Franca: Nei primi anni Ottanta, con alcune donne abbiamo fondato a Rovereto l’associazione Adelina Crimella, con un legame forte alla libreria di Milano, in particolare a Luisa Muraro. In seguito, negli anni Novanta, il riportare continuamente la discussione politica sulle questioni “autorità – disparità – affidamento”, provocò in me, e non solo in me, una specie di blocco. Il discorso sulle relazioni tra donne pareva arenato, non si riusciva andare oltre e lì ho avvertito la necessità di qualcosa che mi corrispondesse individualmente, senza perdere il rapporto con le altre. La possibilità me l’ha data Sandra, invitandomi al primo seminario guerriero dove ho conosciuto Angela Putino. Con Angela ho iniziato un percorso di libertà interiore accanto ad altre donne e questo è stato per me estremamente importante, in quanto mi ha offerto ulteriori strumenti di lettura della realtà. Non rinnego la politica della differenza, però Angela era su un piano diverso. Lei non disconosceva nulla del movimento delle donne, ma aveva questa capacità, che io penso le derivasse dalla libertà che aveva, di spingerti a camminare con le tue forze. Il suo è stato un linguaggio nuovo, non scontato, diretto alla mente e al cuore, all’intimo di ognuna di noi, uno svelamento. Lei usava nelle sue riflessioni delle immagini e delle figure su cui potevi ritrovarti e addirittura, ascoltandola, sono riuscita finalmente a comprendere e nominare quello che provavo dentro di me e a stare molto meglio con me stessa. La riflessione sull’inaddomesticato, per esempio, non esprimeva solo un senso di estraneità al mondo e alle convenzioni sociali. L’inaddomesticato mi restituiva il senso pieno di chi ero e dov’ero. E poi questa possibilità di andare sempre oltre, non avevi un’autorità materna sempre presente a darti misura, la misura te la davi tu, appoggiandoti ad altre donne. Perché la forza non era dentro di noi, ma fuori. Ti appoggiavi all’altra, ti sbilanciavi e questo ti consentiva di fare il salto, di andare oltre, sempre avanti. Mi sono trovata molto in quello che si agiva nei seminari guerrieri: sperimentazione il più aperta e libera possibile. Seguire questo percorso per me è stato fondamentale; ho partecipato a tutti i sei seminari di Angela e poi ho riportato alcune riflessioni anche all’interno dell’associazione. Tanti i movimenti indicati da Angela, per esempio “fare il salto”: te lo immaginavi davvero, non era un salto nel vuoto, c’era una base su cui appoggiarsi per poi slanciarsi verso l’ignoto. Poi la forza che c’era nel pensare alle donne come “nomadi”: è vero, noi siamo nomadi, sempre alla ricerca di qualcosa, facciamo recinto, ma un recinto che possiamo spostare, togliere al mattino e andare da un’altra parte, perché fondamentalmente siamo libere. Veramente ho avuto un grande senso di libertà in questo percorso singolare che non voleva disconoscere le relazioni di autorità tra donne, ma liberarle dalle costrizioni, anche di linguaggio, che c’erano. Quella di Angela era una pratica, un passaggio continuo tra pensiero e pratica, tra parola e azione. Con Sandra abbiamo lavorato sul pensiero di Angela, con un gruppo di donne a Mestre e un gruppo a Trento, con frequenti scambi che ci hanno portato poi ad organizzare seminari guerrieri nelle nostre realtà locali. Dopo il percorso con Angela, si è conclusa l’esperienza collettiva dell’Adelina Crimella e ognuna è andata per la propria strada. Per prima io stessa, che avevo contribuito a fondare l’associazione e in seguito avevo formato il gruppo delle guerriere trentine, ero stanca di rappresentare per loro una figura quasi materna e ho dato un taglio a questo tipo di esperienza. La pratica politica acquisita l’ho però trasferita sul lavoro, negli uffici da me diretti nel Comune di Trento (dove ho sempre richiesto solo impiegate donne) e sono stati uffici che hanno funzionato benissimo, probabilmente anche perché non scattavano meccanismi di invidia, di sostituzione o di negazione dell’altra, anzi c’era lealtà, fiducia, collaborazione, sostegno, coraggio. Eravamo molto brave, il nostro ufficio è stato preso a modello all’interno dell’amministrazione pubblica. Ci sentivamo libere e professionalmente inattaccabili, anche perché la conoscenza delle norme ci permetteva di saperle aggirare, in senso legale ovviamente, per facilitare la cittadinanza nei rapporti con il Comune. C’era questo orgoglio di fare bene il proprio lavoro, con un senso nostro.
