Il movimento che intuisco e percepisco con chi si metta in cerca della propria verità, è a spirale: si va avanti, seguendo un’ellisse immaginaria disegnata nello spazio, si torna indietro, si rivede ciò che è avvenuto, si fanno scoperte e poiché gli inconsci si parlano, al di qua e al di là delle parole, si sale, si pesca quanto serve nel paniere sospeso in cima al cielo poi si scende, si procede, si risale. Da lassù mi capita di domandarmi: in questi 30 anni, come sono cambiati loro che vengono da me? E io che accolgo, come è cambiata la mia percezione del mondo attraverso i miei personali processi di trasformazione e rinascite in vita? Come è diventato il mondo che da soli e insieme abbiamo attraversato negli ultimi decenni? Cosa ha significato per me frequentare la Libreria delle Donne di Milano?
Prima considerazione: la domanda di comprensione e cambiamento di chi varca la soglia di questo luogo è sempre, direttamente o indirettamente, relazionata al tema dei rapporti con l’altro, specialmente l’altro sesso e i sentimenti connessi al disagio dell’alterità, compreso quello con i figli. Detto in altri termini: tutto ciò che concerne il bene e il male delle famiglie sempre in oscillazione tra eccesso di sofferenza nei cambiamenti e nelle perdite, o al contrario, tra eccesso di distacco ed estraneità nel tentativo fallimentare di evitare sofferenza.
Seconda considerazione: progressivamente, negli anni, più donne che uomini ma, in tutte le età, è cresciuta la domanda del maschile: gli uni e gli altri vengono ad esprimere crescente volontà di liberarsi da vincoli basati sul dominio e il maltrattamento morale e/o fisico, sia che questo provenga dall’universo maschile (padri, mariti, amanti possessivi, violenti e svalorizzanti), sia da quello femminile (madri, compagne, mogli, amanti, quando, rigide e inconsapevoli se ne stanno a sentinella, guardiane irremovibili a difesa dell’antichissimo simulacro patriarcale). Osservo che, più frequentemente che nel passato, l’aiuto a capire, a cambiare, a reincarnarsi in vita, – certo, quando la situazione non è troppo grave, né troppo pericolosa – è orientato a mantenere la coppia, migliorandola, piuttosto che troncare, condannandola alla disfatta. Donne e uomini, ma soprattutto donne, arrivano disponibili ad esplorare le proprie zone d’ombra, a liberarsi, rimanendo unite ai loro partner nella consapevolezza che, se da certi stereotipi ci si libera insieme, si compie una rivoluzione ancora più grande rispetto al sistema di appartenenza. Sistema sociale a intelligenza virale che, con le sue astuzie, più ci divide e più ci rende fragili; più ci rende soli, più ci riduce all’impotenza, attanagliati da bisogni indotti ad arte per negarci quelli più profondi capaci di generare autentici rivoluzionamenti. A volte, le donne, conoscendo la propria zona ombra, passano attraverso intense esperienze di dolore ma, invece che esserne piegate, scatenano in loro, tra anima e psiche, tra anima e corpo, una forza straordinaria, capace di attivare importanti processi di resilienza a beneficio proprio e di tutti i sistemi di appartenenza.
Terza considerazione: mi è sempre più chiaro che un cammino di trasformazione significativa, sia per gli uomini che per le donne è processo faticoso e non breve e che si realizza facendosi sostanza vitale, ben oltre il luogo in cui avvengono i nostri incontri. Infatti, le sorgenti e i canali che irrorano corpo, mente, immaginazione attiva e rete di relazioni più o meno affettive, sono innumerevoli: per esempio incontri, amicizie, letture, eventi e circostanze che colpiscono altre e altri che ci sono vicini e che possono farci pensare nuovi pensieri, aprirci a nuove possibilità. Dunque più di sempre, ora che le distanze e i silenzi tra le persone sembrano farsi più grandi e i legami più liquidi o evanescenti, contano moltissimo i rapporti di affetto, solidarietà, creatività, divertimento, scambio culturale con gli altri, per una donna, soprattutto con altre donne.
