INTRODUZIONE
Immagino che a un certo punto dovrò affrontare argomenti come “sesso”, “genere”, “giustizia” con i miei figli. Arriverà il giorno in cui dovrò spiegare cosa sia il femminismo e perché esiste.
«Il problema del femminismo ha fatto versare abbastanza inchiostro, ora è pressoché esaurito: non parliamone più. Tuttavia se ne parla ancora. E non pare che le voluminose sciocchezze spacciate durante l’ultimo secolo abbiano fatto gran luce sul problema. D’altra parte è davvero un problema? Qual è?»
(Simone De Beauvoir, 1949, Il secondo sesso, pg. 13)
Magari con i pargoletti non userò alla lettera questa citazione, però se dovessi scegliere oggi una citazione che racchiuda la mia esperienza all’interno di questo laboratorio, sceglierei questa perché contiene il punto centrale. O almeno quello che per me lo è stato.
Siamo stati indirizzati dalle parole di Simone De Beauvoir, Carla Lonzi; abbiamo ascoltato docenti, un tema alla volta, citazione per citazione. Penso sia stato inevitabile uscire ogni volta dalla lezione con una serie di idee, domande, questioni su cui riflettere anche per la propria esperienza personale. Ci è stato chiesto di scavare nella nostra storia di genere. Creare un dialogo esponendoci senza timore di risultare banali. Riconoscere altre donne che, come noi, stanno combattendo o cercando risposte. Non è da sottovalutare lo sguardo, la mente che elabora. Ci siamo trovate ad essere delle spugne. Io lo sono stata. Ho ascoltato, preso appunti, immaginato, ragionato.
Al mio elaborato finale voglio dare un carattere semplice, personale, così come ho fatto per ogni elaborato steso a fine incontro. Voglio dare rilievo alle mie idee in modo da mettermi in gioco. Scelgo di farlo come so fare meglio, almeno spero: scrivere pagine di diario. Mettere nero su bianco parole, una dietro l’altra che abbiano sì, un filo logico ma seguano di pari passo le impressioni, idee e commenti che ho avuto nel corso dei sette incontri.
Giorno 1:
È il 3 marzo. Al primo incontro le parole chiavi sono state sesso/genere/relazione.
«La parola sesso funziona come uno stigma […] è un marchio infamante». Perché la parola sesso fa così tanto scalpore?
La frase sopra è chiaramente da prendere e introdurre in un contesto storico diverso da quello in cui viviamo ora, però non capisco e mi domando come mai appena ho sentito questa frase mi sono venute in mente una serie di episodi che sono più che attuali. C’è una vera e propria analogia o la vedo solo io? Simone De Beauvoir scrive in un periodo in cui la donna era: legata all’uomo, senza una vita davvero sviluppata, ferma in uno stadio di infantilità. E oggi? Se Simone De Beauvoir vivesse oggi, scriverebbe diversamente del sesso?
“Sesso”, parola che a quanto pare è da tenere a distanza di sicurezza dalla parola “donna”. Le donne però non sono meno degli uomini in fatto di sesso.
Il bisogno di cibarsi è presente in un soggetto maschile ma anche in quello femminile. Il bisogno di dormire come sopra. Ma allora il sesso è un bisogno? Se sì, perché le donne non dovrebbero averlo?
Oggi le donne hanno paura di affrontare l’argomento: non si sentono di poter commentare un fatto riguardo il sesso o raccontare un atto sessuale. “Sesso” è una parola tabù ma solo se pronunciata dalla bocca di una donna. Sguardo al passato: il “rapporto Kinsey” dal quale risultò una certa frigidità della donna. Non si parlava di donne che non provavano piacere ma di sesso non posto sul piano del piacere. Ovviamente non posso commentare il risultato passato perché non ero lì e non ho vissuto quel determinato periodo storico. Io sono qui, nel duemiladiciassette e rifletto: ma va, proprio la stessa accusa che fanno oggi alle donne!