Dopo l’esperienza dei seminari guerrieri, ho condiviso all’inizio con Lidia e alcuni anni dopo con Federica la passione per i cavalli. Con Federica viviamo quotidianamente il rapporto con i cavalli e, più da vicino, con le nostre due cavalle. Insieme abbiamo riflettuto e nominato questa meravigliosa esperienza, in cui in parte si riflette anche il nostro rapporto. Questa passione, per me, è nata per caso: un giorno Annalisa, una donna conosciuta da poco che poi diventerà un’amica molto cara, oltre che mia insegnante di inglese, mi disse che andava a cavallo e mi chiese se volevo provare anch’io. La cosa è cominciata così. Non avrei mai pensato, dopo i quarant’anni, di mettermi in questa avventura, ma con i cavalli non esiste età, né discriminazione sessuale, perché l’equitazione è l’unico sport, anche di tipo agonistico, dove uomini e donne gareggiano insieme e gli atleti, che sono i cavalli, gareggiano insieme, maschi e femmine. Il cavallo maschio non corre più della femmina; caso mai si tratta del tipo di razza e di morfologia del cavallo, un cavallo da tiro, grosso e pesante, non sarà mai veloce come un purosangue arabo, snello e leggero. Attraverso il cavallo si acquisisce innanzitutto una forma di conoscenza del proprio corpo che io non ho sperimentato in alcun altro modo, così come si acquisisce la conoscenza delle proprie emozioni e debolezze, dei propri limiti, perché il cavallo è l’inaddomesticato per natura, perché rimane comunque sempre selvaggio e libero. Il cavallo è un animale predato, anche la donna è stata storicamente predata, quindi c’è una comprensione di base molto forte tra la donna e il cavallo, anche sul piano percettivo. Il cavallo non ama costrizioni. Nel ranch che frequentiamo pratichiamo un modo di cavalcare che non prevede nulla di quelle che sono le costrizioni tipiche dell’equitazione, inglese o americana che sia, per cui cavalchiamo solo con un pezzetto di corda attorno al muso del cavallo, usiamo solo le corde, niente morso, niente redini in cuoio, niente frustini, niente speroni. Cavalchiamo stabilendo una relazione e una collaborazione con il cavallo, non ci mettiamo a competere con lui sulla forza, perché perderemmo subito. Non c’è dubbio che un cavallo, se ti vuole portare in una direzione, ti porta là dove lui ha deciso. Con il cavallo è necessaria una mediazione continua, senza la mediazione della parola, ma con quella del corpo, della gestualità, dello sguardo, della voce, con il movimento delle gambe e delle braccia, con una carezza. Tutto ciò ci pone in una situazione in cui la conoscenza di sé avviene attraverso la consapevolezza delle proprie azioni e reazioni. Le reazioni il più delle volte sono istintive perché, se perdi equilibrio e cadi o se il cavallo fa uno scarto improvviso, è istintivo reagire in qualche modo, però prevalentemente, è attraverso l’azione determinata che si riesce a condividere con il cavallo quello che si desidera fare. In qualche modo ci si accorda. Stare in sella, passeggiare nel bosco o galoppare con il tuo cavallo dà il senso pieno della libertà. La libertà di stare con il tuo cavallo si esprime anche attraverso il riconoscerlo come essere vivente diverso da te. Il cavallo è un animale, io sono una donna, non devono esserci antropomorfismi che snaturano l’essenza del cavallo. Il cavallo è se stesso, distinto da me, con la sua vita, le sue sensazioni, la sua personalità, il suo carattere, il suo sentire, le sue paure. Solo se vivo e penso il cavallo quale essere lui è, è possibile una vera e autentica relazione. Siamo due esseri distinti e differenti. Quindi mediazione, forte relazione e rispetto reciproco. Si deve fare in modo di conquistare la fiducia nel nostro cavallo, e ciò succede se ai suoi occhi diventiamo affidabili e autorevoli, se lo rispettiamo. Lui farà altrettanto e ti considererà il suo capobranco, instaurando una vera e propria relazione. Più frequenti un cavallo e più conosci te stessa. Con il cavallo conosci le tue paure, perché il cavallo è molto più grande e grosso di te, impari a conoscere i tuoi limiti, quando per esempio il