Quarto incontro – Intervento di Chiara Meta

Nonostante la sua formazione medica Freud si oppose duramente al paradigma scientifico imperante alla fine dell’800, anche nel campo della psicologia, ovvero quello positivista che aveva di mira la possibilità di ridurre ogni manifestazione della vita psichica alla descrizione fornita dalla scienza, in questo caso si trattava di ridurre la mente al cervello.  Per Freud ciò che impedisce la sovrapponibilità è il fatto della coscienza. Attraverso il lavoro compiuto sulle pazienti isteriche(cfr. Studi sull’isteria 1895 pubblicato insieme a Josef Breuer) egli si distanzierà sempre più anche dal metodo dell’amico-collega che aveva posto a base della nuova ricerca psichica la teoria della catarsi, la quale pur rifiutando la riduzione del sintomo isterico a lesioni di ordine fisico, supponeva comunque che«il sintomo isterico avesse origine dall’energia di un processo psichico la quale, allontanata dall’elaborazione cosciente si legava alle innervazioni corporee (conversione)»; in tal modo la guarigione si sarebbe avuta «attraverso la liberazione dell’affetto deviato e con la sua scarica secondo la via normale(abreagire)». (1 )

Stabilendo nella “libera associazione”l’unico metodo capace di superare la “resistenza censoria”che impedisce di divenire coscienti delle proprie aspirazioni più profonde, egli giunge ad invertire  il casualismo epifenomenista proprio del paradigma positivista:  la peculiarità dell’accadere psichico è un accadere fantasmatico, di cui l’eziologia è tutta psichica.

Inoltre nel lavoro ricostruttivo sulla genesi dell’Io egli, in particolare, sottolinea come la storia della nascita dell’uomo è quella del passaggio di un essere senziente dal grembo di un protetto narcisismo, alla lacerante consapevolezza di essere alla deriva in un mondo di oggetti, un mondo che non ha creato e che non controlla (2). Senza l’intelligenza delle emozioni, ci dice ad esempio Martha Nussbaum ricollegandosi a Freud su questo punto, abbiamo poche speranze di affrontare questo problema nel modo giusto (3).

Le emozioni infatti implicano sempre il pensiero di un oggetto, associato a quello della rilevanza o importanza dell’oggetto stesso.  In primo luogo esse sono sempre “in relazione” a qualcosa, hanno una struttura relazionale; in sostanza implicano un investimento oggettivo-conoscitivo. Ciò significa pure che l’investimento oggettuale ha una natura stratificata, attiene al “nostro vissuto” con l’oggetto medesimo. Per questa ragione  l’intenzionalità coscienziale ha che fare con la storia della nostra relazione con gli oggetti del mondo. In più la capacità raffigurativa che l’investimento oggettuale permette e che crea il legame emotivo,ci porta a considerare la differenza che passa tra “giudizio di fondo” e “situazionale” ad esempio nel caso di un evento di lutto:si pensi alla perdita di un genitore. Ciò che attiva la percezione del dolore è soprattutto il vissuto della dipendenza infantile quando l’investimento oggettuale era di totale dipendenza: in prima battuta ci manca in modo elementare ciò che ci proteggeva e ci dava conforto. E ciò accade perché mentre ,ad esempio, gli appetiti, con i quali anche l’uomo  ha un legame di soddisfazione, sono bisogni che richiedono una soddisfazione per così dire biologica, sono cioè “agganciati”ad oggetti reali e non implicano un investimento valoriale; le emozioni sono invece bisogni che richiedono una soddisfazione simbolica.

Come ancora sottolinea Freud rievocando la distinzione tra bisogno fisiologico e pulsione: «lo stimolo pulsionale»  non provenendo dal mondo esterno ma dall’interno dello stesso organismo esige azioni di natura diversa. In quanto «non preme dall’esterno, ma dall’interno del corpo, non c’è fuga che possa servire contro di esso» (4).  Ecco che allora l’appagamento, il soddisfacimento di tale bisogno non può essere raggiunto con un’azione motoria.  Pur avendo infatti la pulsione un’origine somatica – essa, nascendo nel corpo, appare come «un concetto limite tra lo psichico e il somatico»(5) – non si esaurisce nella dimensione fisico-quantitativa del soma. Se infatti seguendo il principio inerziale che guida la ricerca del piacere, la stimolazione fisica funziona sul polo fisico dell’eccitazione intesa come incremento di tensione che tende alla scarica, dal punto di vista della trascrizione psichica di questo processo,la funzionalità dell’Io si muoverà sul polo piacere-dispiacere all’interno del quale si pone il complesso problema della ricerca di azioni differenti per rispondere alle pressioni interne. Negli organismi complessi, dunque, le pulsioni non coincidono semplicemente con le volizioni; le emozioni infatti sono un materiale tellurico, in rapporto strettissimo con le stratificazioni che si producono sin dall’età infantile del soggetto.

