altri scritti, pp. 5-11,
p. 8.
46. Anabasi, Donne è bello, Milano, 1972.
47. Maria Gabriella Frabotta, Pratica dell’autocoscienza, in Lessico politico delle donne,
vol. 3, Teorie del femminismo, a cura di Manuela Fraire, Milano, Gulliver, 1978 (nuova edizione,
Fondazione Badaracco-Franco Angeli, Milano, 2002); si veda anche Calabrò, Grasso, Dal movimento
femminista al femminismo diffuso.
48. Libreria delle donne di Milano, Non credere di avere dei diritti, p. 41.
49. Lia Cigarini, La politica del desiderio, Parma, Pratiche editrice, 1995; Luisa Muraro,
L’ordine simbolico della madre, Roma, Editori Riuniti, 1991.
50. Libreria delle donne di Milano, Non credere di avere dei diritti, p. 43.
51. Così Lia Cigarini nella trascrizione riportata in Melandri, Una visceralità indicibile, p.
60.
52. De Lauretis, La pratica della differenza sessuale e il pensiero femminista in Italia, in
«dwf», 15 (1991), pp. 37-56; si veda anche Simonetta Spinelli, Il silenzio è perdita, in «dwf», 4
(1986), pp. 49-53, citato da de Lauretis.
53. De Lauretis, La pratica della differenza sessuale e il pensiero femminista in Italia, p.
53.
54. Ibidem.
55. Libreria delle donne di Milano, Non credere di avere dei diritti, pp. 47-50.
56. Melandri, Una visceralità indicibile, p. 63; in particolare i paragrafiLa pratica analitica:
incontro con Politique et psychanalyse; La pratica dell’inconscio: “critiche e commenti”; La
pratica avviata: Il “gruppo analisi” e il “gruppo dell’incosncio”, ivi, pp. 57-94.
57. Alcune femministe milanesi, Pratica dell’inconscio e movimento delle donne, in «erbavoglio
», 18/19 (1975), riportato in Melandri, Una visceralità indicibile, pp. 186-197.
58. Melandri, Una visceralità indicibile, p. 71.
59. Cfr. Laura Grasso, Uno “sguardo” nel femminismo milanese, in Calabrò, Grasso, Dal
movimento femminista al femminismo diffuso, pp. 63-126.
60. Melandri, Una visceralità indicibile, p. 71.
61. Ivi, pp. 60-62.
62. Altra raccolta a cui fare riferimento per la pratica dell’inconscio è Melandri, L’infamia
originaria. Facciamola finita con il cuore e la politica, Roma, Manifestolibri, 1997 (edizione originale Milano, Erba voglio, 1977).
63. Rivolta femminile, Sputiamo su Hegel, in Lonzi, Sputiamo su Hegel e altri scritti, p. 35.
Cfr. anche “Il femminismo, per la donna, prende il posto della psicoanalisi per l’uomo”, in Rivolta
femminile, La donna clitoridea e la donna vaginale, ivi, p. 72.
64. Rivolta femminile, Secondo manifesto di Rivolta femminile. Io dico io, in Marta Lonzi,
Anna Jaquinta, Carla Lonzi, La presenza dell’uomo nel femminismo, Roma, Scritti di Rivolta
femminile, 1978, p. 9.
65. Ivi, p. 7.
66. Cfr. Burke, Report from Paris, p. 848.
67. Lonzi, Perché si sappia, in Rivolta femminile, È già politica, Roma, Scritti di Rivolta
femminile, 1977, pp. 104-105.
68. Ivi, p. 107.
69. Lonzi, Mito della proposta culturale, in Lonzi, Jaquinta, Lonzi, La presenza dell’uomo
nel femminismo, pp. 137-141.
70. Ivi, p. 143.
71. Rivolta femminile, La donna clitoridea e la donna vaginale, p. 92. Mio il corsivo.
72. Rivolta femminile, Sessualità femminile e aborto, in Lonzi,Sputiamo su Hegel, p. 59.
73. Fraire, Il personale è politico, in Lessico politico delle donne, a cura di Manuela Fraire;
Materiali del movimento femminista, Il personale è politico, in «quaderni di lotta femminista», 2,
Torino, Musolini, 1973.