tuo corpo è nervoso per qualche motivo, il cavallo lo riconosce immediatamente. Per muovere un cavallo non esercitiamo la forza, basta un movimento del bacino, quindi devi essere rilassata, seguire il suo movimento e quello lo puoi fare solo attraverso una conoscenza profonda del tuo corpo acquisita attraverso il cavallo e viceversa. Il cavallo è estremamente sensibile e molto intelligente. È scientificamente provato che l’apprendimento del cavallo è più veloce di quello di una persona. Usiamo la sella, e a volte no, con le nostre cavalle impariamo che la ricerca di equilibrio consente di restare insieme al cavallo e contemporaneamente a te stessa, senza timore di cadere. Anche nelle nostre relazioni siamo sempre alla ricerca di qualcosa, ma l’importante è andare sempre in qualche direzione, non necessariamente dritto, ma verso un obiettivo e con il cavallo è così, è una ricerca costante di equilibrio perché lui è un essere vivo e in movimento e tu devi essere capace di seguire il suo movimento e questo ti mette molto alla prova e ti fa pensare. Questa passione che ci accomuna è stata anche un’occasione di pensiero molto forte e forse non è un caso che ci siano più ragazze che fanno equitazione che non ragazzi. Poi, purtroppo, arriva l’adolescenza e le ragazze facilmente abbandonano, così rimangono i maschi. Però se voi guardate i risultati agonistici più elevati, sia mondiali che europei, sono ottenuti da squadre di donne o donne singole. Nel momento in cui tu ti conosci meglio e sai quali sono i limiti e le forze, puoi conoscere e “leggere” l’altra/o. Ho letto libri, fatto seminari sul linguaggio del corpo, ma servono a poco rispetto all’esperienza personale, al tuo metterti in gioco. Frequentando i cavalli, abbiamo sviluppato una sensibilità, un’attenzione particolare. Se cade una foglia, per esempio, un cavallo può sobbalzare, perché vede e sente molto prima di te. Noi stiamo in mezzo al branco, all’aperto e, stando insieme ai cavalli, impari la legge del branco, per cui abbiamo imparato un linguaggio gestuale che usiamo con i cavalli, per esempio un certo tipo di sguardo per far allontanare o avvicinare un cavallo oppure anche un gesto per farlo andare indietro, come accarezzarlo o solo guardarlo per farlo spostare di lato. A me un giorno una cavallina dava fastidio perché mi stava sempre attorno, quasi appiccicata, allora le ho dato due avvertimenti e al terzo l’ho scalciata e lei è andata via subito. I cavalli danno sempre due avvertimenti prima di calciare. Capisci se una persona si irrigidisce da come si atteggia, questo l’ho imparato osservando i cavalli e vedendo come io mi pongo rispetto a loro. Le riflessioni sono utili in qualsiasi tipo di relazione, come la conoscenza del proprio corpo e dei propri limiti. Se paura e ansia ti irrigidiscono e ti bloccano, il cavallo ti mette subito in evidenza quello che non sei riuscita a fare.
Ho iniziato ad andare a cavallo con Cristina, un’istruttrice che aveva una conoscenza molto approfondita dei cavalli, avendo iniziato a cavalcare da piccola, nella scuola di Mestre che è una scuola molto importante per l’addestramento classico. L’addestramento che pratichiamo oggi si chiama “doma dolce”. Un giorno vado a cavallo e lei mi chiede: “che cos’hai?”. Le rispondo: “non ho niente” e lei di rimando:“hai la cerniera inguinale rigida”. In effetti, era vero: ero nervosa e volevo nasconderlo.
Attraverso il cavallo impari a capire la natura umana. Una ragazza che frequentava il maneggio in cui eravamo diversi anni fa, il giorno di una gara ne approfitta e scappa da casa. I suoi genitori, dopo una serie di inutili ricerche, si sono rivolti a “Chi l’ha visto”. Quelli di “Chi l’ha visto”, invece di andare dai genitori disperati, sono andati a chiedere informazioni sulla ragazza all’istruttore di equitazione, perché era lui che la conosceva di più. Quando hai a che fare con il cavallo, infatti, sei nuda, senza difese. Attraverso l’addestramento di sé, si impara a leggere anche in altre/i il coraggio, la lealtà, le paure, l’esitazione. Si acquista maggior consapevolezza e libertà.
