Cosa significa leggere a quarant’anni dall’esperienza di Rivolta Femminile gli scritti di Carla Lonzi? Significa fare i conti con un pensiero corrosivo, incisivo, duro, radicale che non smette mai di porre domande “all’altezza di un universo senza risposte”. C’è in Lonzi, la radice del femminismo italiano, scrive Dominijanni nel numero di Alias a lei consacrato, una radicalità attiva o da riattivare nella lettura del presente: una qualità che è propria solo di quelle poche e di quei pochi che sanno pensare così in profondità la contingenza in cui sono da estrarre un senso che le sopravvive e dà i suoi frutti migliori nei tempi lunghi.
E parlando di Lonzi intendo operare dei cortocircuiti con il pensiero altrettanto radicale e dissacrante nei confronti della tradizione filosofica occidentale di Françoise Collin, filosofa, femminista e scrittrice francese morta a settembre. È a lei che la mia tesi di dottorato è consacrata ed con lei ho avuto l’immensa fortuna di lavorare fino alla fine. E se la memoria é promessa, il femminismo è una promessa nel presente, è un’ontologia dell’attualità, e come scrive la stessa Lonzi alla fine di Sputiamo su Hegel, “non esiste la meta, esiste il presente. Noi siamo il passato oscuro del mondo, noi realizziamo il presente”. Il femminismo è una rivoluzione permanente scrive Collin, è una praxis dell’irrappresentabile, un andare verso, un rischio, che è in altre parole il senso del femminismo per Lonzi come avventura e non ideologia, d’altro canto incompatibili. L’ideologia è infatti già sapere decantato in potere, per Lonzi: “la mia avventura sono io, lo smarrimento è la mia prova”.
Baserò la mia analisi su Sputiamo su Hegel e sugli scritti di Rivolta femminile nella misura in cui ci interrogano a quarant’anni di distanza, ci interpellano e perché Lonzi punta al massimo filosofo con la massima dissacrazione facendo tabula rasa della tradizione, operazione del resto che compie negli stessi anni in Belgio prima e in Francia poi la stessa Collin creando la prima rivista femminista in lingua francese, i Cahiers du Grif facendo tabula rasa del sapere dato, perché contaminato e fallologocentrico e permettendo a ogni donna di esprimersi. C’è infatti in Sputiamo su Hegel tutto il nocciolo della teoria della differenza sessuale, differenza costitutiva dell’umano che non trova e non cerca superamento né nel progetto egalitario di assimilazione delle donne ad un mondo pensato da altri né in un progetto rivoluzionario di ribaltamento del dominio fra i sessi. (pag. 20, Sputiamo si Hegel: Se Hegel avesse riconosciuto l’origine umana dell’oppressione della donna, come ha riconosciuto quella dell’oppressione del servo, avrebbe dovuto applicare anche al suo caso la dialettica servo-padrone. E in questo avrebbe incontrato un serio ostacolo: infatti se il metodo rivoluzionario può cogliere i passaggi della dinamica sociale, non c’è dubbio che la liberazione della donna non può rientrare negli stessi schemi: sul piano donna-uomo non esiste una soluzione che elimini l’altro, quindi si vanifica la presa del potere. La vanificazione del traguardo della presa del potere è l’elemento che distingue la lotta al sistema patriarcale come fase successiva e concomitante a quella dialettica del servo-padrone. E ancora Il proletariato è rivoluzionario nei confronti del capitalismo ma riformista nei confronti del sistema patriarcale).
C’è allora in Sputiamo su Hegel il respiro pulsante di una pratica, una praxis di pensiero dell’esperienza senza il quale il rischio teorico così alto non potrebbe prodursi.
