Maschio bianco, maschio nero

Maschio bianco, maschio nero

di Francesco Raparelli

Senza dichiarare guerra al machismo reazionario che sta prendendo in ostaggio il mondo, non c’è maschile alternativo che possa affermare nessi duraturi con le lotte femministe.

 

Il compito più visionario rimane tuttavia quello di ri-concettualizzare la mascolinità, affinché nella cultura, nella nostra vita di tutti i giorni, vi siano modelli di trasformazione capaci di aiutare i ragazzi e gli uomini che lavorano alla costruzione di un proprio sé, alla strutturazione di nuove identità.

bell hooks

 

Uomini a me molto cari, oltre i sessanta, da quando padroneggiano WhatsApp, mi inviano spesso meme che ricevono da amici, conoscenti, o conoscenti di conoscenti. Meme, barzellette, battute. Per quanto riguarda i meme, uno più di tutti mi ha colpito: una barca in mare – scena nota e bersaglio tanto del governo giallo-verde quanto delle formazioni neofasciste – carica di bellissime ragazze nude; in questo caso, chiarisce il meme, gli italici maschi sarebbero più che felici di aprire i porti, magari di accogliere in casa. Tra le barzellette, tantissime, prevalgono quelle sulle mogli che tradiscono, spesso con il migliore amico del maschio in questione. Addirittura una volta mi hanno inviato una lunga fila di immagini, relative ai mondiali di calcio in Russia: donne nude, tette sode dipinte con i colori delle bandiere nazionali; arriva la volta dell’Italia, e c’è Vladimir Luxuria che fa il bagno al mare.

Molte e molti penseranno: cosa c’è di nuovo? Non si tratta dell’immaginario della commedia sexy all’italiana, quello così caro a Berlusconi e ai balletti di Arcore? Vero. Eppure, i tre casi citati indicano un passaggio tutt’altro che innocuo. Nella commedia sexy all’italiana era l’uomo medio, brutto e con la pancia, Lino Banfi solitamente, che ambiva e praticava il tradimento con la bella attrice di turno. Ora, invece, emergono altre verità: i migranti insidiano il nostro sesso, che bello sarebbe se al loro posto arrivassero tante donne nude e disponibili; le mogli, e le donne in generale, sono stronze perché tradiscono, soprattutto se l’amico ha più soldi; negli altri paesi del mondo le donne sono e fanno le donne, da noi prevalgono trans e froci (che sono anche i politici, la casta, i corrotti).

Sono certissimo che chi mi inoltra quanto sopra descritto non ne condivide contenuti e valori. Quanto meno nella sua esistenza concreta, nella sua lunga biografia, che conosco. Eppure riceve e inoltra, continua la catena. Si crea dunque un flusso, prende forma un ambiente fatto di immagini e parole, di offese e risentimento, di riscatto e violenza. Un “tappeto” sensibile che solletica il maschio che invecchia, e che magari si è in parte impoverito; che sicuramente ha perduto speranze e illusioni, politiche quanto personali. Ma non si tratta solo di senilità, pure questione decisiva. Risentimento e violenza riguardano i maschi tutti, anche quelli giovani che non sono più disposti ad accettare il tradimento della “propria donna”. Giustamente, Alberto De Nicola sostiene che il neoliberalismo porta con sé non solo la diffusione a dismisura della forma impresa, come chiarì già Foucault nel 1979, ma anche della proprietà. Quella del maschio che prende schiaffi dal mercato e dalla vita, sarebbe la donna. Quando lasciato o tradito, magari per il conoscente che ha più soldi (o “virilità”), c’è una sola cosa da fare: «metterla al suo posto»; lei, e i figli, che comunque sono della madre. Così, in Italia, una donna ogni due giorni muore per mano di un uomo, assai spesso di un ex. Maschi che condividono un senso comune: quotidianamente alimentato dalla Lega e dalle sue politiche, ci mancherebbe; ma anche dalla «tempesta di merda» che colonizza silenziosamente la loro attenzione, trasforma modi di sentire e percezione.

La violenza dell’uomo di casa, o di quello in divisa, non è mai un caso mediatico e politico. Può capitare, ma ultimamente non capita proprio più. Il “caso”, quello che rilancia giornalisti pruriginosi e grande schermo, riguarda sempre e solo i femminicidi compiuti da migranti, possibilmente africani. I fatti ultimi di San Lorenzo, a Roma, insegnano. E Salvini deve aver studiato con attenzione i modelli americani di governance, perché sa che uno stupro fatto dai “negri” è il lasciapassare per la militarizzazione dei territori, la ruspa che cancella solidarietà e cultura, lasciando intatti narcotraffico e criminalità organizzata, spianando la strada – metaforicamente come letteralmente – alla valorizzazione immobiliare. Fortunatamente per noi tutti, in Italia e nel mondo c’è il movimento femminista a chiarire che stupri e femminicidi non hanno passaporto: riguardano i maschi, bianchi o di colore, dentro e fuori casa. Da marxista non pentito, so che questa verità ce l’hanno insegnata le donne che lottano, e solo loro.