Ancora richiamando  il Freud delle prime opere, quello influenzato dalla formazione neurologica(si pensi al celebre Progetto di una psicologia del 1895) dovremmo parlare di  contenuto mnestico-allucinatorio del tessuto esperienziale.  La memoria inconscia infatti  sarebbe il frutto di un tracciato creato da una alterazione permanente, legata ad un bisogno più o meno soddisfatto.  La psicologia moderna infatti da Freud in poi spiega così il meccanismo psichico: esso si fonda sul processo primario, ovvero sul bisogno che deve essere soddisfatto e non appena si riproporrà il bisogno nuovamente la mente “riallucinerà” la scena del soddisfacimento (del primo soddisfacimento). Mentre questo livello è ancora incosciente la struttura qualitativo-coscienziale ha la funzione di portare a coscienza tale rappresentazione. Qui entra in gioco la possibilità per l’adulto, non più bambino, di “prendere distanza” dall’impellenza del bisogno che vuole essere soddisfatto, attraverso la capacità di relativizzarlo tramite la rappresentazione coscienziale, la quale avendo una struttura linguistica permette di deviare la pressione pulsionale su investimenti “laterali” e di rispondere al bisogno in modo mediato e differito.  Questo compito è assunto dall’Io il quale sorge, ricordando in questo senso l’attività sintetica kantiana, come lavoro, ovvero come capacità di sintetizzare le diverse componenti(sensibilità e intelletto) e istanze(pulsioni e pensieri) proprie dell’umano, tentando l’accordo tra “fantasma”e realtà.

Come è stato ricordato «l’originalità della teoria freudiana sta nel concepire il nesso tra corpo e mente», ossia tra ordine quantitativo e ordine qualitativo della vita, non secondo «il casualismo materialistico[…]bensì secondo una curiosa applicazione nel campo della biologia e della psicologia di una relazione, propria delle istituzioni e della filosofia politica, qual è quella di rappresentanza». L’ordine quantitativo dell’eccitazione del soma «entra a far parte dello psichico attraverso un suo rappresentante delegato[…]formato a sua volta da due elementi:da un lato l’importo di affetto», ossia il sentimento di piacere o di dispiacere, dall’altro il rappresentante «ideativo, ossia la scena presente alla mente[…] che consente la realizzazione-scarica dell’affetto/desiderio» (6).

1 S. Freud, Compendio di psicanalisi e altri scritti, a cura di R. Finelli, P. Vinci, Newton Compton, Roma, 2010, p. 49.

2 Cfr. S. Freud, Psicologia delle masse e analisi dell’io, in Opere,trad. it., Boringhieri, Torino, 1980, vol ix, pp. 259-262.

3 M. Nussbaum, L’intelligenza delle emozioni, trad. it, Il Mulino, Bologna, 2004, pp. 37-340.

4  S. Freud, Metapsicologia (1915), trad. it, Bollati Boringhieri, Torino, 2008³, p. 29. Egli evidenzia come sia la stessa fisiologia a fornire il concetto di stimolo inteso come pressione che proviene dall’esterno e che per questa ragione può essere «scaricato nuovamente all’esterno attraverso l’azione»(ivi, p.28), al contrario la pulsione , intesa come bisogno che preme dall’interno richiede una risposta di natura differente, non potendo essere elusa con la fuga essa può solo essere tradotta, portata a rappresentazione della mente conscia che tramite il principio economico rispondente alla dinamica piacere-dispiacere sceglie di soddisfarla o meno (cfr. ivi, pp. 30-32).

5  Ivi, pp. 31-32.

6  R. Finelli, Perché l’Inconscio non è strutturato come un linguaggio,in S. Freud, Compendio e altri scritti cit., p. 10.

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