Lonzi infatti in questo testo così denso punta al cuore della tradizione ma non è solo Hegel l’obiettivo, ma il modo del pensiero che da lui deriva, la forma mentis, una logica incentrata sulla dialettica che informa e performa il soggetto e la politica. Dunque Hegel ma non solo, Marx e soprattutto il marxismo sono al centro della critica di Lonzi, nella misura in cui dentro la dialettica hegeliana anche se contro la dialettica e contro Hegel pensano la liberazione, la rivoluzione dell’uomo. E con uomo qui Lonzi ovviamente intende essere sessuato maschile.
Maria Luisa Boccia, in L’Io in rivolta. Vissuto e pensiero di Carla Lonzi, sottolinea come Sputiamo su Hegel può essere inteso come unico enunciato di presa di distanza dal pensiero e dalla prassi con cui il soggetto maschile si è oggettivato nel mondo. Al centro della critica di Lonzi è la totalità in cui la differenza sessuale trova un posto rilevante, ma subordinato. In Hegel affinché l’autodeterminazione del soggetto possa farsi mondo, ovvero adeguare a sé la realtà sensibile, trasformandola ed emancipandola dalla naturalità, tutte le sue determinazioni, compresa quella sessuale devono essere ricomprese in questo processo, venendo a far parte dello sviluppo oggettivo dello Spirito. Il modo in cui la differenza sessuale partecipa della vita dello Spirito è tale che essa non progredisce verso l’universale e perde significato proprio rispetto alla forma della libertà e della volontà. La confutazione di Lonzi muove esattamente da qui. Perché mai la dialettica dello Spirito deve fissare in essenze la gerarchia che ha distinto ed opposto i sessi in inferiore e superiore? Il rapporto uomo-donna non può essere compreso entro una concezione della storia che ha al centro la Lotta e il Lavoro, quale è la dialettica servo-padrone, d’altra parte accettare la dialettica tra principio divino femminile e principio umano virile significa collocare la donna al di qua della storia, della comunità e dell’autocoscienza.
Ma vediamo da vicino il testo, vi cito dei passaggi dal Manifesto di Rivolta Femminile con le parole magistrali di Lonzi:
La civiltà ci ha definite inferiori, la Chiesa ci ha chiamate sesso, la psicoanalisi ci ha tradite, il marxismo ci ha vendute alla rivoluzione ipotetica.
Chiediamo referenze di millenni di pensiero filosofico che ha teorizzato l’inferiorità della donna
Della grande umiliazione che il mondo patriarcale ci ha imposto noi consideriamo responsabili i sistematici del pensiero: essi hanno mantenuto il principio della donna come essere aggiuntivo per la riproduzione dell’umanità, legame con la divinità o soglia del mondo animale; sfera privata e pietas. Hanno giustificato nella metafisica ciò che era ingiusto e atroce nella vita della donna.
Sputiamo su Hegel.
La dialettica servo-padrone è una regolazione di conti tra collettivi di uomini: essa non prevede la liberazione della donna, il grande oppresso della civiltà patriarcale.
La lotta di classe, come teoria rivoluzionaria, sviluppata dalla dialettica servo-padrone, ugualmente esclude la donna.
E ancora, da Sputiamo su Hegel:
Il destino del mondo non è nell’andare sempre avanti come la sua brama di superamento gli prefigura. Il destino imprevisto del mondo sta nel ricominciare il cammino per percorrerlo con la donna come soggetto. Riconosciamo a noi stesse la capacità di fare di quest’attimo una modificazione totale della vita. Chi non è nella dialettica servo-padrone diventa cosciente e introduce nel mondo il Soggetto Imprevisto.
Il soggetto imprevisto ha fatto irruzione nella storia. Federica Giardini giustamente sostiene bisogna leggere il soggetto imprevisto, la donna come significante. Ovvero la donna o chi per essa, intendendo chiunque abbandoni la cultura del potere, per produrre altro, un’eccedenza che si muove su un altro piano, il soggetto imprevisto non è in rapporto dialettico con il mondo maschile.
