Nel riportare il mio intervento durante il primo incontro del ciclo di Seminari sul Secondo Sesso di Simone De Beauvoir, mi riallaccio in qualche modo all’intervento, già presente in questa sezione, di Eleonora De Majo.
Tento però di mettere in parole, più che un’analisi storica, un’esperienza politica.
Anche io sono rimasta molto colpita da questa descrizione che Beauvoir dà della condizione femminile, che vede le donne come complici e alleate dei loro uomini: donne borghesi con uomini borghesi, bianche con bianchi; invece che tra donne. Beauvoir in effetti lo dice: non esiste ancora nel 1949 un “noi” che individui le donne come soggetto collettivo o politico.
Il femminismo degli anni ’60 e ’70 però, attraverso la pratica del separatismo, del partire da sé, dell’autocoscienza è riuscito a smascherare quei rapporti di forza universali e maschili che rendono la donna – come dice Eleonora – subalterna.
C’è però una pratica in particolare, che credo che sia stata determinante per sciogliere questa alleanza “di classe” o “di razza”, o almeno per metterla in crisi, a favore di un riconoscimento di un “noi” collettivo e politico tra donne.
Sto parlando del conflitto.
Trovo che – parto dalla mia esperienza politica – vi sia una differenza sostanziale tra lo scontro e il conflitto.
Se dico scontro sto parlando di una genealogia maschile, che aderisce a dei dispositivi politici identitari (bianco/nero, borghese/proletario…) e a partire da quelli si dà luogo a una posizione politica. Nel contesto di un confronto, quindi, si metterà in scena uno scontro che fa segno all’appartenenza identitaria di riferimento, il cui godimento è rappresentato dall’annullamento o dall’oblio dell’altro per la rinnovata conferma della propria identità. Il senso in altre parole è dato dal dispositivo identitario e non dalla relazione con la persona con cui si sta parlando.
Nella pratica femminista del conflitto invece l’altra è chiamata tutta intera, nella sua posizione, nel suo partire da sé, dalla sua esperienza, e non con il desiderio di annientamento, ma con una predisposizione al movimento, che si dà nel tener conto di chi sta parlando, della sua storia, della sua posizione territoriale e sessuata.
È il conflitto, praticato tra donne e femministe, che secondo me ha scardinato la via cieca – perché non vede l’altra/o – della soggettività di classe o razziale (maschile), in prima istanza all’interno di gruppi femministi separatisti – tra donne – creando quel noi collettivo e politico.
Le donne che praticano la politica oggi, nei movimenti, nei collettivi, nelle assemblee, nelle occupazioni, sentono la necessità di essere di nuovo in un contesto politico misto – di uomini e donne. All’interno di questi contesti le donne hanno portato la pratica del partire da sé e del conflitto – in modo più evidente all’esperienza di quel che non si dica o si scriva – questa volta, a distanza di più sessant’anni da quando scrive Beauvoir, anche tra donne e uomini.