Di Anna Simone
La letteratura giuridica, socio-giuridica, femminista e pamphlettistica che si è andata diffondendo negli ultimi anni attorno al tema, di grande attualità, della violenza maschile contro le donne, è spesso stata ed è ancora molto poco attenta agli innesti complessi che la lettura e l’interpretazione del fenomeno dovrebbe suscitare. Si passa da un’impostazione interamente basata sulla vulnerabilità femminile e sulla “vittimologia” ad una impostazione solo di ordine legislativo, da un bisogno linguistico di coniare nuovi termini ad una messa a tema solo gridata o di stampo “opinionista”. Il volume di Ilaria Boiano, invece, (Femminismo e processo penale. Come può cambiare il discorso giuridico sulla violenza maschile contro le donne, Ediesse 2015), oltre ad essere il testo più completo sotto il profilo teorico, esperenziale e giuridico che finora sia mai stato scritto sull’argomento, ha il pregio straordinario di innestare teoria femminista e cultura giuridica interna ed esterna senza mai cedere alla banalità o a letture unidirezionali. Nonostante all’interno del volume, frutto di una lunga ricerca di dottorato, si possa accedere alla comprensione della genealogia dei termini femicidio/femminicidio, ormai talmente abusati dalla doxa da essere diventati quasi indifferenti all’opinione pubblica, tranne qualche processo di “notiziabilità” di un caso specifico tra altri, Ilaria Boiano mette subito le cose in chiaro: meglio usare l’espressione “violenza maschile contro le donne” per individuare meglio il chi e il cosa di cui si parla che, appunto, femminicidio. Così come colpisce in positivo il bisogno di specificare il posizionamento esperenziale dell’autrice: avvocata, studiosa di diritto penale e femminista. Una ricerca legata alla postura del “femminismo giuridico”, così come articolato e coniugato su questo sito, che tesse senso tra esperienza, discorso critico sul diritto, sulla ricerca, ma anche tentativo riuscito – con innumerevoli esempi – di torcere dall’interno la stessa articolazione solo formalista e procedurale del giuspositivismo giuridico. Citando Lia Cigarini, l’autrice del volume ci dice che aveva bisogno di rendere giustizia a “quella parte muta” di sé che spesso ci rende scisse nei luoghi dominati da una certa organizzazione del potere: “Nello studio delle varie materie giuridiche, infatti, mi mancava la parola, così come mi mancava nelle situazioni collettive di tentativi, ancora immaturi, di partecipazione politica”. Il nodo principale che si tesse in questo libro è legato, nella prima parte, a come pensare -da parola femminista- il rapporto con il diritto. Eppure la posizione critica del pensiero femminista della differenza rispetto alle leggi e al diritto non viene qui giocata come una rinuncia aprioristica ad occuparsi del discorso giuridico, dall’interno e dall’esterno. Si ingegna, invece, in una nuova articolazione di parole per tentare di rifondare lo stesso diritto, sia nell’approccio che nel metodo, lavorando più sulla sua ri-valorizzazione in un’ottica interpretativa, esperenziale -nel senso di recupero del valore della controversia-, che nell’ottica della sua interpretazione. Riflessioni già assai presenti nel filone feminist legal theory (Stati uniti, Canada, Australia), nei lavori di Drucilla Cornell e nella già consistente giurisprudenza femminista. Anche qui Boiano si assume tutta la complessità del caso. Non si affida solo alla letteratura d’oltre oceano, ma la fa dialogare con il pensiero della differenza italiano, tenendo fermo il punto comune: le donne non come “oggetto” del diritto, ma come parte in causa. Il gesto fecondo è appunto quello di “riappropriarsi” delle discipline per rovesciarle a proprio vantaggio rigenerandole. Tante, tantissime le studiose prese in esame, oltre quelle già citate: da Catherine MacKinnon e le sue tesi sul diritto come mera emanazione di una cultura solo maschile a Carole Gilligan e alle sue tesi su un’etica della giustizia basata sulla relazione, sulla comprensione, sulla cura. Così come non risparmia un suo approccio critico nei confronti della logica delle Pari opportunità, intesa come riproposizione di un neutro fondato sulla mimesi, da parte femminile, del modello maschile dell’universalismo. Da penalista Boiano attraversa anche parte della letteratura criminologica, dagli studi sulla donna come Infirmitas Sexus, agli studi lombrosiani. In ambito criminologico, ad esempio, la cultura dell’antropometria e del positivismo registra un ritorno a partire dalle nuove tecnologie usate per le indagini, così come –in parallelo- si va sempre più diffondendo la branca di criminologia soft denominata “vittimologia”. Un sapere, in altre parole, che in entrambi i casi mira a de-soggettivare i corpi e l’azione sociale. Anche qui Boiano riesce a non essere banale e a non andare con l’accetta. Distingue la “vittima” dal “vittimismo” sostenendo a giusto titolo la tesi secondo cui trattasi solo di persone offese da un reato compiuto contro di loro, riaffermando un lessico penale formatosi anche sulla cultura del garantismo. Ma il volume non si ferma qui. Esso è una miniera inesauribile di informazioni giuridiche: dati, Rapporti delle Nazioni Unite, Rapporti effettuati da commissioni UE, analisi dettagliate di come funziona il diritto internazionale e gli obblighi in materia di violenza maschile contro le donne, di come vengono usati a tal proposito i diritti umani, la violenza nei confronti delle donne usata come arma di guerra nei conflitti internazionali, la responsabilità degli Stati, il sistema di giustizia penale, la Convenzione di Istanbul, l’ordinamento giuridico italiano (la legge sulla violenza sessuale, la Legge del 4 aprile 2001 recante misure contro la violenza nelle relazioni familiari, il disegno di legge 2007 in cui si usava per la prima volta la nozione “violenza di genere”) e decreti vari -cosiddetti pacchetti sicurezza-, atti processuali interessantissimi relativi a processi sulla violenza. Insomma, un libro ricco, interessante, mai scontato, che potrebbe essere usato anche come manuale per educare alla differenza penalisti e sociologi del diritto. Oppure come libro da leggere per chiunque voglia uscire dai luoghi comuni che attraversano gli ordini discorsivi legati alla violenza maschile contro le donne.