Paternalismo, dall’esclusione verso l’inclusione: una risposta al femminile

di Veronica Zancarli

  1. Il sessismo democratico post-patriarcale

1.1   Il mondo delle donne: dal patriarcato al paternalismo post-patriarcale

   Il contesto socioculturale in cui ci troviamo oggi vede le donne immesse in una dimensione spaziotemporale in cui esse possono godere le libertà acquisite dalle stesse nel corso degli anni, anche se scontrandosi spesso e volentieri con le difficoltà del lavoro e della sfera pubblica in generale: ecco quindi che oggi, più che di patriarcato, dovremmo parlare di post-patriarcato.

Infatti, il patriarcato si fondava sullesclusione delle donne dalla sfera pubblica, mentre il post-patriarcato si fonda sullinclusione delle donne, uninclusione la cui logica è però basata sulla differenza. La donna viene quindi inclusa, ma più per una mera retorica del politically correct che non per una reale attribuzione di valore al mondo femminile, alla passione, al saper fare, al desiderio delle donne. Oggi parliamo quindi di post-patriarcato, grazie alle libertà acquisite, ma dobbiamo anche parlare di paternalismo, di uninclusione per identità e differenza che fa sì che la libertà acquisita dalle donne non venga realmente riconosciuta. Si basti pensare ad esempio alla questione delle pratiche legate alla richiesta di quote rosa o finalizzate allautodeterminazione femminile, fortemente legate a quel rapporto insidioso che intercorre fra esclusione ed inclusione. Linclusione per quote parte infatti dal presupposto per cui la società patriarcale abbia storicamente, fin dai tempi della polis, escluso le donne sia dalla rappresentanza che da qualunque altro luogo di decisione. Da qui il meccanismo della “tutela” femminile, di una rappresentanza seconda, subordinata alla principale, concessa alle donne. Questo tipo di inclusione si fonda quindi su una condizione di esclusione che ha radici culturali premoderne e che continua a perpetuarsi ancora oggi, seppur in modo diverso. Le quote finiscono così per costituire la funzione specchio di una società basata sul paternalismo nei confronti delle donne, chiaramente collocate in una posizione secondaria, subordinata: esse andrebbero infatti sorpassate, superate dalla reale valorizzazione e dal riconoscimento del talento, delletica e dellintelligenza femminile, delle competenze diverse delle donne, non in quanto donne, ma in quanto aventi qualità per lappunto diverse. La valorizzazione delle donne dovrebbe avvenire diversamente, non includendo le stesse allinterno di un sistema che di base risulta asimmetrico, in cui il protagonismo maschile non riconosce il giusto spazio e soprattutto il giusto valore al mondo femminile e che anzi, come avremo modo di approfondire successivamente, usa e strumentalizza le donne per “metterle a valore”, senza saperne comprendere ed accettare realmente lautorevolezza, la capacità, il desiderio.

La libertà acquisita dalle donne, che prendono parola seguendo tenacemente le proprie passioni, risulta quindi difficile da mettere in forma: il paternalismo ci riconduce ad un mancato riconoscimento di questa libertà, mentre la società e le sue forme di organizzazione non riescono ad acquisire questa trasformazione al femminile.

   Questo meccanismo di inclusione differenziale si inserisce allinterno di un più ampio e complesso contesto contemporaneo, un contesto che, in conseguenza al modello economico neoliberista, differenzia le soggettività andandole a identitarizzare forzatamente: di seguito vedremo come la nozione di “sessismo democratico” si adatti esattamente a questa attitudine della società, che de-soggettivizza i soggetti, li differenzia e identitarizza, al fine di renderli oggetti della costruzione di ordini discorsivi. Una società che include le donne, ma strumentizzandole per meri fini di marketing allinterno di una logica neoliberista, in cui la donna diventa oggetto di una strategia di governo e di una strategia discorsiva.

1.2  La procedura differenziante e il sessismo democratico

La procedurra “differenziante” è una conseguenza della post-modernità e del neoliberismo. Nellepoca della frammentazione della sovranità, del lavoro, del diritto, del sapere, le soggettività o gli attori sociali si frammentano a loro volta andando a fomentare una rappresentazione del sé basata solo sugli status. Lo status, per definizione, […] è laccettazione di un processo di identitarizzazione forzata, nel senso di prodotta, dai discorsi e dalle pratiche che afferiscono ai sistemi giuridici, economici e politici(1).