Noi abbiamo visto dei ragazzini autistici con difficoltà gravi che nel giro di un anno hanno fatto miglioramenti incredibili, sul piano della capacità relazionale con il cavallo e conseguentemente con le persone. C’è la possibilità con il cavallo di un contatto e anche di uno scambio che però non è sovraccaricato di sollecitazioni come quelle tra umani. C’è una trasmissione empatica, un flusso che passa da te al cavallo e viceversa, su un piano dispari, per entrambi, dove le differenze sono un valore aggiunto, senza forzature né costrizioni. Tu sviluppi empatia con il cavallo, a livelli di conoscenza reciproca, può esserci anche una trasmissione di pensiero, nel senso che tu pensi “io voglio fare questo con te” e il cavallo lo fa, senza altre mediazioni, se non il puro pensiero. La conoscenza avviene anche attraverso l’olfatto e l’odore (l’odore è una espressione del selvaggio che permane negli esseri umani), attraverso la vista, il tatto e l’udito. Anche attraverso il riconoscimento vocale. Il cavallo conosce benissimo il suo nome ed è in grado di riconoscere alcune parole. Il cavallo è sensibile al tono di voce e preferisce quello dolce. È molto bello chiamare la propria cavalla e vedere che lei si stacca dal suo branco per venire da te.
È molto difficile trovare un cavallo aggressivo: se lo è, vuol dire che ha subito delle violenze o che soffre, fisicamente o psicologicamente, altrimenti un cavallo ha un atteggiamento molto disponibile, è molto curioso, soprattutto con i bambini. Se tu cerchi di accarezzare un cavallo e lui non vuole, non ci riuscirai mai, perché è sufficiente che alzi la testa, ma, se il cavallo vede un bambino, si abbassa per primo e si fa accarezzare la testa e il muso, e anche quando ha un bimbo in sella si comporta molto bene.
La nostra cavalla più vecchia, morta a circa trent’anni d’età, aveva fatto scuola per tanti anni ed era molto brava con i bambini, poi nel corso del tempo si era stancata di fare scuola per otto, dieci ore al giorno, finché l’abbiamo comprata Lidia e io. Se l’adulto la montava, lei faceva la statua di sale, non si muoveva, quindi nessuno la voleva per la scuola, dovevi combattere con lei, era una cavalla furbetta e molto permalosa, si offendeva spesso. Se invece arrivava un bambino, diventava più fluida, si abbassava con la testa per farsi accarezzare, tirare le orecchie, si lasciava mettere le dita negli occhi e accettava di essere montata. Quando impari ad andare a cavallo all’inizio devi usare molto le gambe per avvolgere e stringere il costato del cavallo. Per noi cavalcare e frequentare il branco è una scuola di vita, un addestramento guerriero continuo.
Federica: Anch’io sono stata un’appassionatissima di cavalli. A Roma, diversamente da altre città, a volte andare a cavallo diventa immediatamente un connotato di classe e io a Roma ho smesso perché era un posto di signore snob e c’era tutta una pantomima, mentre per me era importante il rapporto con l’animale.
Franca: Noi infatti da qualche anno siamo in un ranch gestito da una famiglia (non un maneggio quindi), dove i cavalli sono liberi. Noi li montiamo vestite normalmente con i jeans e andiamo nei boschi. La nostra cavalla più giovane, Amalthea, è figlia di un’altra nostra cavalla che oggi non c’è più. L’abbiamo vista nascere e crescere. Lei è la cavalla di Federica. Amalthea non ha mai messo un morso o un ferro ai piedi e mai glielo metteremo: è una cavalla libera, il suo piede è scalzo. Questa cavalla sarà libera per tutta la sua vita, perché abbiamo deciso di non farle fare competizioni e lo stesso vale per la mia cavalla, Angel. Vivono in un paddock, insieme ad altri cavalli.
