di Lavinia L. Marziale
Questa recensione è dedicata a una giungla urbana, che è anche un orto condiviso, un luogo di ritrovo e di gioco per bambini e bambine, giovani e meno giovani, nel quartiere dove vivo. Nessuna persona ha potuto interagire con la flora qui presentata tra i mesi di marzo e maggio 2020. Gli animali non umani che invece godevano di questo privilegio avrebbero sicuramente molto da aggiungere a questa narrazione. Qui lavorano fianco a fianco, l’una nell’altra, scienza e poesia.
N
el mondo fantastico di Ursula K. Le Guin, ogni cosa ha due nomi. Un nome comune e un nome vero, uno che possa essere conosciuto e usato da chicchessia, uno segreto che contiene tutta la magia della sua verità. La magia consiste proprio nel trovare ”il vero nome delle cose”, per comprenderle, per dominarle. Tutti i personaggi della saga di Terramare hanno un nome vero, che dà potere sulla vita stessa della persona, e che le è assegnato da un altro mago o da un’altra maga. Divulgarlo significherebbe mettersi in grave pericolo, come nella fiaba tedesca di Tremotino, personaggio folkloristico reso celebre dai fratelli Grimm. Simile, terribile importanza davano al veronome anche gli Egizi, e la cultura ebraica – pensiamo agli studi cabalistici, o al divieto di nominare Dio, che ritroviamo in una certa misura nella cristianità contemporanea.
E se parliamo di piante, quale potrebbe essere il loro veronome? Cosa significa dare un nome a una pianta? Quali sono le differenze tra il nome scientifico e i nomi comuni? Questi si distinguono per l’abbondanza di varianti, come versioni delle leggende e delle fiabe più antiche. E se da un lato la pluralità di nomi volgari associati a una specie è rappresentativa del carattere soggettivo di ogni conoscenza, l’ambizione scientifica tende invece alla ricerca dell’universale, dell’oggettivo, che forse è più relativo di quanto non si pensi… non solo nei nomi vernacolari troviamo varietà, a seconda della specifica cornice locale, ma anche nei diversi ordinamenti tassonomici della scienza botanica una stessa specie può aver cambiato nome più volte. In questa ricerca mi sono imbattuta in esempi di piante d’origine orientale che portavano due tipi di nomi: o traducevano letteralmente (cioè semanticamente oppure foneticamente) il nome scientifico di attribuzione occidentale, oppure conservavano quello nativo, che spesso deriva da una particolare caratteristica della specie in questione. Possiamo pensare a varianti dialettali che si inseriscono nello stesso divario tra nome scientifico, nome/i comune/i – in lingua italiana “ufficiale” – e nomi vernacolari o dialettali. Questi ultimi possono veicolare più facilemente informazioni importanti, per esempio circa la tossicità di una pianta, e sono tramandati oralmente, localmente. L’ordine tassonomico di catalogazione scientifica della Natura però non può ammettere polisemia, ambiguità. Si tratta di caratteristiche fondamentali del linguaggio umano, che creano malintesi nelle comunicazioni anche in seno a una stessa comunità linguistica, e allo stesso tempo ci aprono alla poesia, nutrono i nostri sensi dell’umorismo. Se possiamo trarre molti vantaggi dall’utilizzo di una lingua franca non dobbiamo dimenticare la non-oggettività dei dispositivi scientifici, la non-neutralità di questo sapere. La scienza con la s minuscola non disvela verità, ma partecipa alla sua costruzione.
Non
Una rosa canina è una rosa canina è una rosa canina
ma
Un carciofo di Gerusalemme è una rapa tedesca è un girasole del Canada è un topinambur