di Angela Ammirati
Pubblicata sul sito di Laboratorio Donnae
La lettura di “Post-Patriarcato. L’agonia di un ordine simbolico”, il nuovo libro di Irene Strazzeri si presta ad un doppio registro di senso. Il primo rimanda alle pratiche e ai recenti sviluppi del neo-femminismo teso, nel suo rapporto di continuità /discontinuità con il femminismo storico, a esplorare possibili risposte alla crisi globale. Il secondo si pone come una chiara e lucida analisi della profonda mutazione antropologica e sociale che caratterizza la nostra epoca. Un intreccio importante che, oltre a dare conto del posizionamento culturale e politico di Irene Strazzeri, è ancora più meritevole nel suo intento di indirizzare ad un pubblico universitario una lettura sul presente, in cui lo sguardo femminista si coniuga con un’analisi di taglio sociologico.
Come già evidenziato nella preziosa prefazione di Elettra Deiana, il post-patriarcato è narrato nella sua convergenza con la crisi del nostro tempo. Il senso “occasione” cui uno dei significati del termine “Crisi” rimanda, si accorda con quello di un “Post” concepito non come una condizione statica e successiva alla preesistente, ma come un processo di transizione in corso. Il post-patriarcato non è infatti inteso come un paradigma che descrive il passaggio compiuto alla post-modernità, ma un campo di tensione aperto dove gli stessi passi in avanti compiuti, come ad esempio diritti, certezze, libertà acquisite, rotture simboliche, sono inghiottiti e ridefiniti da ondate di ritorni, rovesciamenti di significati, vecchie forme di dominio. Ordine simbolico in agonia il post-patriarcato è segnato dal conflitto tra il vecchio e il nuovo, evocando, da un lato, l’immagine della distruzione e di una lenta decadenza, come lo stesso titolo lascia intendere, dall’altro, un “altrove”, come nuovo orizzonte da ripensare. Instabilità, decentramento, precarietà esistenziali, sgretolamento delle relazioni sociali sono i sintomi più raccontati del declino dell’autorità maschile, della fine dello Stato Sociale, del superamento del nesso diritto-lavoro. Sono i sintomi di un mondo che sta franando. In questa fase di progressivo tracollo, lo strappo rispetto all’ordine preesistente produce lacerazioni e ferite, vuoti di senso e lutti da elaborare. Prima fra tutti la soggettività maschile. Ma tutti/e siamo chiamate a risponderne. Perché nel passaggio al nuovo, è il gioco del rovescio a fare la differenza. Come una sorta di “Dialettica dell’illuminismo” ogni cosa si converte nel suo contrario: la differenza in differenziazione, l’inclusività in emarginazione, il contrasto alla violenza maschile contro le donne in politiche paritarie securitarie, la differenza femminile in risorsa, finalizzata all’efficienza della produzione e della competitività. Ne sono un esempio plastico il “fattore D”, con cui s’invoca la necessità dell’inserimento femminile nel mercato lavorativo in virtù di una presunta specificità “naturale” delle donne, “l’inclusione differenziale” e la “diversity management”. Aspetti su cui Irene Strazzeri si sofferma quando analizza le ambivalenze e le contraddizioni della femminilizzazione del lavoro. Quali sono le sfide da assumere contro uno scenario dominante che cerca in controtendenza con la fluidità e la frammentarietà della nostra condizione di imporsi come “rassicurante”, attraverso la logica delle quote, della parità, delle misure di tutela e con l’immagine di giovani donne che accompagnano “uomini di potere”? Come se si volesse, avverte l’autrice, sostituire la perdita dell’autorità maschile con un ritocco plastico. Ma un potere, sebbene in declino è comunque un potere. Non rinuncia alla sua ratio, per rimanere a galla. Ed è in questa fase di presenza/assenza, velamento/disvelamento che dobbiamo avviare un ripensamento e una riformulazione della democrazia, per ridare senso a parole come cittadinanza, diritti, giustizia sociale. Una strada percorribile è, secondo Irene Strazzeri, il reddito di autodeterminazione. Antidoto, in primo luogo contro il ricatto di fare di se stessi/e una risorsa umana, il reddito, su cui il femminismo contemporaneo ha avviato una interessante elaborazione, è sicuramente un primo tassello per mettere in discussione il sistema economico attuale. E’ la prima concreta, seppur fragile, possibilità di ripensare, “senza esautorare lo Stato Sociale” un nuovo modello di cittadinanza sulla base dei cambiamenti avvenuti nelle società, sia rispetto alle relazioni tra i generi sia rispetto alle lacerazioni sociali prodotte dai mutamenti strutturali del mondo del lavoro. La sua potenzialità e rivoluzionarietà simbolica risiedono nel “passaggio da una vita spesa a servire l’economia ad una economia spesa a servire la vita”. Un cambiamento radicale che pone come condicio sine qua non il primum vivere.
“Bisogna che il mondo cambi perché io vi sia inclusa”, scriveva Claris Lispector, scrittrice ucraina naturalizzata brasiliana in “La passione secondo G.H”, uno dei romanzi più amati e citati dalla lettura femminista. Dalla sua prospettiva “nomade”, l’intellettuale non rivendicava una parte nel mondo, una quota di partecipazione, ma il mondo intero. E le aspettative di Irene Strazzeri lasciano pensare che è proprio dai margini di esso, da chi si è trovato/a nella condizione originaria e costitutiva di alterità che possiamo individuare la via maestra. Per le donne, come scrive Elettra Deiana nella prefazione, è più facile, perché l’evento della libertà femminile si è già manifestato nella vicenda storica del mondo, come smentita della falsità dell’universalismo. La rivoluzione della parola femminile, con il suo gesto di rottura su un ordine artificiale e finto, si è espresso nella forza della relazione e della pratica riconoscimento qui tradotta come “autorità femminile”, tema controverso e molto dibattuto nell’ambito del femminismo contemporaneo. Autorità come scambio e reciprocità. E’ questa la via d’uscita iscritta già come principio delle cose. Non abbiamo bisogno di pensare ad un nuovo inizio, perché esso è già dentro le nostre identità intersoggettive. “L’inizio, scrive Irene Strazzeri, è il presente” con le nostre relazioni di reciprocità. Sono queste che danno senso alla nostra vita contro la rapacità, l’egoismo spietato, la corsa incessante competitività, su cui il neoliberismo ha fondato il suo credo. Bisogna, scrive Irene, uscire dal “risentimento”. Significa trasformare in positività le passioni negative, elaborare la perdita e a trasformarla in amore per la vita, proprio come suggerisce “l’amor fati” di Nietzsche.