Noi sappiamo come accarezzare un cavallo, che cosa fare o non fare. Certe cose le impari anche sui testi, ma queste le abbiamo imparate per esperienza diretta, è una sperimentazione continua come la bellezza di stare con loro in un bosco, andare per sentieri che non conosci o andare fuori pista dove incontri i caprioli, gli scoiattoli, le capre selvatiche, e nel cielo osservi il volo del falco o dell’aquila. La postura per eccellenza per stare a cavallo è a spalle aperte, non ripiegata su te stessa, affronti la strada a petto aperto, accetti e ricerchi la sfida, guardi avanti, procedi con la stessa fierezza della tua cavalla. Andare a cavallo ti dà forza e coraggio: sali, vai al passo del cavallo non al tuo (reciprocità e fiducia) poi passi al trotto, poi al galoppo. La cosa più importante però non è fare andare un cavallo, ma riuscire a fermarlo! Devi avere coraggio, superare le tue paure, perché non puoi continuare ad andare solo al passo. Quindi è un continuo essere messe alla prova. Devi costruire un rapporto di fiducia, una relazione. Non ci sono certezze, ti può capitare di cadere da cavallo, anche se sei esperta, se sei in un periodo di ansia, insicurezza. Andare a cavallo tira fuori la determinazione che hai, devi decidere che cosa fare, altrimenti il cavallo ti porta in giro e fa quello che vuole lui. Questa determinazione poi si sente nella vita di tutti i giorni. Affronti certe situazioni lavorative pesanti senza subirle. Se ti approcci al cavallo con la pretesa di controllarlo sarai sempre perdente.
Federica: Esatto. Allora, secondo me, questa cosa diventa un guadagno politico.
Franca: Senza condivisione tu non puoi fare niente, anche questo si trasferisce immediatamente nella realtà.
Federica: Un altro elemento che trovo molto importante per questi tempi qui – questa è la mia percezione – è l’inflazione del linguaggio, di parole che coprono la possibilità di conoscere e devo dire che il femminismo, a modo suo, dentro la sua storia, la sua temporalità, lo corre questo pericolo che le parole, invece di soccorrere, appoggiare le scoperte, le coprano e allora un altro punto che si potrebbe guadagnare è questo: quando l’autorità viene attribuita è perché di fronte hai una donna che ti mostra molto più delle parole che dice.
Franca: Quello che ho imparato dal cavallo, l’inaddomesticato per eccellenza, è che una parte di te rimarrà sempre inaddomesticata, nel senso che c’è una soglia nel rapporto con il cavallo che non puoi mai superare per il rispetto nei suoi confronti e per la dignità che ha il cavallo. Un cavallo non sarà mai soggetto a nessuna regola, se non la condivide e questo per una donna è estremamente importante: saper riconoscere i tranelli che cercano di limitare, di ingabbiare la tua libertà, per cui tu capisci ciò che è inaddomesticato in te e lo sarà sempre, perché conosci i meccanismi di un potere che può toglierti libertà. Non puoi avere la pretesa di togliere al cavallo la sua natura di inaddomesticato. Il cane ha un rapporto di sudditanza, neppure un gatto è così inaddomesticato come un cavallo.
Esiste una forma di linguaggio con il cavallo, ma non è quello dato, è quello inventato e stabilito da entrambi. È fatto anche di parole. È il linguaggio della conoscenza e della libertà reciproche, di chi impara a conoscersi e riconoscersi.
Federica: E i cavalli sottoposti a carichi ingrati?
Franca: Prima o poi il cavallo si ribella, te la fa pagare, hanno una memoria più grande forse di un elefante. Il cavallo si ricorda tutto: se perdi il sentiero, ti riporta a casa, hanno una specie di radar naturale. Nel rapporto con il cavallo ritrovo quell’inaddomesticato di cui parlava Angela Putino che mi ha fatto innamorare del percorso che lei proponeva. Nel vivere il rapporto con la mia cavalla, ho sperimentato la forza della relazione, il rispetto reciproco, l’amore per la diversità, la conoscenza dei miei limiti, l’imparare ad avere coraggio e l’andare oltre le parole per essere se stesse e libere, essere e sentirmi guerriera. Penso che la mia libertà nessuno me la potrà togliere, mi sottraggo ad ogni tipo di controllo e ho imparato a mia volta a non pretendere di controllare gli altri. Non è possibile controllare un cavallo, comunque non ci riusciresti: questa è la lezione che ho imparato. Non a caso si parla di “governo” del cavallo. Là dove c’è una pretesa di egemonia, di fatto, tu non governi né con la violenza né con l’autoritarismo. Tutto ciò vale anche nelle relazioni personali e sociali.
Federica: E nemmeno con la persuasione, non è effetto di retorica. Ritorno su questo punto e dico che stare in una sperimentazione significa non avere già fatte le parole, abituarsi a imparare anche fuori da un linguaggio già disponibile.