Il soggetto imprevisto è una specie vinta, che non ha memoria di essere vinto, che abbandona la cultura della presa del potere, abbandona una cultura sistematica e dialettica. Già negli scritti di Rivolta femminile, Lonzi si distacca fortemente da un pensiero sistematico per privilegiare enunciazioni brevi che non devono essere prese per punti fermi teorici, vicina in ciò a Maria Zambrano, per la quale il pensiero che si sistema in un’architettura, in una sistemazione ideale, seppellisce invece i gesti del pensiero, la sua stessa esperienza vitale. E ugualmente in Collin, che in tutto il suo percorso e filosofico e come militante femminista non ha mai smesso di ripetere che il pensiero non è una tesi, che il pensiero è un movimento permanente, così come il femminismo è una rivoluzione permanente, noi scriviamo e agiamo attente alle congiunture, mantenendo una vigilanza costante, dislocando il dato, rifiutando la nozione di sistema così come Lonzi e privilegiando sempre una modalità di scrittura e di azione sempre coerente ma cacofonica e frammentaria, riflesso della stessa esistenza.
Consideriamo incompleta una storia che si è costituita sulle tracce non deperibili, scrive Lonzi
Ciò significa che il soggetto imprevisto è un accadimento rispetto a un ordine che si basa sul potere, ordine che viene rifiutato dalle donne e da tutti quei soggetti, singolarità che si impegnano a disfare quell’ordine del potere, nella misura in cui il femminismo è un rischio, una posta in gioco e non il mantenimento di confini. Chi dunque nella posizione che ha memoria di essere vinto irrompe, senza voler ripercorrere una storia di potere e i suoi effetti patriarcali producendo un altro tempo. Disfare il potere, sostiene giustamente Federica Giardini è un lavoro che si fa continuamente su di sé.
Questo tempo non è utopico, non è un fuori della storia, è di massima materialità. È un tempo fatto di singolarità, di vissuti, di gesti, di corpi, di risonanze deperibili, fragili, non archiviabili.
E ritrovo la stessa attenzione per una storia intesa non come progresso secondo la quale lo sviluppo dell’umanità si farebbe in un movimento dialettico ascendente realizzando ciò che Hegel chiama Spirito o Assoluto fino al suo compimento, ma come frammenti, tracce, marche in Collin. In un articolo dal titolo Histoire et mémoire. Ou la marque et la trace mostra attentamente come il il sapere storico è in effetti strettamente legato a ciò che lascia un segno, a ciò che è determinante, a ciò che produce degli effetti, che trasforma il reale, che si capitalizza in oggetti, istituzioni, segni, trattati, leggi. Come possiamo fare storia dell’invisibile, dell’impalpabile? Ma la storia, si chiede Collin, come sapere storico, è sempre identificabile alla memoria? Non c’è in ciò che si sa qualcosa che non si sa, che trascende i limiti del saputo, non come lo farebbe un sapere potenziale non ancora sviluppato, ma come resistenza radicale alla forma stessa del sapere? Se la memoria eccede il rappresentabile, se il tempo eccede la sua versione storica o storicizzabile, non ci sono delle tracce che sono irriducibili a segni. Il pensiero femminista non può scartare il puro nulla, la pura perdita di ciò che si dissemina, si deperisce, di ciò che non è cumulabile e si contabilizza in alcun modo, di un negativo che non si tradurrebbe in negatività costitutiva, come se il tempo non fosse che il tempo ritrovato e non il tempo perso e in tal caso il femminismo avrebbe ricondotto, nella sua lotta contro l’esclusione, a un’esclusione dell’inutile nell’umano. E a una nuova filosofia dei dominatori e del dominio, o del Soggetto, riducendo ogni alterazione in alienazione e Collin precisa che alterazione (essere alterato da) vuol dire essere in preda all’altro mentre l’alienazione come sappiamo riduce l’alterazione facendone un accidente infelice dell’identico, suscettibile di essere superato. Ragion per cui rifiutiamo la produzione come prodotto dell’ideologia dominante, come se vivere si identificasse a fare, come se non ci fosse che un tempo storicizzabile, che è quanto afferma anche Lonzi negli Scritti: detestiamo i meccanismi della competitività e il ricatto che viene esercitato nel mondo dall’egemonia dell’efficienza. Noi vogliamo mettere la nostra capacità lavorativa a disposizione di una società che ne sia immunizzata. Dare alto valore ai momenti improduttivi è un’estensione di vita proposta dalla donna.
