Dall’anno della sua fondazione, il 2008, le proteste di strada sono la tattica prescelta da Femen: giovani donne a seno scoperto dimostrano attraverso urla e slogan dipinti sul corpo. Il corpo seminudo, le scritte sul petto, le urla, la corona di fiori: il formato della protesta si è ormai consolidato intorno a diversi elementi e aspetti strutturanti, ma sono specificatamente i seni la parte del corpo che simboleggia la contestazione.
Le dimostrazioni di Femen hanno luogo in spazi pubblici – strade, chiese, piazze, marciapiedi –, o nel corso di situazioni ordinarie – raduni o incontri tra uomini e Stato, giochi sportivi –, luoghi che prevedendo sempre la presenza locale di un insieme di spettatori. E’ nell’interazione simultanea con il pubblico che il corpo nudo è sussunto e pertinentizzato, caricato di un senso che lo trasforma in contenuto. Proprio l’incontro con gli spettatori e la conseguente reazione di sconvolgimento autentifica l’azione come sovversiva e provocatoria. In questo senso l’atto di rimuovere i vestiti è inteso con l’intento di provocare, turbare e scandalizzare, come un modo per affrancarsi dalla propria identità e dai ruoli sociali imposti. Ciò spiega perché svestirsi e esibire il seno costituisca per Femen l’atto sostanziale di riappropriazione e rivendicazione di un corpo simbolicamente perso, per affermare l’immagine di donna soggetto di un fare autonomo e rinnovato.
Scoprire il seno è il segno performante, la componente rituale e performativa che assume il valore di esaltazione del soggetto, di metafora di alterità. Il corpo delle attiviste non è più ‘una cosa tra le cose’, ma diviene figura di protesta, la sostanza espressiva, il punto stabile di referenza. Il corpo performer diviene significante in quanto espone il seno che, a sua volta, significa il soggetto femminile in lotta.
Semantizzati da un investimento figurativo, i seni esposti delle Femen sono costituiti come segno e, al tempo stesso, sono costituiti come significanti le azioni che ogni corpo compie e lo spazio in cui si iscrivono. Esibire i seni manifesta l’esigenza di marchiare e trasformare il corpo in un pattern, ove le zone di nudità costituiscono un insieme di simbolicità e valenze strutturali. In particolare, il corpo assume centralità non soltanto come supporto determinante l’azione performata (corpo performer), ma appare sulla scena in quanto oggetto di grande consumo, segno iconico che ben si adatta al repertorio tematico della protesta finendo per egemonizzare qualsiasi narrazione.
Non a caso infatti le azioni simbolicamente più potenti di Femen arruolano principalmente donne bianche, in perfetta forma, giovani e appariscenti corpi canonici della femminilità bianca e istituzionalizzata. Nel dicembre 2011, tre attiviste a seno nudo dimostrano alla sede KGB in Bielorussia per la liberazione dei prigionieri politici. Due di loro indossano la corona di fiori, gridano esponendo in maniera frontale i cartelli con i messaggi della protesta. In mezzo alle manifestanti appare una donna, anche lei seminuda, di corporatura grossa, con i capelli rasati a riporto e i baffi. L’intervento della donna sembra essere relegato a ruolo avulso di caricatura, di figura parodica deformata e appariscente, che nella protesta si mantiene marginale rispetto a quello delle attiviste.
Il corpo delle Femen è usato strategicamente per fare altro e parlare d’altro, ma soprattutto è usato “per-formare”, per dare cioè una forma (il seno) riconoscibile ed efficace, garanzia di successo per la popolarità stessa del movimento. La dimensione performativa incarna corpi-oggetto, corpi che hanno la propria area di significato contratta e ridotta all’enunciazione della propria presenza fisica mediata.
L’affermazione orgogliosa di una nudità vestita di ideologia, mistificata e strumentalizzata come puro esercizio di presenza, si rende produttiva di spettacolo più che di trasformazioni. A rendere spettacolare queste proteste è il reiterato tentativo di trasformare il corpo femminile in contenuto. La loro operazione rivoluzionaria non si contestualizza in chiave critica, ma attiene alla logica del mimetismo, all’economia dell’apparenza e della visibilità ridondante. Questo topless contestatario non sembra di fatto proporre un’alternativa immediata al potere che contrasta, ma, perpetuando lo sguardo sul corpo femminile, rimane per certi versi impigliato negli stessi codici che vorrebbe rovesciare.