Oggi la donna è frigida perché non fa sesso come l’uomo. Sono stata catalogata frigida perché ritengo che non mi serva un uomo per soddisfare i miei piaceri sessuali. Vivere e soprattutto parlare di sesso per una donna è vivere all’interno di un cerchio di fuoco che mano a mano si stringe, genera scintille, poi fiamma, poi ancora più fuoco. Come è possibile che nel duemiladiciassette ancora non sia possibile parlare liberamente di sesso tra amiche? Io lo faccio ma appena il “salotto” si riempie anche di uomini molte mie amiche chiudono la bocca.
Piccola parentesi in cui racchiudo una mia riflessione personale: all’uomo piace che la donna parla di sesso ma lo tollera fino a un certo punto.
L’uomo ha come potere la virilità e se questa manca non è più uomo (o comunque non ci si sente). Ora, la donna che parla di sesso può farlo in due modi di fronte all’uomo: 1) parlare in modo ammiccante, provocatorio, per ottenere attenzioni; 2) perché si sente libera di affrontare l’argomento in quanto considerato naturale. Non chiede particolari attenzioni, magari un confronto.
A questo punto però la reazione dell’uomo può essere: 1) la donna provocante piace, vuole attenzioni? E attenzioni avrà. 2) l’uomo vede davanti a sé una donna sicura, che sa quel che dice e si chiude. Ma non solo, la giudica! Che donna è una che parla come farebbe un uomo?
L’uomo non riconosce più la donna se questa questa esce dal suo pacchetto preconfezionato, da tutti quei ruoli conosciuti e fatti a puntino per la donna: la madre, la moglie, la figlia, la sorella, l’amica ecc.
Ruoli che in ogni caso prevedono il silenzio in fatto di sesso. Le carte in tavola cambiano!
Giorno 2:
È il 10 marzo. Questa volta le parole chiavi sono natura/cultura/artificio.
In primo luogo va spiegata la differenza tra qualcosa che ha natura fissa e che quindi è per sempre, la natura; e invece qualcosa che può cambiare quindi la cultura.
La differenza mi ha colpito perché non avevo mai ragionato in questi termini. In altre parole non avevo mai dato una definizione né tanto meno sottolineato una differenza basandomi sul fattore cambiamento che a quanto pare per la natura è pari a zero. Il naturale resta tale per sempre e diventa norma mentre la cultura interviene sui corpi e ne definisce il genere. Il corpo umano in questo senso è visto come confine culturale fino a ottenere una sua identità. Però, come si attribuisce un genere?
Personalmente ritengo ambiguo ma corretto l’uso di molte culture di non attribuire il genere fino ad un certo momento (il cosiddetto rito di passaggio). Un bambino o una bambina non è tale ma neutro fino a un certo momento della sua vita. Il fatto che io ritenga corretto un simile comportamento è spiegato dalla mia idea che ho sulla questione “genere” però riferito ai bambini. Femmina è rosa, maschio è blu. Mi è sempre sembrato un limite questo accoppiamento. Un limite però che sembra essere una sorta di regola sociale scritta. Alla domanda “perché rosa se è femmina?” addirittura c’è chi arriva a rispondere “perché è così, è naturale!”.
A tal proposito vorrei fare un collegamento con la mia personale storia di genere.
Mi sono trovata davanti a delle domande alle quali rispondere. Domande scritte da me, insieme ad una mia compagna di corso. Ci siamo messe in discussione e ciò che ne è uscito è stato un bel dialogo dove confrontarsi e conoscersi. Di seguito ho scelto di inserire due delle cinque domande (e le mie relative risposte) sulle quali abbiamo lavorato.
D: Quali sono le caratteristiche per cui ti senti donna?
R: Non saprei se ho una caratteristica che possa giustificare il mio essere donna. Di certo non mi sento donna perché alla nascita mi è stato dato il fiocco rosa. Sono convinta che essere donna vada oltre le caratteristiche fisiche e oltre i noti (e banali) stereotipi. Per esempio, il fisico non sempre è dalla nostra, c’è chi si lamenta dei kg di troppo, chi si lamenta dei piedi troppo grandi, chi sta interi pomeriggi a farsi fare la manicure. Però tutto sommato questi sono “problemi” che vengono affrontati anche dagli uomini, quindi forse la differenza non sta in questo. Dal punto di vista psicologico, la donna può essere più o meno sensibile, l’uomo anche; più o meno cortese, l’uomo anche. Quindi la differenza, forse, non è anche qui. Parlare di caratteri biologici mi sembra abbastanza banale. Quindi? Sto girando troppo intorno alla domanda perché è più difficile di quanto si pensi. Io, donna.