E a ciò si legano i momenti di autocoscienza, i gruppi di autocoscienza che sono luoghi di rischio e non di conferma, luoghi che generano responsabilità nei confronti del mondo. Riprendere lo spazio della vita è un conflitto costante, è un muoversi sempre su un altro piano. Lonzi non mira al riconoscimento nella lingua dell’altro.
La pratica dell’autocoscienza come percorso di autenticità, il partire da sé in cui il sé indica anzitutto la soggettività singola e dunque mette in primo piano la dimensione esistenziale e concreta produce un sapere incarnato e il sé non ha posizione se non nella relazione, se non con un’altra. Questo riconoscimento si produce dunque nella relazione tra donne. L’autocoscienza intesa come la pratica che la realizza non ha nulla a che fare con il rispecchiamento tra simili. Riconoscersi tra donne come esseri umani completi e non in funzione dell’altro sesso significa dare forma alla coscienza femminile, autonoma e differente da quella maschile. L’autocoscienza è la forma per Lonzi con cui le donne strappano se stesse al destino dell’immanenza. Dandosi riconoscimento le une con le altre sottraggono all’uomo il potere assoluto di definirle (La donna come soggetto non rifiuta l’uomo come soggetto, ma lo rifiuta come ruolo assoluto).
Autocoscienza è pratica e pensiero, è modalità di relazione tra donne e forma teorica della coscienza femminile. Il riconoscimento tra coscienze avviene per Lonzi essenzialmente nella relazione duale. Partire da sé è il modo in cui la coscienza femminile si costituisce. Il sé indica che la singolarità è la forma di questa coscienza, il contenuto dell’autocoscienza è l’autenticità.
Il significato e il valore dell’autocoscienza declinata da Lonzi sta nel aver fatto penetrare in profondità, l’idea e l’esperienza del partire da sé, ovvero la possibilità di elaborare la soggettività e il pensiero femminile a partire dal concreto vissuto e dall’io di ogni donna.
Partire da sé è il vero gesto di attribuzione di valore all’esperienza femminile, la pratica del partire da sé infatti non insegna l’immediatezza, ma al contrario la mediazione (fra sé e sé, fra sé e l’altra, fra sé e la realtà). La pratica dell’autocoscienza indica a ogni donna la possibilità di rivolgersi a se stessa e alla propria vita come a una risorsa di sapere e di autonomia. Ovviamente senza che si renda operativa e visibile la separazione dagli uomini, questa sottrazione di potere non ha modo di realizzarsi. Per separatismo bisogna intendere la forma in cui l’autonomia diviene pensabile per ogni donna, la relazione fra donne, analogamente, diviene il referente simbolico oltre che reale, con cui una donna si riferisce al proprio sesso e trova in esso la fonte della propria autonomia, infine la pratica può essere considerata, oltre che come concreta prassi con cui l’istanza dell’autonomia diviene effettiva, come formulazione di una filosofia della prassi anch’essa autonoma. Lonzi mette al centro della relazione tra donne il riconoscimento, affida cioè all’altra, alla sua presa di coscienza l’acquisizione, anzitutto per sé, dell’autenticità. (l’autenticità del gesto di rivolta).
