di Giulia Manzini
Io e Virginia abbiamo suddiviso l’elaborato del corso su Donna Hararway in due parti per rispettare la brevità del testo. Non c’è una parte da leggere prima perchè si tratta di intrecci che oltrepassano anche la gerarchia temporale; ciò che è importante è il qui e ora della storia che si crea.
“Creare relazioni che importano e hanno conseguenze tramite fili intrecciati di connessioni creative; immaginare pratiche per imparare a vivere e morire insieme e bene nel presente opaco di questioni dolorose e soluzioni limitate per la fioritura multispecie del qui ed ora.”
Queste parole di Donna Haraway contengono universi di desideri e di vite particolari, tra cui le nostre.
A volte l’attivismo è infestato da protagonismi eroici, dove tutto il resto è sfondo, piedistallo, preda dell’eroe-cacciatore, condottiero in battaglia: è la storia ipnotica dell’Antropos con le sue metafore guerreggianti; è la storia solo sua, his-story, tutte le altre esistenze non contano: subiscono, servono o sono invisibili.
A volte la nostra militanza è caratterizzata da denunce che non perseverano a contatto con il problema: denunce forse necessariamente sceneggiate sui media – d’accordo – ma per quale prospettiva o per quali pratiche dentro zone problematiche? Per quali semantiche materiali di con-divenire oltre l’antropocene o il capitalocene ?
Forse, oltre a un dovuto atto di denuncia, si potrebbe continuare a scambiare saperi per costruire refugia in zone rovinate e immaginare commons contro il capitalismo imperante o giocare con fili in figure cangianti di cat’s cradle.
Le umane recanti altre storie non si sono estinte ai tempi della caccia ai mammut, sono piuttosto vissute in zone ctonie, mentre il prick eroico continuava – e continua – ad imperversare.
Portando le loro storie diverse in “una foglia, una zucca, una conchiglia… un pezzo di corteccia arrotolata o una rete intrecciata con i propri capelli” queste umane hanno trovato i loro refugia mescolandosi; si sono radunate a volte in assemblaggi multispecie.
Esse hanno creato ospitali Comunità del Compost, coltivando Oddkin aperte e kinship situate, nel wordling-farsi comune del mondo.
Per praticare l’arte di sopravvivere in un pianeta danneggiato si deve fare con quello che si può qui ed ora: c’è tanto da imparare dai funghi matsutake!
Si possono ramificare dei collegamenti che nascono nei nostri luoghi di vita, in nuove divisioni ed unioni e creare un gruppo di studio ai tempi della prima pandemia globale mediatica: i Tracciamenti Instabili.
Tracciamenti instabili
“Tracciamenti instabili” è un gruppo che sfrutta l’evoluzione tecnologica e a volte enologica per rimanere in contatto; i tempi della pandemia infatti hanno quasi azzerato l’incidenza della presenza fisica delle persone, con revisione così radicale dell’esistenza umana sulla terra. Abbiamo accolto, prima ancora che cogliere, (la lettura di “Staying with the trouble” è infatti tuttora in corso) il compito che D.H suggerisce: “dobbiamo rendere l’Antropocene il più interstiziale e insignificante possibile: dobbiamo unire le forze e condividere tutte le idee che ci vengono in mente per coltivare le epoche a venire in modo da ristabilire luoghi di rifugio … e …“allearsi con le altre creature” per fare questo”; un’ alleanza tra donne per ricomporre saperi e “storie” e recuperare modi di con-divenire.
Le parole e i concetti dei nostri incontri a volte rimbalzano nella mente alla ricerca di senso, poi sedimentano non sappiamo bene dove e con quale procedimento; e allora esperienze, relazioni, episodi riemergono in modo non lineare per partecipare alla riscrittura di una storia altra: ecco, anche qui, il materializzarsi di cosa significa pensare quali pensieri pensano altri pensieri.
La collettiva “I tracciamenti Instabili” è formata da Tony, Mirella, Virginia, Giulia. Ci siamo fin da subito considerate abbastanza eterogenee e ora possiamo continuare in questo incessante divenire di ciò che siamo dentro questo processo relazionale e creativo.
Ci esercitiamo nel tenere a mente i problemi: quelli planetari ma soprattutto quelli quotidiani per restarci bene a contatto; ci aiutiamo a lasciare fuori il cinismo e ci sforziamo di escogitare strategie di sopravvivenza.
Abbiamo tracciato percorsi che hanno seguito gli intrecci delle nostre curiosità e dei nostri saperi, leggiamo e poi ci confrontiamo sui contenuti, sui dubbi, sulle scoperte e sugli ulteriori intrecci che le parole o i concetti ci suscitano. Come nel gioco della matassa le dita che intrecciano i fili si sono moltiplicate insieme con la partecipazione di alcune di noi al corso su Donna Haraway creando così in entrambi gli spazi nuove figure. Attraverso questo gioco di matassa procediamo per connessioni senza un ordine pre-definito e soprattutto non gerarchico per rendere possibile il renderci capaci l’un l’altra. L’essere specie cum-pagne, sedute alla stessa tavola, si traduce nella franchezza e sincerità in assenza di giudizio.
Nella nostra collettiva l’eroe finisce dentro alla sporta e diventa un coniglio; si cercano la natura, il soggetto e le parole dell’altra storia, quella non raccontata, la storia della cosa in cui mettere cose, pensieri, le parole e conservarli per quando piove.