E per gli uomini? Mi è sempre più chiaro che, affinché si attivino nelle loro vite, processi di profonda trasformazione, risulta essenziale che abbiano rapporti di vicinanza con almeno una donna liberata o in via di esserlo e che quindi questa donna sia in un cammino di crescente consapevolezza per se stessa, aperta con lui a un dialogo autentico. Questo, sembra essere per l’uomo, contatto alchemico potentissimo, capace di far riemergere Anima, risvegliandola dal torporeancestrale, cosicché attraverso il benefico contagio, passi la legittimazione ad appropriarsi di un sentire negato, fin dalla prima infanzia, da secoli, da millenni. Lo so per certo, essendo stata quella strada anche la mia, che il processo evolutivo e di rinnovamento non finisce mai, finché siamo in cerca di gioia ma anche aperte/i. in presenza di dubbi e insoddisfazioni, disposte/i al dolore più o meno acuto per la messa in discussione dei nostri stereotipi. Intendo forme pensiero, convinzioni a priori, ereditate da chi ci ha preceduto, copioni di vita a cui possiamo trovarci assoggettate/i più o meno inconsapevolmente. Questo è il potere dell’introietto colonizzante deciso a separarci, confonderci, ad infragilirci tutte e tutti senza differenza tra genere maschile o femminile, così da spostare su altro, inibendola, la nostra capacità di desiderare ed essere felici. Influenze potenti in grado di spingerci a nostra insaputa verso le più disparate forme di conformismo infelicitario annodato ben stretto al bisogno insaziabile di possedere oggetti.
Quarta considerazione: forse un aspetto importante della sofferenza che vedo, riguarda la capacità di desiderare che in noi umani è intrinsecamente legata all’istinto di vita? Nucleo pulsante che negli ultimi decenni é stato in gran misura colonizzato, mantenendo nel tempo l’illusione di felicità attraverso l’accumulo illimitato di qualcosa che è sempre fuori di noi. Mai dentro! E allora, come riconoscere un desiderio in noi che non sia colonizzato dal sistema mass mediatico, dalla cultura familiare, dai sensi di colpa, dalla cultura clericale o anticlericale? Non ho risposte precise ma, su questo stimolo, mi vengono in mente le donne che per esempio arrivano portando la loro sofferenza legata al desiderio, sebbene contraddittorio, di avere figli: voglio un figlio ma non voglio dipendere dai miei genitori; desidero il secondo ma sarebbe un macello; vorrei dare alla mia bambina un fratellino, ma come faccio, con due piccoli insieme; vogliamo un altro figlio ma tra me e mio marito non guadagniamo a sufficienza per pagarci un aiuto; io ho deciso di abortire, è la terza volta, la confusione tra il desiderio di maternità e l’impossibilità dell’organizzazione del lavoro è insostenibile; la depressione del dopo-parto dicono che è fisiologia, ma senza mia madre vicina e lontana da un cerchio di donne che potrebbe darmi respiro e supporto, come faccio…; io ho deciso che di figli non ne voglio, sarebbero di intralcio al mio desiderio di carriera, sarei perdente in partenza, rispetto ad un uomo che non è tenuto a farne.
E mi viene in mente anche altro: due mie care amiche ostetriche che lavorano da tanti anni nel territorio tra Bergamo e Milano, accompagnando le donne al parto in casa: loro osservano curiosamente, anzi, con preoccupazione, che nel parto non c’è più fisiologia. Cosa significa? Significa che le donne sono impaurite, medicalizzate, allontanate dalla loro forza, sono indebolite dalla distanza tra loro e le generazioni precedenti come se si fosse fermata la ruota che trasportava le conoscenze del femminile da una generazione all’altra. Forse noi delle generazioni precedenti abbiamo avuto la necessità di allontanarci e separarci dalle tradizioni portate dalle generazioni precedenti e lo sappiamo bene, volevamo conquistare e gestire spazi di libertà, che prima di noi, mai erano stati posseduti dalle donne; e il separatismo dagli uomini e dalle madri per molte di noi è stata cosa sola. Abbiamo bisogno di recuperare anche tra donne il piacere e la ricchezza di stare insieme e vicine, di creare nuove tessiture di libertà che riguardino lo stare insieme anche tra diverse generazioni e fortificare e interconnettere i saperi del femminile sia quelli più vicini nel tempo, sia lontani, anche lontanissimi.