Mentre il corpo di Desirée scompare, perché figurati che gliene frega ai reazionari di un’adolescente sofferente, prende il sopravvento il colore della pelle degli assassini, pusher e stupratori. Non ci si chiede perché i maschi stuprano e uccidono le donne, ma quale sia la sessualità delle “bestie” africane. Torna in superficie, con tutta la sua violenza, la competizione sessuale tra maschi – lo testimoniano, d’altronde, decine di articoli spazzatura in merito del Giornale e di Libero. Mi ricordo allora di una vecchia canzone di Vasco Rossi, che un pò tutti ascoltavamo negli anni Ottanta: «è andata a casa con il negro la troia». O piuttosto delle clip porno in cui il marito bianco (con la pancia) è tradito dalla moglie scafata col mandingo (ovvero l’uomo nero, statuario, con l’enorme pene).

Conosco la precisazione del militante: quella di Salvini è speculazione politica, si colpisce il «nemico della patria» per eludere i problemi (economici) che contano. Giusto. Desirée come Pamela Mastropietro (a Macerata), la grande occasione per Salvini di prendersi Roma – ora che Raggi scricchiola. Giustissimo. Ancora: c’è in ballo, spesso, la gerarchizzazione secondo la linea del colore dello spaccio. Vero. C’è anche qualcosa in più, però, che ha a che fare tanto con il nuovo (globale) attacco patriarcale e le politiche pubbliche contro le donne (tra le italiche vicende ultime: il DdL Pillon; le mozioni consiliari contro la 194 di Verona e Roma) quanto con la produzione di immaginario. Problema, quest’ultimo, assai rilevante per la alt.right US e Steve Bannon, e che noi(maschi di movimento), invece, con troppa facilità mettiamo da parte o affrontiamo superficialmente. Nell’immaginario, scriveva Sartre alla fine degli anni Trenta, c’è sempre e soprattutto una capacità di nullificare la realtà. Nel bene, con l’immaginazione possiamo prefigurare mondi a venire, sollecitando la trasformazione del presente. Nel male: non c’è realtà dello sfruttamento quotidiano che possa convincerti che il problema fondamentale della tua vita non sia il “negro”. «È andata a casa con il negro la troia», e non con l’amico di Alfredo…

Una femminista degli anni Settanta, prendendo la parola durante la toccante manifestazione dello scorso venerdì a San Lorenzo, ha avanzato una proposta forte: sono decenni che le donne non smettono di lottare contro la violenza maschile, è giunta l’ora che gli uomini facciano la loro parte, magari con un grande corteo silenzioso. L’idea a me piace molto, e magari è piaciuta anche ad altri – me lo auguro. Stai a vedere che qualcosa di simile può accadere in tempi non lunghi… Corteo o non corteo, però, ciò che non è più rinviabile è un lavoro collettivo sulle parole, sulle immagini, sul senso, sulla sessualità, sul fantasma. Senza uno scavo che sappia prendere seriamente l’inconscio, e far emergere in primo piano quel maschile alternativo che pure, tra molte difficoltà, è incarnato da tanti, si rischia di essere ininfluenti. Che l’immaginario e il fantasma sono un campo di battaglia, i movimenti se lo ripetono dal Sessantotto. Che la battaglia che conta, oggi, si gioca sul terreno nefasto del machismo reazionario è verità – tra gli uomini – ancora da conquistare.

Un rischio c’è, bene esser chiari da subito. L’inconscio è fatto e sempre da fare, collettivo e singolare nello stesso tempo. Accade tra la natura e la storia (come chiariva Elvio Fachinelli), facendo saltare la distinzione. Se è così, il lavoro sull’inconscio (uso la parola lavoro non casualmente) non è ripiegamento nell’interiorità, che tra l’altro non esiste, ma contributo decisivo, se non premessa, per la lotta di classe contemporanea. L’inconscio è una materia potenziale – costituita di affetti, «forme vitali», immagini e segni – che sta tra gli individui. Di più: degli individui, costituisce la singolarità; che è impersonale, preindividuale. In questa materia che sempre già siamo, che ci fa e che facciamo, dobbiamo mettere le mani. Per salvarci.

(articolo già apparso su DinamoPress)

 

Francesco Raparelli è nato a Roma nel 1978. Laureato in filosofia politica presso l’università la Sapienza, ha conseguito un dottorato di ricerca presso l’università di Firenze, con una tesi dedicata alla genealogia del concetto di ‘singolarità’. Da sempre attivo nei movimenti studenteschi e precari, ora anima le Camere del Lavoro Autonomo e Precario di Roma. Nella primavera del 2012 ha partecipato, come autore e ospite in studio, al nuovo programma televisivo di Sabina Guzzanti Un due tre… Stella. Esc, l’atelier autogestito di San Lorenzo (Roma), è la sua ‘casa’. Per i titoli di Ponte alle Grazie ha pubblicato La lunghezza dell’Onda. Fine della sinistra e nuovi movimenti (2009) e Rivolta o barbarie. La democrazia del 99 per cento contro i signori della moneta (2012).