“Il femminismo ha inizio quando una donna cerca la risonanza di sé nell’autenticità di un’altra donna”dunque riconoscimento e autenticità non hanno nulla a che fare con la definizione di un modo di fare comune a tutte le donne. Come attentamente sottolinea Maria Luisa Boccia il riconoscimento non è rispecchiamento di una donna nelle altre e l’autenticità non è il nucleo ontologico della femminilità, ma l’unicità, irriducibile della singola donna. Dunque le relazioni tra donne che danno inizio al femminismo creano la situazione in cui ogni donna invece di affidarsi all’identità del suo sesso, prodotta nella storia e nella cultura patriarcale, può dare credito alla sua esperienza e al suo modo d’essere. Detto altrimenti nell’autocoscienza si manifesta e trova riconoscimento la singolarità femminile. Questo è l’evento prodotto dal femminismo. Il divenire cosciente della donna o chi per essa introduce il soggetto imprevisto che rompe la continuità della storia
perché scrive Lonzi:
– La donna non va definita in rapporto all’uomo. Su questa coscienza si fondano tanto la nostra lotta quanto la nostra libertà.
– La donna è l’altro rispetto all’uomo. L’uomo è l’altro rispetto alla donna. L’uguaglianza è un tentativo ideologico per asservire la donna ai più alti livelli.
– Liberarsi per la donna non vuol dire accettare la stessa vita dell’uomo perché è invivibile, ma esprimere il suo senso dell’esistenza.
– Dietro ogni ideologia noi intravediamo la gerarchia dei sessi
In apertura del testo Lonzi definisce i principi di uguaglianza e di differenza: L’uguaglianza è un principio giuridico: il denominatore comune presente in ogni essere umano a cui va resa giustizia. La differenza è un principio esistenziale che riguarda i modi dell’essere umano, le peculiarità delle sue esperienze, delle sue finalità, delle sue aperture, del suo senso dell’esistenza in una situazione data e nella situazione che vuole darsi. Quella tra uomo e donna è la differenza di base dell’umanità”. Ciò significa che se l’uguaglianza è il principio, teso a rendere giustizia al comune denominatore proprio di ogni essere umano, solo ottenendo questa giustizia (quindi conquistando l’uguaglianza politico-giuridica) la donna potrà dispiegare la propria differenza nell’esistenza. Che cos’è allora la differenza sessuale? Che cos’è una differenza che non si pone in termini dialettici con l’altro sesso? La differenza come Lonzi la pone è una differenza interna all’umano, “differenza sessuale” significa l’asimmetria femminile nell’ordine simbolico fallocentrico. “Bisogna far valere quando si tratta, si parla di differenza sessuale, l’opposizione differenza-identità e non differenza-uguaglianza” (Diotima, L.Muraro, Oltre L’uguaglianza), ovvero come scrive Marisa Forcina in Soggette: “Pensare la differenza non è pensare il rovescio dell’uguaglianza, non è pensare l’opposizione o il superamento dell’opposizione nella reciprocità di identità ben strutturate, ma è pensare oltre l’identità. Differenza anche in politica non è diversità, ma è ciò che è irriducibile a qualsiasi identità.
Ma insieme ad Hegel il testo è rivolto anche a decostruire Marx e il marxismo, come dicevamo all’inizio. L’inserimento a titolo di uguaglianza, va messo in questione così come il concetto di potere, nella misura in cui l’uguaglianza è per Lonzi quanto si offre ai colonizzati. Il doppio errore che rintraccia nella teoria marxiana nell’utopia rivoluzionaria che si fa portatrice del processo di uguaglianza e della liberazione della donna è:
1) che il marxismo non vede che l’oppressione della donna è più antica dell’oppressione del capitalismo, la proprietà privata è la patologia dell’uomo (Al materialismo storico sfugge la chiave emozionale che ha determinato il passaggio alla proprietà privata. È li che vogliamo risalire perchè venga riconosciuto l’archetipo della proprietà, il primo oggetto concepito dall’uomo: l’oggetto sessuale. La donna, rimuovendo dall’inconscio dell’uomo la sua prima preda, sblocca i nodi originari della patologia possessiva. pag. 16 Sputiamo su Hegel).
