LIBERE DI AFFERMARE I NOSTRI DIRITTI. Siamo libere e non vittime

LIBERE DI AFFERMARE I NOSTRI DIRITTI. Siamo libere e non vittime

I cambiamenti che le donne sono capaci di determinare con la loro partecipazione ai processi di produzione del diritto costituiscono, da sempre, uno strumento di trasformazione in termini migliorativi, per la loro stessa vita ma anche per l’intero tessuto sociale.
Malgrado il continuo lavoro operato delle donne, sia sul piano nazionale che su quello internazionale, per il riconoscimento e la stigmatizzazione delle situazioni di violenza cui le donne sono soggette, e nonostante le continue “manifestazioni d’intenti” da parte di numerosi attori della scena politica e istituzionale all’interno delle aule giudiziarie e nelle pronunce sia civili che penali, vanno evidenziandosi spinte reazionarie che fanno ricadere sulle donne la responsabilità delle violenze che si trovano costrette a subire. Questo porta a enormi ricadute non solo sul piano giuridico ma anche su quello psicologico e sociale, e condiziona le donne a non denunciare per il rischio di ritrovarsi a essere poi le imputate. Assistiamo a una vera e propria repressione dei diritti umani delle donne, non solo attraverso operazioni di stigmatizzazione e colpevolizzazione, ma anche mediante la criminalizzazione delle reti di solidarietà femminista, e ciò è estremamente grave. Per questo è fondamentale, anche nella prospettiva legale e giudiziaria, riconoscere il lavoro dei Centri Antiviolenza e dell’intera avvocatura femminista che da sempre hanno dato senso e valore all’autonomia e all’autodeterminazione delle donne e all’inviolabilità dei loro corpi.
Tali principi irrinunciabili devono ispirare ogni azione di contrasto alla violenza maschile che interessa non solo le donne ma la pluralità di soggettività discriminate per identità e/o scelta di genere. Promuoviamo il protagonismo delle donne nei lori percorsi di liberazione dalla violenza, dal sessismo, dai pregiudizi di genere e dai ruoli imposti da una società che è, e resta, ancora patriarcale.
In questa prospettiva, è urgente dare piena attuazione ai principi della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica (Convenzione di Istanbul), ratificata in Italia con legge 77/13 per il raggiungimento dei seguenti obiettivi:
• Riconoscere e combattere ogni forma di violenza maschile contro le donne – compresa quella psicologica ed economica – nonché le molestie sessuali sui luoghi di lavoro, sul web, attraverso i social media, ad oggi non considerate, nonché la violenza assistita agita su figli e figlie;
• Ridurre i tempi della giustizia, anche mediante la previsione di corsie preferenziali, ad oggi inesistenti per i procedimenti civili e scarsamente attuate per i procedimenti penali;
• Predisporre interventi che mettano al centro la vittima del reato, non quale soggetto “debole” da proteggere ma soggetto attivo portatore di diritti, contrastando in sede penale ogni forma di obbligatorietà della denuncia e procedibilità d’ufficio dei reati – che limiti il diritto di autodeterminazione delle donne – e l’estensione ai reati di genere di strumenti processuali che depotenziano i diritti della persona offesa (condotte riparatorie di cui all’art. 162 ter c.p. dove anziché essere imprescindibile, il consenso della persona offesa è irrilevante). Fissare parametri equi, congrui ed uniformi per l’offerta reale del risarcimento del danno che non sviliscano la gravità del reato subito e restituiscano dignità e centralità alla donna;
• Assicurare l’immediato recepimento della direttiva europea sul risarcimento del danno per le vittime di violenza, ponendo a carico dello Stato l’anticipazione di tutte le somme disposte dall’autorità giudiziaria in loro favore sia in sede civile che in sede penale, superando la burocratizzazione delle attuali procedure di accesso ai fondi già costituiti.

Redazione

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