Ci troviamo dunque a dover affrontare i termini di paradosso della simultanea sovraesposizione del corpo, ma anche della perdita di sostanzialità. Se da un lato infatti nel movimento di Femen non è assente la volontà di elaborare politicamente la tensione all’ipersessualizzazione del corpo femminile, è indubbia la difficoltà di costituire un’agenda femminista antisessista intorno alla liberazione del corpo per difenderlo dallo sfruttamento consumistico. Proprio questa caratteristica rende scettiche alcune femministe sulla plausibilità stessa dell’operazione politica di Femen.
Scoprire un corpo stabilisce forme e visioni che possono debordare in numerose direzioni. Contrapporre alle narrazioni “mainstream” altre narrazioni che si basano sugli stessi leitmotiv, limitandosi a declinarli in senso opposto, equivale a replicare debolmente un pattern che finisce per assecondare gli stessi schemi di rappresentazione. Ma se facciamo critica sociale significa che abbiamo scelto di abbandonare il piano della pedissequità e della retorica, in segno di una politicità esistenziale.
Per comprendere come certe pratiche possano tradursi in testi in grado di alterare e risemantizzare potenzialmente le estetiche del quotidiano è necessario volgere lo sguardo verso altri casi. L’appello «Mettiamoci le tette – Nude per il Valdese: salviamo l’ospedale![1]» raccoglie più di trecento immagini fotografiche di seni nudi per protestare contro la chiusura dell’ospedale Valdese di Torino specializzato in senologia. I partecipanti all’iniziativa (maschi e femmine) sono stati ripresi nell’atto di scoprire e mostrare frontalmente il petto. Il video diffuso in rete nel 2012 alterna immagini di corpi diversi: corpi sani, corpi discordanti, corpi esclusi, corpi scalfiti da segni evidenti di operazioni chirurgiche di asportazione del seno.
L’insieme dei corpi sulla scena deposita un linguaggio simbolico molto differente da Femen. Ciò che consente di mettere a confronto le due proteste è proprio l’esibizione performativa del corpo, quindi l’affermazione intensificata di soggetti in presenza reale. Se la politica di Femen tende a dissimulare la percezione del corpo vivo per innalzare un corpo idea, un corpo di finzione mascherato in elemento estetico, riconoscibile e uniforme, la protesta converte l’abiezione in azione politica aprendo uno scenario diverso.
Mostrando e ritraendo il corpo nudo, vulnerabile e potente, esposto e radicato nella sua materialità detonante, questa operazione performativa integra e si appropria dell’estraneità dell’immagine di corpi malati, del loro differimento perenne per metterlo a valore, per semantizzarlo come presupposto per radicare una soggettività politica. Per le forme che assume, il testo della protesta si dà come spazio di sospensione e di rifiuto di quei termini attraverso i quali il corpo è riconosciuto. Il gesto di scoprire un seno e un corpo difforme scombina l’univocità delle narrazioni, trasforma i segni, impatta le pratiche sociali e le storie incarnate. Diventa un atto estremo di dissenso che esibisce e coinvolge in una realtà viva, intima, concreta, capace di creare uno spazio sostenibile di comunanza e reciprocità pieno di determinazione politica.
Dalle performance musicali a volto coperto delle Pussy Riot, ai tanti e diversi fenomeni di flash mob che animano le piazze, dal ballo pubblico internazionale “Break the chain” di One Billion Rising contro gli abusi sulle donne, all’urinata corale davanti al ministero della Salute a opera del collettivo Cagne Sciolte di Roma, assistiamo a un proliferare di forme di protesta e pratiche di partecipazione alla scena pubblica che utilizzano come protagonista centrale il corpo. Lotte di corpi vivi, in movimento, lotte di corpi irruenti e militanti, vere e proprie performance in cui il corpo è impegnato in prima linea per farsi materia di espressione e comunicazione, chiamato a stabilire l’universo semantico di critica e rivolta sociale.
Interrogare il corpo nelle sue soglie di apparizione, nelle condizioni della sua occorrenza entro gli spazi e le forme di azione politica del presente, e comprendere dunque i modi attraverso cui individui e gruppi costruiscono i testi delle proteste, è un compito imprescindibile per un’analisi critica dei movimenti antagonisti e degli eventi di protesta. Pratiche di questo tipo dimostrano infatti l’urgenza di riflettere in maniera sistematica e più organica sul valore d’uso del corpo sessuato, di svelarne le valorizzazioni, le ambivalenze, le sottostrutture ricorsive che influiscono in maniera sotterranee sulle modalità produttive di rappresentazione.