   Le soggettività prodotte risultano quindi governate proprio a partire da questi processi di identitarizzazione imposti e non a partire dalle soggettività che praticano la libertà, contro ogni logica di classificazione degli individui. E perciò le donne, in particolare, vengono “oggettivate” e allo stesso tempo “de-soggettivizzate” e «ciò che emerge oggi con chiarezza è la tendenza ad “includere” le donne, a parlarne, a discuterne, anche animatamente, a rappresentarle, ma solo a partire dalla loro “donnità” già prestabilita, già decisa, già costruita dagli ordini discorsivi e dalle procedure di organizzazione: o vittime, o carnefici, mai soggettività»(2). Vengono inoltre, come detto in precedenza, messe a valore perfino sul piano organizzativo del business neo-liberista, che fa della donna un “oggetto” del diversity management, attraverso cui le donne, insieme a chiunque venga percepito come diverso, vengono incluse dalle banche e dalle multinazionali secondo la logica del precedentemente già accennato politically correct: a donne, neri, disabili e gay, spesso selezionati per quote, vengono dati ruoli di spicco, facendo così della differenza una merce finalizzata al business, al marketing e allaumento del profitto.

Pertanto, con la nozione di “sessismo democratico” intendiamo proprio quel movimento attraverso cui le donne vengono private della loro soggettività per diventare un “oggetto” della costruzione degli ordini discorsivi del diritto, della politica, della cultura, della criminologia nelle società neo-liberali, indipendentemente dalla loro volontà. È un “sessismo democratico” e non solo patriarcale, nel senso classico, perché registra uno spostamento avvenuto sul piano dellacquisizione della libertà femminile, da parte delle società contemporanee, condizionato dalla costruzione di nuovi stereotipi e di nuove forme di stigmatizzazione basate su processi di “identitarizzazione forzata” del corpo e delle condotte femminili(3).

   La società di oggi appare quindi come una società che tende a differenziare, a identitarizzare per dare un ordine alla complessità del mondo al fine di governarla. De-soggettivizza i soggetti trasformandoli in oggetti attraverso ordini discorsivi, rendendo in particolar modo difficile alle donne la messa in forma della libertà che hanno acquisito, includendole ma considerandole ancora un non-ancora, e talvolta strumentalizzandole per persequire il fulcro del sistema neoliberista: il mercato, la cui funzione ordinante definisce e struttura tutti i sistemi (politico, giuridico, sociale, culturale) della società di oggi, la società della prestazione.

  1. Una visione più ampia

2.1   La società della prestazione

  Ne La società della prestazione, la sociologa Anna Simone definisce in modo chiaro e preciso la società della prestazione, individuandone le caratteristiche principali.

I processi di finanziarizzazione dei mercati e la crisi economica avviatasi a partire dal 2007 su scala planetaria, nonché il rilancio di uneconomia prevalentemente basata sul principio di accumulazione delle élite, lacuirsi del potere decisionale degli istituti di credito e delle borse, lideologia del management e del capitale umano avevano di fatto già trasformato la società del rischio(4) in una società della prestazione, ovvero in una società vuota e s-vuotata al contempo di qualsivoglia forma di regolamentazione e misura. Nel frattempo le società occidentali si andavano frammentando, scomponendo, sino a generare forme di competitività individualizzate, scardinamenti di tutte le vecchie reti di solidarietà su base pubblica – nonché stratificazioni del legame sociale su base privata. In altre parole il trionfo del neoliberismo, inteso come sistema fagocitante che determina e trasforma tutti gli altri, senza limiti e misure andava e va a produrre una moltitudine di individualità, tanti Io senza più un Noi, fabbricati a misura del mercato nella giungla della competitività(5).

   Parliamo quindi dellavvento di un nuovo modello economico, quello neoliberista, e delle sue forme di organizzazione basate sulla logica del management, che si è strutturato antropofagico, capace cioè di modellare le soggettività secondo il principio prestazionale, secondo le sue aspettative, secondo le sue necessità, e di estrarre allo stesso tempo valore e plusvalore da esse. Il mercato neoliberista produce così esso stesso lordine sociale, nonché i suoi individui, per il tramite dei quali agisce. Viene perciò a stabilirsi «la supremazia del sistema economico su tutti gli altri, ovvero l’apoteosi della funzione antropofagica del mercato da cui far discendere tutti gli altri sistemi nonché gli individui, ormai privati della loro capacità di autonomia decisionale»(6). Il desiderio appare così secondario rispetto ai bisogni, offuscato, a volte rimosso, per far fronte a ciò che oggi il mercato offre.