Quinta osservazione: gli uomini, negli ultimi anni arrivano, sempre più spesso con sofferenza e depressione provocate dal dominio e dalle minacce subiti nel posto di lavoro che, al proprio interno, è ovvio, ne impedisce gli opportuni processi di riparazione; ed io comprendo sempre più chiaramente che la sofferenza per i due generi è indifferentemente interconnessa con dinamiche di reificazione e riduzione dell’umano a oggetto, come pure di dinamiche di conflitto in cui, per motivi vari, non vengano previste parole e pratiche per l’ascolto reciproco e la gestione delle diverse visioni del mondo per crearne, insieme, altre. Allora, è abbastanza chiaro che, numeri alla mano, noi donne, oltre a subire tutti i vari abusi che anche l’uomo subisce dalla società, dobbiamo fare i conti con la tendenza, consapevole oppure no, di molti uomini (non tutti per fortuna) a stabilire con
noi rapporti di dominio. Dunque, ovunque ci sia un più forte contrapposto a un più debole vince chi nel contesto ha maggior potere gerarchico oppure potere di fatto: il più alto in carica, il più abile nell’oggettivare, mortificando e denigrando l’altro. Il gioco del dominio e dell’annientamento avviene nella realtà lavorativa, come nelle relazioni affettive, nella politica, nei rapporti societari, nei rapporti familiari, nella visione dei futuri scenari e, ovunque si manifesti, serve molta forza per sostenere nuovi o antichi desideri. Eppure, ci sono altri modi per disarcionare i tiranni: non sono i tiranni a creare gli schiavi ma gli schiavi a creare i tiranni! L’ho sentito dire in modo provocatorio ma con l’obiettivo sacrosanto di attivare nuove visioni e pratiche tramandabili per una lotta creativa che continui nel tempo arricchendosi continuamente.
Torno al mio luogo che, certo, non è trono, né sedia gestatoria, tantomeno confessionale, piuttosto luogo protetto d’incontro e relazione clinica che io considero cammino di svelamento e libertà, di relazione che apra ad un pensiero più vasto capace di generare gioia e curiosità oltre lo steccato del conformismo familistico, sociale o mas-mediatico.
Quando ci sono le condizioni, è una sorta di nuova semina: dopo aver rivoltato le zolle, tolte le erbe infestanti e procurata nuova semenza mescolata al meglio di quella che già si possedeva, si procede per altri cammini e ciò significa riconoscere la propria parte di responsabilità e conseguentemente, appropriarsi della grande forza liberata: disponibile finalmente per essere investita, usata per fertilizzare e procedere in prospettiva dei nuovi raccolti. Serve tutta la forza che serve, per liberarsi dalle messe in scena copionali ereditate dalle madri e dai padri: sistemi ordinanti, fin da molto prima di noi che, in quanto superati, divengono limitanti e infelicitanti. Nel nostro profondo, personale e collettivo, ci sono voci sempre meglio intercettabili che chiamano profondi cambiamenti.
Conclusione: sembra che diventeremo tutti meno abbienti di un tempo e a qualcuno andrà meno bene che ad altri e la capacità di resilienza, come pure di stare fuori dal pensiero unico e stereotipato, la condivisione dei differenti universi di appartenenza, la competenza nel lavoro di cura delle relazioni, così come la politica delle donne mi ha insegnato, saranno le pratiche quotidiane, i talenti indispensabili, i melograni dorati per ritrovarci, oltre il passaggio epocale, più consapevoli e più ricchi. Questo il processo in atto che io vedo chiaramente, processo che ci attraverserà un lungo presente. Ci ritroveremo altrove con nuove esperienze e riflessioni su cui continuare a meditare e sperimentare per evolverci insieme.