Luisa Muraro – Le parole giuste per L’Aquila

Alle donne del Comitato terre-mutate
Quello che è toccato all’Aquila (e non è finita), “può accadere ovunque, quando a una disgrazia naturale si sommano interessi criminali”, leggiamo in L’Aquila, tre anni tra insistere e resistere.
Sono parole giuste e molto importanti, le dice Simona. Vanno corrette in un solo punto: può trattarsi anche d’interessi non criminali, anzi perfettamente legali. Nessuna legge può vietare a un costruttore di gongolare davanti a un micidiale terremoto che gli consentirà di fare affari. Tanto per metterci in chiaro su quello che ci si può aspettare dalla legge.
Nel mio Dio è violent ho criticato gli abitanti dell’Aquila. Li ho presentati come un esempio degli effetti negativi di una cultura sedicente non violenta, che inibisce la risposta energica ai comportamenti dei potenti. L’allora capo del governo, uomo molto sfacciato in generale, circondato da una cricca di compari e affaristi degni di lui, oltre che dalle forze dell’ordine, ha fatto dell’Aquila ferita dal terremoto lo scenario del suo teatro politico e l’ha offerta, come intrattenimento extra anche a personaggi della politica internazionale. Gli abitanti dell’Aquila non glielo hanno impedito, mentre avrebbero dovuto e potuto farlo: questa la mia critica.
Il Comitato donne dell’Aquila ha risposto con una discussione pubblica (apparsa su Leggendaria) nella quale chiedo d’intervenire. Lo farò anche sulle pagine della prossima Via Dogana, sett. 2012.
Il mio torto più evidente lo dice quella stessa Simona citata prima: troppo facile parlare e basta, troppo facile parlare adesso, a distanza di anni. Ma se è vero che quello che è accaduto all’Aquila è d’interesse generale, bisogna pure parlarne, vorrei risponderle.
Abbiamo davanti a noi questa domanda: che cosa è veramente accaduto?  Il terremoto è solo metà della storia, voi lo sapete. Serenella dice: “Il dolore e la ferita erano tanto profonde che se fossero arrivati i marziani sarebbero stati accolti”. Non sono arrivati i marziani ma i furbi, i profittatori. All’Aquila il peggio è accaduto dopo il terremoto, ed è un contatto intimo tra la sofferenza e il business, senza un velo di vera compassione a fare da schermo. In questa società si manca di rispetto alla dignità delle vittime. Per misurare fino a che punto, basta riguardare le immagini dei soccorsi agli alluvionati del Polesine, tanti anni fa, abbracciati ovunque dall’affetto e dalla solidarietà popolari. Nelle testimonianze dell’Aquila affiora più volte l’espressione dolorosa della solitudine, con l’invito ad andare, andare a vedere. In una cultura che adora il successo, le persone colpite dalla sventura non sono attraenti.
Resistere, insistere, sono le parole più giuste? Non so, forse conviene risparmiare le forze, arrendersi alla sofferenza, assumerla, trasformare la sventura in fierezza, per imparare e insegnare l’indipendenza simbolica. Non vi dico che cosa fare, voi lo sapete e lo fate; suggerisco dei pensieri, delle parole.
Redazione

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