Intervista di Valentina Pigmei a L. Muraro

È la violenza il rischio delle donne
“Il Messaggero”, 12 giugno 2012
Luisa Muraro ha 72 anni, molti dei quali passati a combattere per una causa, quella femminista, a inventare movimenti, collettivi, associazioni, una su tutte la storica Libreria delle donne di Milano, fondata insieme a Lia Cigarini e altre colleghe. Filosofa, docente all’Università di Verona, Muraro ha sempre preferito l’azione al pensiero e oggi non è meno impegnata “a mettere in parole la politica delle donne” e “a far vedere che il mondo nuovo è prossimo, anzi sta spuntando, come l’erba in febbraio”. È appena uscito il suo libro Dio è violent (Nottetempo), che ha fatto già molto discutere quando la rivista Via Dogana ne ha pubblicato un estratto qualche mese fa. La verità è che il breve e prezioso pamphlet di Muraro – una acutissima meditazione sulla violenza che ci circonda e sulle armi che ci servono per fronteggiarla – va letto per intero. Inutile citarne passaggi incompleti o stravolgerne il messaggio attraverso riassunti imprecisi. Se siete a Roma stasera non perdete la lettura che l’autrice ne darà alla Basilica di Massenzio in occasione del festival Letterature.
Dio è violent ha provocato reazioni dure perfino tra le sue colleghe femministe della libreria delle donne.
Sono nemica della violenza che prende il posto della politica, che è quello che sta succedendo nel mondo intero: uno stato continuo di minaccia, e ogni tanto una guerra. Ma sono nemica anche della predicazione antiviolenza che, invece di andare alla radice del disordine globale, cerca solo di addomesticarci e dà addosso ai movimenti. C’è qualcosa di bloccato nella vita politica e io ho buttato un sasso senza nascondere la mano. Sono riconoscente a quelle e quelli che mi hanno detto: hai ragione. Ma anche a quelle che mi dicono: non siamo d’accordo.
Come possiamo “non farci risucchiare nelle agonie di forme politiche senza anima”? Di cosa dovremmo fidarci?
Ha detto la parola giusta: fiducia. Il venir meno della fiducia. Anni fa ho creduto che fosse il male, adesso ho capito che è un sintomo, un male è più profondo, anzi addirittura una mutazione profonda, tra cose che si disfano e vogliono tirarci nella loro morte e cose che nascono e chiedono la nostra attenzione.
Cosa pensa della cosiddetta antipolitica del Movimento 5 Stelle?
Chiamarla antipolitica è sbagliato. Se ci sono persone che protestano e si mobilitano, lì c’è politica. C’è bisogno di tentare nuove forme dell’agire politico. Però non mi riconosco in quel movimento: tende troppo a sfruttare il disordine esistente.
Per lei l’idea del progresso è morta…
Sì, per tante ragioni, non solo per la crisi in corso. Per esempio, le risorse del pianeta Terra non sono illimitate, il capitalismo non è più capace di spartire i benefici. La concorrenza è diventata cattiva e ruba i clienti agli imprenditori dell’Emilia colpiti dal terremoto, una cosa tremenda solo a sentirlo dire.
Meno filosofia, più pratica, lei suggerisce in questo nuovo pamphlet. È il fallimento del pensiero?
Non del pensiero in generale, ma del pensiero che non sente il bisogno di andare in strada, nelle fabbriche, negli ospedali, nelle cucine… La risorsa più grande per pensare io l’ho trovata fuori dall’università, nel movimento femminista. Sia chiaro, dall’università ho ricevuto tempo e agio per il lavoro, e nell’università ho cercato di portare i frutti del movimento, come hanno fatto tante altre. Ma se qualcosa ho saputo fare di buono, lo devo alle relazioni con altre donne, dentro e fuori dall’università, non alla mentalità accademica, che è troppo segnata dal narcisismo maschile.
La violenza non è un mezzo, non è a nostra disposizione ma viceversa, dice. Non è rischioso?
Che la violenza possa considerarsi un mezzo a disposizione – dello Stato, oppure del Partito, oppure di noi che scendiamo in piazza a manifestare… – questo è il vero grande rischio, perché è presunzione, perché la spinta della violenza è primordiale e precede il formarsi dei criteri razionali, del buon senso, eccetera. Non so come spiegarlo, ma basta vedere le guerre: durerà sei mesi, dicono, e poi durano anni e anni. Bisogna avere un sacro timore della violenza, la nostra, quella degli altri. Però aggiungo anche questo: bisogna saper coltivare il valore dei gesti simbolicamente violenti, invece di continuare a dare incremento alla tecnoscienza della guerra.
Cosa pensa del femminicidio? Di questa nuova ondata di violenza nelle case?
Per secoli la violenza privatamaschile sulle donne – è stata tollerata dalla legge e dalla società, o addirittura giustificata. Ha fatto corpo con la cultura e con la mentalità di uomini e donne. Ha segnato di sé la storia dei rapporti fra i sessi. Perciò estirparla è impresa difficile e delicata. La libertà femminile è una sfida per il tradizionale rapporto fra i sessi e trova gli uomini impreparati, ma in una certa misura anche le donne.
Lei propone anche un ripristino dell’autorità femminile. Cosa pensa delle ministre del governo Monti?
Le attuali ministre godono di una certa autorevolezza, mi pare. Ma l’autorità femminile è un’altra cosa: è una forza simbolica originale, intimamente associata a tutto quello che significa l’essere donna. I suoi titoli non sono quelli fissati da una società in cui per secoli hanno dominato gli uomini. I suoi titoli sono quelli della nascente libertà femminile, da non confondere con l’emancipazione. Per avere autorità, ci vuole spirito d’indipendenza e creatività politica.

 

Redazione

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