Giusto alcune considerazioni, un po’ frammentarie e slegate tra loro, sollecitate dall’introduzione dalla presentazione e dalle prime pagine di questo testo.
Innanzitutto una annotazione. Simone de Beauvoir esordisce sottolineando che il soggetto del suo libro – la donna – è irritante soprattutto per le donne, e Federica ci ricordava come ancora oggi persista un atteggiamento di fastidio. Io credo che molte dicano “Io non sono femminista” senza sapere, di fatto, cosa voglia dire “femminismo”, senza conoscere i femminismi.
È vero anche che il femminismo viene continuamente decretato morto, ma io credo che finché ci sono io, che ho bisogno del femminismo, il femminismo continua ad esistere.
A proposito dell’analisi che de Beauvoir fa, di come il soggetto sia già stato trattato in lungo e largo, mi è venuta in mente un’immagine che racconta Virgina Woolf in Una stanza tutta per sé: si trova nella biblioteca del British Museum e scopre che ci sono un’infinità di libri sulle donne, mentre le donne non scrivono libri sugli uomini, e si chiede il perché di tanto interesse. Sono delle pagine molto interessanti, ancora oggi.
C’è un’altra cosa che mi ha colpito: Federica diceva che la differenza tra il femminismo degli anni 70 e quello di Simone de Beauvoir è che lei lavora in solitaria. Mi chiedo: cosa le ha dato l’autorità che ha, dove ha trovato la forza per autorizzarsi a prendere parola e farlo in questo modo? Io ho imparato dalla politica delle donne che il riconoscimento dell’altra è fondamentale per autorizzarsi a prendere parola e per riconoscersi autorevolezza, e così è stato anche nella mia esperienza. Dunque mi chiedo: lei da dove trae questa risorsa? Me lo chiedo perché penso sia importante e utile capirlo, soprattutto oggi che non è detto che una donna incontri altre donne in una relazione di questo tipo.
E’ interessante che Simone de Beauvoir faccia un po’ un’analisi linguistica, perché questo del linguaggio sembra essere un lavoro sempre da rifare: anche le femministe degli anni 70 hanno lavorato tantissimo sul linguaggio, smascherandone la presunta neutralità e riappropriandosi delle parole, e ogni volta negli incontri tra donne sembra si debbano negoziare ancora una volta i significati. Penso anche all’impatto del queer, ad esempio, dal quale nasce ancora una volta l’esigenza di chiarire il rischio dell’essenzialismo quando si parla della donna.
Infine un’ultima considerazione: giustamente si diceva di come nella storia del pensiero, nel passaggio attraverso il quale l’uomo si è pensato come soggetto neutro universale, la donna sia diventata l’Altro. E nel pensiero politico l’Altro è o il soggetto da integrare, cioè da far diventare simile, o il nemico. Addirittura Schmitt fa del nemico una categoria fondamentale della politica. Però nel frattempo c’è stata anche la storia del pensiero delle donne, che hanno cominciato a pensare e praticare una politica diversa, che non si fonda sull’inimicizia, che non sta alla logica hegeliana dell’antitesi e del superamento, ma anzi tiene insieme la differenza. Credo che questo, rispetto alla posizione di Simone de Beauvoir, possa essere un guadagno nel rapporto tra i sessi.