   Si passa quindi dalla crisi economica verso uneconomia dellIo, una nuova razionalità del mondo, la cui logica dellimpresa del sé è centrata sulla prestazione, su un agire performativo orientato al successo e al mero profitto. La dipendenza dal mercato in tutte le dimensioni della vita va così a scomporre sempre di più una realtà già frammentata, generando processi di individualizzazione, unantropologia basata su un Io-centrismo senza meta né misura. Il discorso della prestazione va ad inserirsi in questo contesto, con il fine di organizzare le soggettività a partire dalla necessità del sistema capitalistico di estrarre valore: esso è un modo di produrre un certo tipo di soggettività, e allo stesso tempo un modo di fare del desiderio soggettivo il suo oggetto privilegiato. Ne consegue un processo di sempre più generale razionalizzazione e di dominio, attraverso cui il capitalismo fa sì che gli individui interiorizzino le restrizioni libidiche imposte dal principio di prestazione non come una deteriora dimensione repressiva ma come un elemento che finisce per operare. Lazione diventa quindi il fondamento stesso della soggettività: il soggetto prestazionale è un soggetto capace di generare valore, i cui processi di accumulazione sono resi più efficienti non solo dalla sua professionalità, ma anche dalla sua creatività, dalla sua immaginazione, dal suo desiderio.

   Per riassumere, la società della prestazione è una società che si fonda direttamente sulla cattura psichica degli individui e sullestrazione di valore da essi (da qui, il termine di capitale umano), avvalendosi di regole e di strumenti di cui si nutre il mercato finanziario: i dispositivi prestazionali, oltre ad essere finalizzati al controllo sociale, sono principalmente dispositivi di riorganizzazione dell’ordine sociale e degli individui fondati su un principio prestazionale che si basa sul meccanismo della competitività, di base darwiniana. 

2.2   Inclusione ed esclusione: dallinclusione differenziale allideologia meritocratica

   La società della prestazione, la logica neoliberista e il modello economico, il mercato come fulcro del sistema, di ogni azione, la frammentazione che diventa sempre più individualizzazione, lIo-centrismo, la competizione, le soggettività che vengono prodotte dal mercato diventando esse stesse capitale umano: quella di oggi è una società in cui gli attori sociali si muovono dentro un contesto che costruisce i suoi parametri di inclusione ed esclusione sulla base di un principio prestazionale, performativo e fortemente legato e dipendente da una vivacissima concorrenza.

   Dentro questa tipologia di società, allinterno di questo processo differenziante e accanto al precedente problema dellinclusione differenziale, troviamo unaltra questione che merita di essere affrontata, ovvero quella dellideologia meritocratica: questultima, oltre ad essere poco consona al contesto socioculturale e socioeconomico in cui ci troviamo oggi in Italia, nasconde dei rischi, tra i quali vale la pena ricordare il carrierismo, anchesso figlio del meccanismo di competizione del sistema neoliberista. In merito a questultima questione, è importante sottolineare come la crisi del welfare e dei diritti sociali abbiano generato un contesto in cui i doveri superano di molto i diritti che ne conseguono, e come allo stesso tempo la crisi economica abbia fortemente ridotto a tutti, sia uomini che donne, le possibilità di accedere al lavoro e alla formazione. In Italia la meritocrazia ha cominciato a diventare un ordine del discorso allinterno di un contesto che però non si interroga più sulle condizioni di possibilità di accesso ai diritti primari, alla scuola, alluniversità, al lavoro, in modo da dare a tutti le stesse possibilità di partenza.  Al contrario, essa poggia su un sistema di cooptazione e di inclusione piuttosto fondato, ancora una volta, sullideologia darwiniana della competitività individuale sul mercato del lavoro. Per di più le modalità attraverso cui vengono organizzate le procedure di selezione, secondo la logica meritocratica si rifanno ad un sistema basato principalmente sul calcolo numerico dei titoli e dei certificati nel curriculum, ad un sistema quindi asettico, matematico, che non tiene conto di moltissimi altri fattori non quantificabili come le competenze comunicative e relazionali, e la coincidenza tra le proprie passioni, il desiderio, il talento, e il ruolo che si va a svolgere. Linquantificabile, dunque, non è valutabile attraverso le procedure di selezione allinterno di un sistema meritocratico in cui vince il più forte, a prescindere dallasimmetria delle condizioni di base legate allaccesso stesso.

   In una società imperniata sul paternalismo le donne, nonostante statisticamente ne sappiano di più e migliorino i profitti aziendali, sono le soggettività che più ne soffrono: per esserci esse devono andare incontro a moltissime difficoltà, ricorrere al modello competitivo di logica meritocratica o al modello dellinclusione per quote per cui le donne continuano ad essere pensate come “seconde”, come un perenne “non-ancora”. Devono andare incontro alla fatica del doppio lavoro, dentro e fuori casa, ad un welfare inadeguato alle loro esigenze, un welfare che in Italia è sostituito dalla famiglia, dai legami parentali, il cui problema di fondo, che ha radici culturali profondissime, è quello per cui le donne sono destinate a prescindere a occuparsi dei parenti anziani, della cura della casa.