2) immaginare la liberazione della donna negli stessi termini della lotta di classe, ma al rapporto donna/uomo la dialettica servo/padrone non si addice. (Il rapporto hegeliano servo-padrone è un rapporto interno al mondo umano maschile, ad esso si attaglia la dialettica nei termini esattamente dedotti dalla presa del potere. Ma il dissidio uomo-donna non è un dilemma: ad esso non si prevede soluzione in quanto non viene posto dalla cultura patriarcale come un problema umano, ma come un dato naturale.
Analizzando Sputiamo su Hegel, vediamo allora come la dialettica servo/padrone non si addice al rapporto uomo/donna perché la donna non è in rapporto dialettico con l’universo maschile e questo è il punto, afferma Lonzi, per cui difficilmente saremo capite, ma è necessario insistervi, nella misura in cui la nostra cultura vive nella forma mentis hegeliana, in un conflitto dialettico che vede la donna in posizione antitetica all’uomo, ma è invece un muoversi su un altro piano, asimmetrico.
Nel rapporto donna/uomo non esiste una soluzione, come abbiamo detto, che vanifichi l’altro, una sintesi coerente con la presa del potere perché l’obiettivo delle donne non è la presa del potere, non è la mera riproduzione dell’esistente.
La donna è il soggetto imprevisto che rompe la continuità storica, la rivoluzione è politica e non sociale, la donna non è l’antitesi dell’uomo e la differenza dei sessi non è superabile dialetticamente. La liberazione femminile è liberazione dalla trascrizione di questa differenza in dominio.
Ciò che è necessario mettere in luce è che più che su Hegel, Lonzi sputa su Marx, nella misura in cui il marxismo non vede la differenza sessuale, occultandola nella teoria dell’uguaglianza.
Hegel, al contrario, non fa tale errore, sostiene Lonzi, non applica al rapporto uomo/donna la dialettica servo-padrone, vede la differenza sessuale ma la vede come naturale, naturalizza la differenza e tratta come un dato naturale quello che è un effetto del dominio e lo trasforma in dominio.
La Fenomenologia dello Spirito viene a essere la razionalizzazione del sistema patriarcale, nell’architettura hegeliana la differenza tra i sessi trova sistemazione nella famiglia, mentre la differenza maschile progredisce e trascende nell’universale, quella femminile no. Il maschile va verso la trascendenza e l’universalità, in una divisione del lavoro simbolico ma anche materiale. Per Hegel tale divisione risulta necessaria, nella misura in cui la comunità umana produce ciò di cui ha bisogno e per far questo opprime il suo interiore nemico: la donna.
Divisione del lavoro non solo simbolico, ma che inerisce anche la dialettica servo/padrone, infatti alla donna non è permesso di emanciparsi così come è permesso al servo, la donna nutre la comunità ma non ha accesso all’universale.
Ciò detto per quanto concerne la problematizzazione della dialettica servo-padrone ma Hegel, come abbiamo visto, torna ancora nel pensiero di Lonzi attraverso il tema del Riconoscimento, declinato nel riconoscimento tra donne, base della politica femminista e attraverso il tema dell’autocoscienza.
Al centro della critica della Lonzi è allora la totalità di logica e storia che Hegel crea, totalità in cui la differenza sessuale trova un posto rilevante, ma subordinato. Il modo in cui la differenza sessuale partecipa della vita dello Spirito è tale che essa non progredisce verso l’universale e perde significato proprio rispetto alla forma della libertà e della volontà.
Il rapporto uomo-donna non può essere compreso entro una concezione della storia che ha al centro la Lotta e il Lavoro, quale è la dialettica tra servo e padrone.