Io sono donna perché la mattina mi alzo e metto subito in moto il cervello. Organizzo, decido, studio, scrivo. Secondo me essere donna significa essere multitasking. Ecco, per questo mi sento donna, perché sono multitasking.
D: Se dovessi fare un esempio del perché non sei un uomo, quale faresti?
R: Non sono mai stata la più delicata tra le bambine, anzi. Da piccola giocavo a calcio con i miei amici in piazza: stavo in porta ed ero bravissima perché non mi importava di rovinare i pantaloni, mi buttavo e paravo. Le altre bambine mi guardavano male ma io mi divertivo da matti! Ma c’è sempre stata una cosa per cui mi differenziavo dai maschietti che giocavano con me: io chiedevo scusa quando sbagliavo. Questa caratteristica in me è rimasta ancora oggi perché mi metto in discussione e se sbaglio, lo dico. Ho notato invece che gli uomini faticano davvero tanto ad ammettere di avere torto!
Giorno 3:
È il 17 marzo. L’incontro è fondato su tre parole chiavi, tradizione/memoria/oblio. Ciò che è tradizione è trasmesso su piano istituzionale a differenza di ciò che è memoria.
Oblio invece è una parola da prendere con cautela e analizzarla, a mio avviso, secondo vari punti di vista.
Oblio è dimenticare: «dimenticare è importante e l’oblio è una virtù civica». Spesso mi sono ritrovata a pensare, in situazioni personali, “meglio dimenticare piuttosto che soffrire” perché la mente che dimentica, non duole al cuore. Raramente però poi sono riuscita perché la parte razionale non è sempre la predominante. Ecco quindi la mia riflessione: la parte razionale delle persone che si differenzia da quella emotiva. Come è possibile dare spazio all’oblio? Oblio è parte del razionale?
Rimuovere un giorno dal calendario è davvero dimenticare? Una cosa prima c’è, poi non c’è. La domanda però viene da farsela “ma perché non c’è più?” e quindi ricordo. Se passo dal giorno 1 al giorno 3, mi viene da chiedere cosa sia il 2 e quindi ricordo (per riprendere l’episodio di Atena).
Dall’altra parte però si potrebbe ragionare considerando che se ricordo il giorno due allora significa che voglio riaccendere un conflitto, la parte che duole e che va dimenticata. Quindi l’oblio è un pericolo, dimenticare lo è.
Da qui un altro spunto di riflessione: memoria, donne, violenza.
La donna è colei che ha memoria (che non dimentica) e in quanto tale è una razza esterna: colei che turba l’equilibrio. Donne che sono custodi della memoria e per questo vanno allontanate. La donna non si ferma davanti all’oblio. Probabilmente ieri come oggi.
Giorno 4:
È il 24 marzo. Seguire questo corso mi sta rendendo consapevole e mai come in questo quarto incontro l’ho capito. Siamo di fronte a una delle parole chiave del femminismo ed è alla conferenza mondiale di Pechino (1995) che viene introdotta; c’è chi parla di attribuzione di potere da to empower ossia attribuire, conferire. Alla ricerca di una sua propria definizione, si fa confusione ma si rende anche possibile una riflessione.
Personalmente non avevo mai sentito questa parola prima dell’incontro e sono rimasta perplessa inizialmente perché dato il mio carattere, ordinario e preciso, mi destabilizza non avere una precisa definizione di un concetto. In ogni caso, come già detto, seguire questo corso mi ha anche permesso di mettermi in gioco, conoscere ciò che non conoscevo, approfondire, non rimanere ferma.
«Empowerment: in pedagogia e psicologia sociale, processo di riconquista della consapevolezza di sé, delle proprie potenzialità e del proprio agire.»
(Definizione di Garzanti Linguistica)
Io donna so quali sono le mie potenzialità? Purtroppo spesso siamo talmente tanto soffocate dalla società che non solo non le mettiamo in luce, ma dimentichiamo di averne!