In altre parole, le donne devono confrontarsi ogni giorno con una cultura di base veramente difficile da scardinare, ancora legata, anche se in modo diverso, ad un sistema fortemente patriarcale: soltanto una rivoluzione culturale, sociale, potrebbe riflettersi in una rivoluzione politica, di organizzazione generale, fin dalle fondamenta.

Le donne […] studiano di più e ne sanno di più, le donne migliorano i profitti aziendali, eppure per esserci bisogna ricorrere al modello competitivo della meritocrazia o al modello dellinclusione per identità delle quote, alla fatica del doppio lavoro dentro e fuori casa senza poter accedere ai diritti e a servizi adeguati a causa dei tagli del welfare, con una cultura di fondo che resta profondamente abbarbicata al paternalismo. Ma ne vale la pena se il sistema di base resta in mano maschile sul piano dellorganizzazione e della decisione(7)?

  1. Una risposta al femminile: re-azione alla società prestazionale

3.1  La pratica della relazione e lautodeterminazione

Il nocciolo, insomma, si situa sul come si fanno le cose, sulla forza e il coraggio, piuttosto che sul farle e basta per mero bisogno di carrierismo. Cambiare alla base lorganizzazione del lavoro, così come delle aziende, della cultura, della politica, della giustizia e di tutte le sfere produttive, lavorando di relazione più che di personalismo narcisista e di strategico decisionismo, cambierebbe, in sé, il senso e il significato stesso di potere. Quantomeno quello a prevalenza maschile conosciuto sinora(8).

  È proprio dal complesso mondo femminile che possiamo trovare una re-azione al contesto che si va creando, allindividualismo competitivo della società prestazionale neoliberista che vede lazione forgiare le soggettività. Si tratta di una risposta che viene direttamente dal pensiero filosofico femminile, volto a dimostrare le differenze che intercorrono tra potere, inteso come autoritarismo, esercizio del comando con funzione ordinante, e potenza della pratica della relazione tra donne, tra uomini e donne, finalizzata a cambiare le fondamenta stesse della rappresentazione, autoritaria, del potere. Un pensiero filosofico volto a definire un nuovo significato di potere, trasformandolo in un saper fare che sia capace di muoversi più attraverso la logica della giustizia che attraverso la logica del dominio, evitando il decisionismo e preferendo invece un saper decidere insieme agli altri: una re-azione allindividualizzazione, alla competizione prestazionale, un potere non più di tipo patriarcale, gerarchizzato, ma fondato su regole orizzontali, condivise e basate sulla pratica della relazione.

Insieme al concetto di relazione, riteniamo inoltre opportuno definire quello di autorevolezza.

Lautorevolezza che si acquisisce con lesperienza e con la forza delle proprie passioni è un percorso, una strada interessante proprio perché si colloca nel “modo” e nel “come” fare relazione con gli uomini e con le donne senza cadere nella trappola della competitività e del modello darwiniano della logica del più forte(9).

   Esercitare autorevolezza vuol dire infatti lavorare di relazione e con la relazione con donne e uomini, uscire dalla retorica meritocratica o dalla logica delle quote, inseguire le proprie passioni: significa valorizzare le libertà acquisite dalle donne, e più in generale le libertà di tutti, significa esserci per desiderio. Possiamo infine aggiungere che esserci per desiderio, seguirlo tenacemente, vuol dire autodeterminarsi: autodeterminazione è quindi pratica della coincidenza tra il proprio desiderio e quello che si fa, per passione e per scelta, non per inclusione forzata.

Praticare la relazione come forma di potere, essere autorevoli, autodeterminarsi seguendo il proprio desiderio e non un desiderio (etero)direzionato ci rende ancora una volta chiaro come il differenzialismo indotto non sia il riconoscimento dellautorevolezza e in particolare come, al contrario, essere autorevoli significhi autodeterminarsi, potendo scegliere e decidere cosa si ha voglia di fare, nonostante tutto e soprattutto facendo la differenza.

3.2 Fare la differenza

“Fare la differenza” è più importante, oggi, dellessere valorizzate come “differenti” proprio per non perdere lautonomia, lindipendenza e le libertà acquisite nel tempo(10).

