Natura e politica

Natura e politica

Il pensiero delle donne sulla natura è un pensiero recente che parte da una prospettiva dichiaratamente incarnata nei corpi e per questo parziale. Proprio intorno al concetto di parzialità ruota il contributo di tutte le scienziate, filosofe e attiviste che a partire dalla prima metà degli anni ’70 hanno messo in pratica una rilettura “situata” della storia della scienza e quindi della cultura della natura. A queste donne va riconosciuto il merito di aver trattato la natura e la scienza come fatti sociali, quindi come costrutti particolarmente vulnerabili all’influenza di ideologie e stereotipi. In questo sovvertimento, in questa rottura dell’ordine precostituito, sta la valenza politica del pensiero femminista sulla natura, un pensiero che, pur nelle sue molteplici istanze, ha posto al centro la critica di quella “neutralità” per secoli chiamata in causa a legittimare strategie di dominio sul “naturale”. Il lavoro delle pensatrici della natura è coinciso quindi, da una parte, con un lungo processo di ricerca sul simbolico che ha smantellato le metafore sessuali e sessiste di cui il paradigma scientifico dominante faceva ampio uso, e ha esplorato nuovi concetti di alterità muovendosi oltre il dualismo maschile-femminile; dall’altra, con l’elaborazione di pratiche e strategie politiche. Si tratta di un processo ancora in corso, che negli ultimi anni ha manifestato soprattutto l’esigenza di dare spazio a nuove figurazioni per rappresentare la natura e il rapporto tra corpi, ambienti e tecnologie. Purtroppo, il pensiero politico delle donne sulla natura non ha ancora trovato il giusto spazio in Italia, e più in generale nel vecchio continente. Possiamo dire invece che il dibattito è fervido in America, Asia e Australia, terre di conquista nelle stagioni del colonialismo, ma anche paesi che in modi differenti hanno ancora esperienza diretta della natura intesa come wildness. In questo senso, la testimonianza delle pensatrici asiatiche, americane, australiane, incarna sicuramente un pensiero radicato nell’esperienza. Qui di seguito proponiamo alcune letture scelte per un’introduzione all’argomento.

D’Eaubonne Francois (1974), Le feminisme ou la mort, Pierre Horay, Paris

In questo testo compare per la prima volta il termine ecofemminismo, spiegato come l’incontro tra pensiero femminista ed ecologia. Si tratta di un pensiero “nuovo” che stabilisce una relazione politica tra la figura femminile e la Terra: le donne e l’ambiente si trovano ad essere categorie oppresse e destinate allo sfruttamento, all’interno del medesimo paradigma patriarcale dominante. Si tratta di una versione ingenua di ecofemminismo che tende soprattutto a sottolineare il nesso tra la violenza maschile esercitata sull’ambiente, e quella esercitata sui corpi delle donne.

Merchant Carolyn, (1980) The death of nature: women, ecology and the scientific revolution, ed.it. La morte della natura, Milano, Garzanti, 1988

E’ considerato uno dei testi chiave dell’ecofemminismo. Qui l’autrice teorizza la transizione dalle società pre-moderne a quelle moderne come il passaggio da una concezione del mondo come organismo vivo a una concezione del mondo come macchina inerte. Un passaggio avvenuto in corrispondenza della Rivoluzione scientifica, e segnato dal graduale abbandono dell’ordine simbolico del materno, largamente diffuso nelle società arcaiche per rappresentare la natura e, più in generale, la Terra. La natura come nutrice, la terra come madre, il mondo come organismo di parti tra loro interconnesse e cooperanti, sono tutti tasselli appartenenti a quell’immaginario olistico che precede le società basate sullo Stato nazione, l’illuminismo scientifico, il capitalismo economico. L’edizione italiana contiene anche una presentazione di Elisabetta Donini, docente universitaria in Fisica fino al 2004, da anni attiva all’interno del dibattito su donne e scienza.

Fox Keller Evelyn, (1985) Reflections on gender and science, ed.it Sul genere e la scienza, Milano, Garzanti, 1987

In questo volume la fisica e femminista statunitense pone apertamente la questione del genere all’interno del discorso scientifico, partendo dalla individuazione degli stereotipi sessisti presenti nella cultura della scienza patriarcale. Una voce interna al contesto scientifico dichiara esplicitamente che teorie, modelli e descrizioni della natura non sono qualcosa di universale e imparziale, bensì costrutti socioculturali altamente influenzati dal modo di pensare di una determinata comunità storica, quella dei maschi, bianchi, occidentali. Nonostante il lavoro di Keller abbia fatto discutere le femministe – soprattutto per la sua reticenza nel riconoscere l’esistenza di uno specifico punto di vista femminile sulla natura – il contributo principale del testo è stato proprio quello di riportare la testimonianza di un’addetta ai lavori. L’edizione italiana include una presentazione di Paola Manacorda, matematica ed esperta di grandi sistemi informatici.