Conosco donne forti non consapevoli di esserlo. Donne che non solo si fanno sovrastare dalle opinioni di uomini, ma anche di altre donne. A mio avviso, non c’è cosa peggiore di una donna che mette in cattiva luce un’altra donna. Riconquistare la consapevolezza di sé può essere un obiettivo da portare a termine ma credo che sia necessaria la collaborazione tra donne. Solo una donna sa cosa significa combattere per la parola perché è la donna stessa che viene zittita e resa inerme. Voglio cercare altre donne, riconoscermi in esse e soprattutto sentirmi libera di avere sempre la consapevolezza di chi sono e cosa sono capace di fare.
Giorno 5:
«Il femminismo inizia quando una donna cerca la risonanza di sé nell’autenticità di un’altra donna»
(Carla Lonzi, 1982, Sputiamo su Hegel)
In generale mi piace l’idea di una donna che trova in un’altra una sua complice. Parlare tra donne. Riconoscersi e incontrarsi.
L’essere donna deve essere messo in primo piano ma ancora di più per uscire dal grande e buio tunnel, la donna deve poter essere protagonista di un cambiamento della posizione femminile nella storia. Sono convinta che la donna possa davvero arrivare ad ottenere questo cambiamento (perché ancora oggi c’è qualcosa da cambiare!). Il problema è come arrivarci. Per collegarmi allo scorso incontro: la donna deve arrivare a riconquistare, là dove non vi è, la consapevolezza di sé. Quale miglior modo per farlo se non con l’aiuto di un’altra donna?
«Un’altra donna, clitoridea, mi ha riconosciuta come donna clitoridea […] Adesso so chi sono e posso essere coscientemente me stessa»
(Carla Lonzi, 1982, Sputiamo su Hegel)
Mi piace riconoscermi tra donne, non considerarle mie nemiche. E mi fa riflettere l’abitudine di oggi che abbiamo di accusarci tra donne. Siamo abituate a vedere la donna davanti a noi come il nemico. Non ci accorgiamo che in questo modo andiamo contro noi stesse ma incontro alla società. Perché? Realty, talk show, sono i primi a progettare dei veri e propri ring dove a scontrarsi sono le donne contro altre donne.
Un altro concetto che mi ha colpito è quello riguardante l’autodeterminazione connesso all’idea di corpo. Io posso decidere cosa è per meglio per me, quindi per il mio corpo. La donna può farlo perché può autodeterminarsi. Quando negli anni Settanta si comincia a discutere dell’aborto, per esempio, è il primo segno che qualcosa può cambiare perché se la donna può abortire significa che può decidere. A questo punto la mia mente si aziona, collego, e rifletto: le donne che si riconoscono, riconoscono i rispettivi corpi e la rispettiva possibilità di scelta. Questo è giusto.
Giorno 6:
È il 7 aprile, le parole chiavi dell’incontro sono giustizia/diritto/diritti. A primo impatto le tre parole possono essere considerate troppo simili ma va specificato che «la legge definisce tutto ciò che è lecito ma non per forza ciò che è ritenuto giusto.»
A questo punto però vorrei chiarirmi le idee su cosa sia per me la giustizia. Da bambina, quando io e la mia amica facevamo i compiti insieme e lei copiava da me, capitava che io prendevo ottimo, lei buono. Questo direi che è giusto. Ovviamente è un esempio molto sciocco, però domandandomi cosa sia per me la giustizia, mi sono trovata davanti ad una strada in cui dover analizzare il concetto anche in base al tempo e allo spazio.
Lo scorso anno, in un mio elaborato per il corso Filosofia, società e comunicazione scrivevo:
«Oggi, invece, definiamo giustizia ciò che non è sbagliato, non solo per legge, ma anche dal punto di vista etico. Non riteniamo giusti gli atti violenti verso persone e/o cose, ma allo stesso tempo riteniamo ingiusto ingannare o tradire. Quando vediamo qualcosa di sbagliato, ci appelliamo alla giustizia, chiedendo ad essa di compiere la decisione finale; c’è chi la comprende e la mette in campo, ma c’è anche chi, in nome della giustizia stessa, compie gesti errati.»
A distanza di un anno e alla luce di ciò che questo laboratorio mi ha portato a considerare, ritengo che la mia idea passata non si differenzia poi così tanto da quella presente.
