a cura di Cristina Leo
Porpora Marcasciano è una figura storica del transfemminismo italiano e autentica voce libera della collettività LGBTI+. Attualmente, è Presidente onoraria del MIT (Movimento di Identità Trans) dopo esserne stata a capo dal 2010 al 2017.
Il suo impegno nell’attivismo è andato sempre di pari passo con quello culturale.
Anzi l’uno ha vicendevolmente sostanziato l’altro.
Porpora Marcasciano ha pubblicato Tra le rose e le viole – La storia e le storie di transessuali e travestiti (Manifestolibri, 2002); Favolose narranti. Storie di transessuali (Manifestolibri, 2008), Antologaia – Vivere sognando e non sognare di vivere: i miei anni Settanta (Alegre, 2015) e L’aurora delle Trans cattive –Storie, sguardi e vissuti della mia generazione (Alegre, 2018).
Ha partecipato con contributi a svariate altre pubblicazioni, tra cui: Porneia. Voci e sguardi sulle prostituzioni (Il Poligrafo, 2003); Altri femminismi. Corpi culture lavoro (Manifestolibri, 2006); Oltre le monocolture del genere (Mimesis, 2006); Gay. La guida italiana in 150 voci (Mondadori, 2006); Transessualità e scienze sociali (Liguori, 2008). L’amore ai tempi dello tsunami (Ombre corte 2014); Esquimesi in Amazzonia (Mimesis, 2014); Infiniti amori (Ediesse, 2014). Ha curato insieme ad altri Elementi di critica trans.
Tra le rose e le viole – La storia e le storie di transessuali e travestiti
“Tra le rose e le viole è il titolo di una filastrocca di quando andavo all’asilo. Le suore la insegnavano alle bambine, che la cantavano facendo il girotondo. Mi piaceva molto. Essendo un maschietto non potevo entrare nel girotondo delle bambine e quando ci riuscivo ero davvero felice.
L’incanto veniva rotto dal rimprovero delle suore e dalle urla di scherno degli altri bambini. Quando tornavo a casa, nella mia cameretta giravo in tondo, sognavo e cantavo <<Tre le rose e le viole…!>>”, così Porpora Marcasciano introduce il suo libro, con il quale attraverso il racconto e le testimonianze dirette, ricostruisce l’esperienza delle persone trans in Italia dalla fine degli anni Cinquanta fino alla fine degli anni Novanta.
I racconti e i ricordi, che riaffiorano, documentano l’identità socioculturale delle persone trans, per trasmetterla come esperienza alle generazioni future.
La realtà presa in considerazione è solo quella delle donne trans.
E’ un pezzo di storia vera quello riportato dalle protagoniste, le cui testimonianze appartengono al passato, ma è allo stesso tempo si proiettano verso il futuro.
Cinquant’anni narrati attraverso il racconto di dieci protagoniste.
Le storie raccontano l’esperienza di persone diverse fra loro, ma accumunate dalla ricerca della propria identità e dai problemi che questa ricerca comporta.
A parlare sono dieci donne trans.
Due di loro, secondo una terminologia degli anni novanta, sono definite “travestiti” perchè indossano abiti femminili, ma non hanno apportato alcun cambiamento al proprio corpo (oggi useremmo il termine ombrello transgender);
cinque stanno transitando da un genere all’altro, dal maschile al femminile, e sono ricorse a cure ormonali e chirurgiche per adeguare la loro identità fisica alla loro identità psichica;
altre tre hanno completato il percorso di transizione, attraverso quello che attualmente chiamiamo intervento di conferma di genere, ma che è definito intervento di Riattribuzione Chirurgica di Sesso (RCS) dalla legge 164/82.
Dieci storie, dieci vissuti, dieci esperienze raccontate restando il più possibile fedeli al linguaggio originale delle protagoniste, che attraverso l’uso di parole, modi di dire, e intercalari, caratterizzano le loro personalità e le loro umanità.
Nel momento in cui Roberta, Nadia, Gianna, Antonello, Pina, Claudia, Max, Antonia, Erica e Sofia si raccontano, ci descrivono anche il loro tempo e i loro luoghi.
Finalmente, narrandosi, possono raccontare e raccontarsi, smettendo di essere creature mitologiche e fantascientifiche, personaggi da cronaca nera o avanspettacolo, ma tutto questo e molto di più.
Le dieci storie raccontate sono state disposte in ordine cronologico, per permette di comprendere al meglio i cambiamenti e l’evoluzione della realtà trans, in Italia, nel corso degli ultimi cinquant’anni, facendone emergere i risvolti umani, sociali, psicologici, politici e culturali.
