María Zambrano. Filosofia, poesia, politica

María Zambrano. Filosofia, poesia, politica

a cura di Sara del Bello 

Voce fondamentale del Novecento, espressione di un pensiero che non si lascia incardinare in nessun sistema filosofico, dà forma ad una riflessione che, nella varietà di tematiche affrontate, lascia emergere il suo tratto principale nella volontà di riscoprire l’umana attitudine ad entrare in relazione con l’altro. È, dunque, un percorso filosofico, che si caratterizza fondamentalmente per un’attenzione costante alla persona, vista da Zambrano quale creatura animata da una costitutiva tensione alla trascendenza e all’apertura all’altro da sé.

Inoltre, la filosofa spagnola, pur dichiarando di non essere femminista, bensì femminile, anticipa il pensiero della differenza sessuale, laddove rivendica la necessità di elaborare forme di espressione sociale e politica coniugate anche al femminile. Infatti, la contrarietà verso l’omologazione al modello maschile, dominante nell’ambito storico-politico ed il conseguente bisogno di garantire il rispetto della specificità femminile nella sfera pubblica, oltre che l’attenzione a figure femminili emblematiche, tra cui spicca quella di Antigone, sono elementi che affiorano nelle parole di Zambrano a proposito della condizione delle donne.

Le opere qui presentate toccano alcuni aspetti essenziali dell’universo zambraniano: la prospettiva antropologica, che si sostanzia nei temi della persona, della storia, della relazione tra umano e divino e l’idea di ragione poetica, cui si lega necessariamente il rapporto tra la filosofia e la poesia.

 

Filosofia e poesia (1939)

Edizioni Pendragon, Bologna, 2002

In queste pagine prende corpo la riflessione, centrale nel pensiero zambraniano, relativa al rapporto tra filosofia e poesia. Sviluppando un’analisi che molto risente dell’eco heideggeriana, Zambrano sottolinea la necessità di ricondurre questi due percorsi, filosofico e poetico, verso un punto di contatto da tempo perduto. Il discorso muove da un atteggiamento di critica nei confronti del razionalismo, termine con il quale la pensatrice identifica quel panorama culturale che si sviluppa già con l’eleatismo e che ha rappresentato, secondo la sua prospettiva, la tendenza dell’uomo a voler realizzare un controllo assoluto sulla propria esistenza, mediante la ragione, considerata quale unico metro d’indagine e valutazione della realtà, arrivando così, per riprendere un’espressione orteghiana, a sostituire ciò che è spontaneo con il razionale.Zambrano rileva, in particolare, il differente atteggiamento che il poeta, da un lato, ed il filosofo, dall’altro, assumono nei confronti del mondo. Il secondo, infatti, vi si accosta mosso dalla volontà di comprenderlo ad ogni costo, riducendo le molteplici sfaccettature che lo caratterizzano ad un’unità assoluta. Il primo, invece, aderisce in modo concreto alla realtà, lasciandosi penetrare completamente da essa. Si tratta, secondo Zambrano, di riscoprire l’intimo e profondo legame che unisce poesia e filosofia, dando forma ad un pensiero che sia razionale e poetico al tempo stesso, dove la capacità chiarificatrice della filosofia sia sostenuta dall’attitudine poetica al saper accogliere e accettare ciò che si ha la possibilità di vedere ed ascoltare.

 

L’agonia dell’Europa (1945)

Marsilio Editori, Venezia, 2009

Con questa opera, Zambrano si propone di ricercare le cause, tanto storiche, quanto religiose, che hanno contribuito a rendere l’Europa un corpo malato e decadente. La riflessione nasce e si sviluppa alla luce della tragica esperienza storica rappresentata dalla Seconda Guerra Mondiale e dal fenomeno totalitario.

La pensatrice analizza il rapporto tra l’uomo europeo e le sue radici cristiane, muovendo dalla figura di Agostino, da lei stessa definito il padre dell’Europa. Lungo queste pagine, Zambrano mette in luce il tramonto di quei valori fondanti l’umanesimo europeo e rileva come l’uomo sia stato mosso fino all’estremo da una volontà creatrice, tale da dominare e possedere la realtà, smarrendo la sua capacità di saper trattare adeguatamente l’altro. È come se l’Europa avesse dimenticato di prendersi cura del proprio cuore e l’uomo europeo si fosse reso un disanimato. Ma di fronte ad un’immagine di violenza che appare priva di confini, spetta all’uomo europeo ritrovare quella speranza che, riprendendo le parole di Zambrano, rappresenta il fondo ultimo della vita umana, riscoprendo il proprio vero volto, quello che ha contribuito a renderlo persona e non un mero personaggio della storia.