Harding Sandra, (1986) The Science Question in Feminism, Cornell University Press

Testo cardine per il dibattito femminista sulla scienza, pone al centro la questione dell’obiettività. L’autrice, filosofa della scienza americana, mette a confronto le diverse critiche che l’epistemologia femminista ha fatto all’obiettività così come intesa dalla scienza moderna patriarcale, ponendo in relazione empiricismo femminista e teoria del punto di vista femmnista (standpoint theory). Una riflessione che la porterà più tardi ad elaborare la sua nozione di “obiettività forte”.

Irigaray Luce, (1986) Sessi e Genealogie, Milano, Baldini Castoldi Dalai, in particolare i saggi L’universale come mediazione, pp. 145-171, e Una possibilità di vivere. Limiti al concetto di neutro e universale nelle scienze e nei saperi, pp.205-231

Iin questi interventi tenuti entrambi nel 1986, il primo a Zurigo e il secondo a Tirrenia, Irigaray esplora le connessioni tra matriarcato e natura, e articola una critica al concetto di neutralità scientifica partendo dalla catastrofe di Cernobyl.

Shiva Vandana, (1988) Staying alive: women, ecology and survival in India, ed.it Terra madre. Sopravvivere allo sviluppo, Torino, UTET, 2002

E’ il manifesto politico della fisica e ambientalista indiana Vandana Shiva, famosa per le sue battaglie al fianco delle donne del Sud. Una critica all’Occidente e alla cultura patriarcale che rende visibile il ruolo delle donne del Sud per il pianeta, descrivendo dettagliatamente la rete di saperi femminili elaborata nei millenni all’interno del sistema natura: dalla catena alimentare agli ecosistemi forestali, dalle lotte per i beni comuni alla gestione dell’acqua. Della stessa autrice consigliamo anche Il bene comune della terra, Milano, Feltrinelli, 2006

Duden Barbara, (1991) Der Frauenleib als öffentlicher Ort, ed.it. Il corpo della donna come luogo pubblico, Torino, Bollati Boringhieri, 1994

Uno sguardo storico sui corpi, una ricostruzione puntuale del processo di pubblicizzazione/espropriazione del corpo della donna e delle sue funzioni, parallelamente all’avanzare della tecnica e della medicalizzazione maschili. Della stessa autrice segnaliamo anche Il gene in testa e il feto nel grembo, Torino, Bollati Boringhieri, 2006.

Haraway Donna J., (1991) Simians, Cyborgs and Women: The Reinvention of Nature, ed.it Manifesto Cyborg. Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo, Milano, Feltrinelli, 1995

Il volume include il famoso “Manifesto” di Haraway, che teorizza un nuovo soggetto politico: il cyborg, organismo composto di carne e silicio, natura e tecnologia. Una figurazione material-simbolica del tutto originale che ha ispirato tutta la riflessione cyberfemminista successiva, e da cui prende le mosse il progetto di una tecnoscienza femmnista. L’edizione italiana è curata da Liana Borghi e include un’introduzione di Rosi Braidotti. Della stessa autrice segnaliamo anche Testimone modesta@FemaleMan©_incontra_OncoTopo™, Milano, Feltrinelli, 2000.

Plumwood Val, (1993) Feminism and the mastery of nature, New York, Routledge

Una delle maggiori teoriche dell’ecofemminismo spiega la relazione donne-natura come il nesso culturale che ha storicamente legittimato una serie di colonizzazioni a più livelli, quello che Plumwood chiama il “modello dominante”. In questo testo la teorica australiana smaschera i dualismi sottesi alla rete di dominio in cui spesso donne e natura si sono trovate a svolgere lo stesso ruolo, quello di subalterne.

Braidotti Rosi, (2005) Madri, mostri, macchine, Roma, Manifestolibri

Un volume che raccoglie tre saggi sulla riflessione post-moderna intorno ai corpi femminili e alle loro connessioni con il mostruoso ed il macchinico. Una voce, quella di Braidotti, attenta a contribuire in modo originale al discorso sulle metamorfosi e sulle ibridazioni in corso nell’era delle nuove tecnologie informatiche e biologiche, dove i confini tra natura e tecnica sono sempre più permeabili. Della stessa autrice segnaliamo anche In metamorfosi. Verso una teoria materialista del divenire, Milano, Feltrinelli, 2002, in particolare i capitoli 3, 4 e 5.