Antologaia – Vivere sognando e non sognare di vivere: i miei anni Settanta
“Antologaia” è un inno alla rivoluzione gay del post ’68, un trip di ricordi che conduce il lettore alla scoperta della propria identità storico-culturale.
Per trip, Porpora Marcasciano intende “il viaggio che comprende tutto il mio percorso, quello che avevo cominciato nel settembre del 1973, quando mi si spalancò davanti un nuovo mondo, quando cominciai a capire tante cose, a prendere coscienza, quando smisi di vergognarmi e compresi che tutto quello che mi era stato detto fino a quel momento era falso”.
L’autrice partendo da sé, attraverso la sua biografia, ci racconta gli anni Settanta da uno specifico punto di vista. La sua è un’esperienza scandalosa, fatta di manifestazioni, passioni, paure, sogni e sessualità, in cui incrocia tanti piccoli e grandi personaggi.
Porpora, attraverso le sue divertenti narrazioni, cerca di mettere in luce la contraddittoria realtà di quegli anni, composta da immensi e folli progetti rivoluzionari, che ha visto la gaya rivoluzione supportata e sopportata da una sinistra troppo spesso omofoba.
Nei suoi racconti appaiono personaggi eclettici, come Zanza (Enzo) e Valentina Sanna Cortese (Marco Sanna).
Zanza arrivava dalle case occupate di Via Morigi a Milano, la prima occupazione gay, dove si sperimentavano autocoscienza, teatro e provocazioni;
ci si preparava, o meglio, ci si imbellettava, per la rivoluzione.
Quell’esperienza era il prodotto di una miscela culturale, politica e libertaria molto incandescente. Era supportata da studio, informazione, comunicazione e intelligenza.
“Eravamo figlie dei tempi, del ‘68, della resistenza, delle lotte… eravamo figlie del secolo breve! Ogni gesto, segno, personaggio era il prodotto di un senso profondo di liberazione”.
L’aurora delle trans cattive – Storie, sguardi e vissuti della mia generazione transgender
Per Porpora Marcasciano “L’Aurora è luce, è l’inizio delle cose e quindi della visibilità. È tutta quella parte di storia trans e non solo, rimasta in penombra, che va restituita alla nostra contemporaneità.
Aurora è anche il nome dell’incrociatore che bombardò il Palazzo d’Inverno dando avvio alla Rivoluzione d’Ottobre”.
In L’aurora delle trans cattive, Porpora racconta la rivoluzione che avveniva dentro di sé, nel suo corpo e nei suoi desideri durante il percorso che l’ha portata a diventare la “favolosa creatura” che ha sempre sentito di essere e che ha sempre desiderato essere.
Descrive il percorso esistenziale e politico che l’ha portata alla costruzione di sé;
Non ci sono donne intrappolate in corpi di uomini, ma solo “la costruzione di benessere. Stare bene con il proprio corpo. Realizzare, rendere possibile il corpo sognato”.
L’esperienza di Porpora è politica e rivoluzionaria.
Nasce da un atto di ribellione oltre che di amore verso se stessa e nasce dal rifiuto di consegnare il proprio corpo a un sistema patriarcale binario, etero e cis-sessista.
“Il fatto stesso di esistere era un crimine”, il prezzo da pagare era alto: è quello di vivere ai margini.
“Fare la trans” era sinonimo di prostituirsi.
La Roma descritta da Porpora è fatta di pensioncine a Castro Pretorio, scantinati di San Lorenzo (a due passi da via dei Volsci, sede di uno dei collettivi storici di Autonomia operaia), locali segreti e sconfinate praterie metropolitane in cui si batteva all’aperto.
Non c’era quasi comunicazione tra il mondo di giorno (di cui facevano parte anche movimenti e collettivi) e il sottosuolo notturno delle trans.
Porpora e poche altre avevano accesso a entrambi i mondi e passo dopo passo si sono poste il problema politico, della liberazione dei corpi, dei desideri e delle coscienze.
Nell’Aurora delle trans cattive si descrive, con tenerezza e partecipazione, la vita di tante storiche trans romane, tra gli anni settanta e ottanta.
Le trans che si risvegliano sono “cattive”. Sono cattive perché la loro stessa esistenza è un atto sovversivo e bollato come criminale.
La stessa Porpora finisce a Regina Coeli nel 1981 solo per essere uscita da una lezione universitaria travestita: “Cappottino rosso magenta con i bordi di finto pellicciotto leopardato, scarpette con un tacco leggero intonate al colore del cappotto, foulard, collane (…) un trucco più o meno leggero, non proprio da notte quanto piuttosto da lezione, che oggi risulterebbe invisibile”.
La polizia la ferma insieme alla sua amica e l’arresta: passerà tre giorni e tre notti in cella a chiedersi quale fosse il suo crimine.