Il punto è che il tema giustizia, a mio avviso, va esposto con delicatezza. Ci sono punti da affrontare in maniera approfondita. Ci sono opinioni da non considerare affatto. Ci sono ragionamenti da prendere come esempio.
«La libertà e la giustizia consistono nel restituire tutto quello che appartiene agli altri; così l’esercizio dei diritti naturali della donna ha come limiti solo la tirannia perpetua che l’uomo le oppone; questi limiti devono essere riformati dalle leggi della natura e della ragione.»
Olympe De Gouges, 1791, La dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, Art. IV
Ho riportato questo articolo per due motivi: il primo è che ogni qual volta mi soffermo sulla parola giustizia la collego alla parola donna; il secondo è che, dato il primo, non posso fare a meno di citare Olympe de Gouges, donna ma soprattutto martire del libero pensiero.
In ogni caso, oggi viviamo in una società in cui si fa difficoltà a riconoscere il diritto, figuriamoci la giustizia!
Fondamentalmente la difficoltà si riscontra nel momento in cui ci si sente dentro la questione. Al di là dell’essere donna o uomo. Ritengo che spesso sia difficile ammettere che un fatto/atto sia giusto o sbagliato se la persona che lo commette è una persona a noi vicina. Razionalità vs. emozione, è questo il problema. Qui ci sarebbe da aprire una grande parentesi ma rischierei di finire fuori tema.
Giorno 7:
È il 21 aprile ed è l’ultima lezione. Un po’ mi dispiace. Le parole chiave sono affettività/sessualità/parentela. Come già detto, questi incontri mi stanno dando modo di riflettere e fare la spugna: assorbo quante più informazioni, ascolto e rifletto. Questa volta mi vorrei concentrare sulla questione coppia come «forma di relazione naturalizzata in quanto espressione dell’Amore».
Ci sono dei criteri con cui riconosciamo questa relazione: la priorità che si dà al partner su tutto il resto, la proiezione al futuro, la preoccupazione di soddisfare i bisogni dell’altro. L’Amore considerato come naturale, universale e intrinsecamente buono.
Io mi trovo a far parte di una coppia da tre anni a questa parte ma sono stata per lungo tempo il non ancora dei miei parenti, tra i cugini ero l’unica non ancora “accasata”, è stato abbastanza frustante. Col senno di poi posso dire che rimanerci male e soprattutto dubitare che sia vero ciò che dicono gli altri è un comportamento errato.
Penso che il disagio debba più che altro farsi sentire a chi pone domande come: “ma perché non sei fidanzata, sei così bella, ma stai bene?”
Ognuno di noi ha la possibilità (per fortuna direi!) di potersi conoscere in primo luogo come persona singola. Conoscersi, apprezzarsi e prendere in considerazione che si può trovare un equilibrio anche stando soli. Per molti anni ho avuto la possibilità di dimostrare a me stessa di essere in grado di bastarmi. Stare in coppia è bello, non c’è assolutamente nessuna vena critica nelle mie parole, ma parlo e mi permetto di esprimere un giudizio proprio oggi che so come si vive in un modo ma anche nell’altro.
CONCLUSIONI
Seguire questo percorso mi ha dato modo di comprendere che non ho fatto abbastanza, non conosco abbastanza. Credo che tutto ciò che ho appreso dal tre marzo ad oggi, non debba rimanere ad impolverarsi nel mio cervello. Non possiamo fermarci, non si può usare come scusante o giustificazione il fatto di essere donne e quindi spesso discriminate. Le carte in tavola non solo possono cambiare ma possiamo cambiarle noi!
Al termine della prima lezione ho pensato “come mai non si parla abbastanza di questo negli altri corsi di studio?”, so che la risposta è abbastanza scontata perché le materie trattano di argomenti diversi ed è giusto che sia così. Resto dell’idea, però, che questo laboratorio, alcune lezioni in particolar modo, mi abbiano portato a riflettere anche in termini sociologici, psicologici, anche linguistici. Si dice che l’università faccia bene perché apre la mente, ecco, io sono uscita da questo corso più ricca di nuovo materiale, idee, confronti con altre donne. Sono stata una spugna ed è stata un percorso formativo che consiglierei a chiunque (anche ai più scettici!).