   Il pensiero filosofico femminile ci suggerisce quindi limportanza non tanto di essere valorizzati come  “differenti” quanto di “fare la differenza”.  Lo sguardo che fa la differenza è fondamentale anche nel caso in cui ci si trovi davanti ad una forma di organizzazione del potere e della produzione ancora legata alle logiche classiche del maschile. È soprattutto una questione di contenuti a fare la differenza. Fare la differenza vuol dire pensare ad altre pratiche e ad altre forme della decisione, della produzione, che siano in grado di produrre benessere sociale, ripartendo dalle relazioni, da quelle relazioni sempre più frammentate, dentro contesti sempre più individualizzati, in solitudine.

Molte donne […] hanno rilanciato sulla necessità di ripensare tutto, fin dai fondamentali, ovvero dalla dimensione della costruzione sociale del sesso e del genere alla necessità di riconsiderare lo stesso binomio, spesso visto solo come unirriducibile dicotomia, di eguaglianza/differenza; da cosa vuol dire oggi “genere” a cosa può voler dire avere, su tutto, uno “sguardo di genere”, uno sguardo che fa la differenza sulla lettura dei mutamenti che coinvolgono sia i soggetti sia il mondo intero(11).

  Non si tratta quindi di essere differenti, ma di fare la differenza, riflettendo sulle soggettività e sulle trasformazioni del mondo in cui viviamo, su una nuova misura della cultura, del diritto, del potere, della politica, delleconomia. Fare la differenza, eliminando quellasimmetria di base che è nelle cose, nelle relazioni, e che ha visto il protagonismo maschile regnare nella scena pubblica e quello femminile predominare nel privato. Riconsiderare il significato di “genere”, e accettare il fatto che siamo diversi, che non si è mai tutti uguali, e che ciò rappresenta una grandissima ricchezza anziché un problema. Riflettere sul fatto che le donne abbiano fatto grandi passi in avanti, che gli uomini e la società facciano fatica a recepirlo, e che non basta includere soggettività diverse se non si scardina il meccanismo che ne è alla base. Porre infine attenzione alla crisi dellidentità maschile, di unidentità che è storicamente sempre stata a capo del mondo e della famiglia, che si trova oggi in un contesto in continua trasformazione e che soprattutto vede le donne prendere parola, esercitare autorevolezza, autodeterminarsi, valorizzare il proprio talento, perseguire i propri desideri, decostruendo stereotipi e andando a costruire esse stesse la propria identità.

Il pensiero femminile insegna che se non si cambiano allorigine le modalità attraverso cui organizzare la società, a partire da chi siamo, da cosa stiamo diventando e da cosa vorremmo per il futuro, a partire da come sentiamo e percepiamo gli altri, si fa solo un lavoro di superficie. La “crisi del maschile” per ora appare allorizzonte come un nuovo problema, un passaggio tutto da capire. Proviamoci insieme(12).

Note

(1) Simone A., Sessismo democratico, Luso strumentale delle donne nel neoliberismo, Milano-Udine, Mimesis Edizioni, 2012, p. 12.

(2) Ivi, p. 12.

(3) Ivi, p. 15.

(4) La società del rischio, termine utilizzato per la prima volta dal sociologo tedesco Ulrich Beck, fa riferimento, in sociologia, a teorie sociali che identificano nella produzione e nella gestione del rischio il carattere principale di una società. È una società che vive di discontinuità di vario genere, dal cambiamento climatico alle disuguaglianze sociali, dalla disoccupazione di massa alla crisi economica, e che vive quindi in un generale stato di insicurezza e di paura, che a loro volta generano un bisogno di sicurezza, che diviene il valore sociale più importante.

(5) Chicchi F., Simone A., La società della prestazione, Roma, Ediesse, 2017, p. 31.

(6) Ivi, p. 38.

(7) Simone A., I talenti delle donne, Torino, Einaudi, 2014, p. 65.

(8) Ivi, p. 78.

(9) Ivi, p. 48.

(10) Ivi, p. 13.

(11) Ivi, pp. 87-88.

(12) Ivi, p. 91.

 

Bibliografia

CHICCHI, F., SIMONE, A., (2017), La società della prestazione, Roma, Ediesse.

SIMONE, A., (2012), Sessismo democratico. Luso strumentale delle donne nel neoliberismo, Milano-Udine, Mimesis Edizioni.

SIMONE, A., (2014), I talenti delle donne, Torino, Einaudi.

 

Redazione

Del comitato di redazione fanno parte le responsabili dei contenuti del sito, che ricercano, selezionano e compongono i materiali. Sono anche quelle da contattare, insieme alle coordinatrici, per segnalazioni e proposte negli ambiti di loro competenz (...) Maggiori informazioni