D’altra parte accettare la dialettica tra principio divino femminile e principio umano virile significa collocare la donna al di qua della storia, della comunità civile e dell’autocoscienza. Lonzi argomenta dunque sulla necessità di porsi su un altro piano poiché le forme della dialettica storica e della lotta sociale e politica sono la testimonianza più convincente del misconoscimento del problema femminile come problema umano.
In Hegel, nota Lonzi, l’essere donna non è posto come una condizione umana, poiché dipende da un principio divino, si incarna in un’essenza metafisica, immutabile. La differenza dei sessi viene dunque a costituire la base naturale metafisica tanto della loro opposizione quanto della loro riunificazione. Fondare la differenza sessuale sulla spartizione tra i sessi della sostanza spirituale, consente a Hegel di non riconoscere l’origine umana dell’oppressione della donna. È con la figura del servo, in quanto condizione e non principio immutabile, non essenza, che la dialettica tra superiore e inferiore si fa storia e che l’intera dinamica sociale viene a fondarsi sulla Lotta, di cui le figure centrali sono il Lavoro e il Potere.
Se Hegel avesse dovuto applicare al rapporto uomo-donna, e alla loro opposizione in superiore e inferiore la dialettica servo-padrone avrebbe incontrato un serio ostacolo, in quanto, come abbiamo visto, sul piano uomo-donna non esiste una soluzione che elimini l’altro, quindi si vanifica il traguardo della presa del potere.
La critica dunque che Lonzi rivolge a Hegel e alla filosofia occidentale è di aver tratto dall’efficacia dei fatti l’essere originario e metafisico dell’uomo e della donna. Chi invece, ovvero la donna, non è nella dialettica servo-padrone diventa cosciente e introduce nel mondo il soggetto imprevisto, un soggetto la cui azione non soggiace a quell’elemento di continuità del pensiero e dell’azione maschile che è il potere.
Scrive Lonzi, in Sputiamo su Hegel, p. 46: L’uomo ha cercato un senso della vita aldilà e contro la vita stessa; per la donna vita e senso della vita si sovrappongono continuamente. La donna è immanenza, l’uomo è trascendenza. I filosofi hanno davvero parlato troppo: su quale base hanno riconosciuto l’atto di trascendenza maschile, su quale base l’hanno negato alla donna?
Come osserva Boccia la pretesa di Lonzi è così alta da voler perseguire una via che nella trascendenza conservi il segno del corpo, dica la sua differenza sessuale. Scrive infatti:
“porre la trascendenza per la donna non può, in questa prospettiva, ridursi a pensare e a dire la differenza, non consiste cioè nell’affermazione di un nuovo ordine di concetti. Né l’ancoraggio al corpo sembra orientare il suo pensiero in direzione metafisica, sostanzialistica. Poiché non le interessa la verità biologica o essenzialista dell’essere della donna, ma il suo farsi coscienza”(Boccia, L’Io in rivolta, p. 110)
La libertà è anzitutto un atto d’amore per se stessa, di autorizzazione a trovare in sé il principio di piacere e realtà.
Liberare la propria vita implica per la donna in primo luogo trascenderla, dunque compiere quell’atto che le dà senso oltre la vita stessa. Questo significa inevitabilmente, per la donna, porsi in una posizione simile a quella con cui l’uomo ha dato inizio alla cultura e alla storia.
Voglio solo ricordare cosa Lonzi intende per cultura e concludere con le sue parole in La presenza dell’uomo nel femminismo:
“Io so che della cultura accetto solo quelle verità che mettono in gioco l’essere se stessi, mentre non provo nessuna emozione per tutte le formulazioni che non implicano coinvolgimento…[…] non riesco a scindere le verità da chi le ha espresse e mi piace confrontarle con le mie verità che scopro via via in me stessa, riconoscendo a ognuno il diritto a essere diverso e a raggiungere punti di vista totalmente diversi nella rispondenza dell’espressione di sé”.