 

L’uomo e il divino (1953)

Edizioni Lavoro, Roma, 2009

Nelle pagine de L’uomo e il divino, María Zambrano, con un linguaggio più lineare rispetto ad altre sue opere, sceglie di raccontare l’umano, muovendo dalla relazione di quest’ultimo con quel divino, che si incarna negli dèi dell’Olimpo, nel dio della visione intellettuale della filosofia ed, infine, nel Dio del cristianesimo. In particolare, la pensatrice traccia un percorso in cui vengono a delinearsi tre differenti modalità di esplicazione di tale rapporto. La prima è quella dell’uomo mendico, che si percepisce come essere manchevole, indigente, edipico. La seconda coincide con quella del sapere filosofico in cui l’uomo esige di conoscere la verità, definita diversamente a seconda dei momenti della filosofia. Qui Zambrano sviluppa, inoltre, la sua critica nei confronti del razionalismo e dell’idealismo, incapaci a suo giudizio, di comprendere appieno la vita. L’ultima fase, infine, è quella del superuomo, in cui la cancellazione di ogni vincolo con il divino, ha spinto l’individuo ad auto-divinizzarsi, perdendo di vista, nell’interpretazione della filosofa, quel legame che ci rende tutti egualmente creature dinanzi a Dio. Si tratta, quindi, di un’analisi che, prendendo in considerazione anche altri aspetti, cerca di comprendere la condizione umana, tentando di trovarvi un fondamento che dia ragione del nostro essere parti di questo mondo.

 

Persona e democrazia. La storia sacrificale (1958)

Bruno Mondadori, Milano, 2000

Con questa opera, Zambrano riprende le file di una riflessione nata negli anni dell’impegno politico-sociale, coincidenti con la sua gioventù e poi lasciata sullo sfondo, più o meno a partire dall’inizio dell’esilio. Questo testo, rispetto ai precedenti scritti di carattere più propriamente politico, quali Orizzonte del liberalismo (1930) o Gli intellettuali nel dramma di Spagna (1937), rivela una maggiore maturità. Manca, tuttavia, anche all’interno di questo saggio un’analisi dettagliata che arrivi a sondare gli elementi relativi ai principi ed ai meccanismi alla base delle istituzioni e delle forme di governo.

Tre sono gli aspetti su cui si concentra l’attenzione della filosofa: la storia, la dimensione sociale ed infine, la persona. L’idea della storicità dell’uomo così come la critica alla massificazione della società lasciano affiorare l’influsso orteghiano, da cui però l’allieva Zambrano si distanzia, elaborando un percorso assolutamente personale ed unico. In modo particolare, uno degli aspetti di maggiore distacco rispetto a Ortega è il tema della persona, legato in maniera indissolubile all’idea di pietà e di trascendenza che, all’interno della riflessione zambraniana, diviene il fulcro attorno a cui ruota il concetto di democrazia.

 

La tomba di Antigone. Diotima di Mantinea (1967)

La Tartaruga Edizioni, Milano, 2001

In questo testo, la filosofa ripropone la tragedia di Antigone, dandone però una versione alternativa rispetto a quella di Sofocle. Il racconto si concentra sul tema del soggetto femminile aperto all’accoglimento del diverso, dell’altro. Qui, infatti, la giovane protagonista non muore poiché deve prima avere il tempo di rendersi conto di se stessa, di prendere consapevolezza della propria vita. È così chiamata a scendere nelle profondità della terra e quindi della propria anima per dar luce alla propria coscienza. Antigone, muovendo dall’incontro con gli altri, con tutti coloro i quali, negli inferi, le si accostano rivolgendole la parola, arriva a poco a poco a scoprire se stessa, dando completezza e senso alla propria nascita, nascendo una seconda volta.

 

Chiari del bosco (1977)

Bruno Mondadori, Milano, 2004

Chiari del bosco è una delle opere in cui prende corpo in modo più compiuto il concetto di razón poética che rappresenta l’elemento centrale del pensiero zambraniano, il quale inizia ad emergere nelle sue riflessioni già dalla metà degli anni trenta. Anche qui, sempre sottolineandone le dovute differenze, è possibile rintracciare un rimando ad Heidegger, in particolare alla riflessione che il filosofo inizia a sviluppare successivamente ad Essere e tempo. Il riferimento è presente già a partire dal titolo stesso dell’opera zambraniana che richiama, infatti, l’idea heideggeriana della radura come luogo, al tempo stesso, di nascondimento e svelamento dell’Essere.

La ragione poetica e materna, che la filosofa tratteggia, è espressione di quelsapere dell’anima che ha il compito di indirizzare gli uomini nel mondo, al pari di una guida, affinché essi possano sentirsi pienamente parti integranti di quest’ultimo. È una ragione capace di comprendere i chiaroscuri della vita umana, scandagliandoli anche là dove, secondo Zambrano, la ragione modernarazionalista non si è dimostrata tale da accedere e non si è rivelata in grado di penetrare né gli aspetti razionali, né quelli irrazionali del mondo umano.